coniazione
Processo di fabbricazione di monete metalliche, che consiste nell’imprimere segni o simboli su tutte e due le facce delle monete, e talvolta anche sugli orli, in modo da renderne difficile la contraffazione e la tosatura o erosione.
Per eseguire la c. si utilizza un conio, blocchetto di acciaio duro che porta in cavo disegni, iscrizioni, figure che possono essere impresse in rilievo sul pezzo lavorato. Il conio è fissato alla slitta di un bilanciere, o di una pressa, che lo spinge fortemente sul pezzo metallico, già portato alla forma e alle dimensioni necessarie, in modo che, sotto la stretta, riempia esattamente le cavità. Sull’incudine della macchina, in genere una pressa a ginocchiera, è fissato il controconio, che reca l’impronta dell’altra faccia. I due coni si consumano durante la produzione delle monete; per garantire l’uniformità delle monete stesse si ricorre a un punzone ripetitore che trasferisce l’impronta in cavo ai coni utilizzati. ● In contrapposizione con la teoria liberista (sostenuta da H. Spencer e, in Italia, da F. Ferrara), secondo cui la c. dovrebbe essere liberamente effettuata dai privati in concorrenza tra loro, è prevalsa l’opinione che debba essere riservata allo Stato, per il tramite delle zecche, al fine di evitare incertezze circa l’effettivo valore delle monete e la possibile concorrenza di quelle peggiori con quelle migliori. Oggi il diritto di c. è attribuito solo allo Stato e la gran parte della circolazione è assicurata da un sistema monetario basato sulla carta moneta inconvertibile. Nell’area euro, la c., a cura dei singoli Stati, segue le linee guida decise dalla Banca Centrale Europea (➔ BCE).
I metalli preferiti sono l’oro e l’argento; per le monete divisionali, tuttavia, si usano metalli non nobili (nichel, rame, bronzo, piombo, ferro, leghe varie) e il loro potere legale d’acquisto è sempre superiore al valore effettivo del metallo in esse contenuto.