confisca
s. f. – Termine che identifica diversi istituti presenti in varie branche del diritto e aventi come comune denominatore lo scopo di neutralizzare la pericolosità delle cose collegate ad attività illecite. La c. prevista dall’art. 240 cod. pen. consiste, nella sua forma originaria, nell’espropriazione da parte dello Stato delle cose utilizzate o destinate a commettere il reato ovvero rappresentative del suo prodotto o profitto. Suo presupposto applicativo è la pericolosità della cosa, intesa quale probabilità che quest’ultima, rimanendo nella disponibilità del reo, possa costituire un incentivo per la commissione di nuovi reati e richiede dunque la concreta verifica del legame che connette la cosa al reato (nesso di pertinenzialità). In questi casi la c. è facoltativa e può essere applicata soltanto in caso di condanna. La c. è invece obbligatoria con riferimento alle cose che costituiscono il prezzo del reato e alle cose di cui la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. In tempi più recenti, alla c. sono stati attribuiti ambiti e funzioni assai diversi da quelli originari, fino a farle acquisire un ruolo fondamentale nella strategia di contrasto della cosiddetta criminalità del profitto, rivelandosi spesso più efficace della stessa pena detentiva in un contesto caratterizzato da un ormai innegabile intreccio tra economia legale ed economia criminale. Si sono dunque, in primo luogo, moltiplicate le ipotesi di c. obbligatoria, prevista per es. in caso di condanna per i delitti di associazione di tipo mafioso o terroristico, per i delitti contro la Pubblica amministrazione (PA) o in materia di riciclaggio. Numerose sono poi, nella legislazione penale speciale, le ipotesi di c. obbligatoria delle cose (anche occasionalmente) utilizzate per commettere il reato, come per es. la c. del veicolo prevista nel caso di guida sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti. L’esigenza di colpire il profitto ottenuto e ancor prima perseguito dalla criminalità organizzata e della criminalità dei colletti bianchi (sia nel campo della criminalità economica sia in quello dei reati contro la PA), accomunate dal ruolo fondamentale giocato dal profitto, sovente ripulito o celato, ha reso necessario ampliare le possibilità applicative della confisca. Sono state così introdotte forme di c. del profitto più duttili ed efficaci, con la duplice finalità di sottrarre alle organizzazioni criminali i proventi della loro attività delittuosa e di impedire l’infiltrazione dei capitali dell’economia illegale nel circuito economico dell'impresa legale. Ha così visto la luce la c. allargata, che prevede, nei casi di condanna o di patteggiamento per una serie di reati (in buona sostanza riconducibili alla criminalità organizzata), la c. obbligatoria dei beni nella disponibilità del condannato di valore sproporzionato al suo reddito dichiarato o alla sua attività economica, di cui non sia in grado di giustificare la lecita provenienza. Al centro delle strategie di contrasto alla criminalità organizzata si pone poi un’ulteriore di forma di c., quella di prevenzione, applicata all’esito del procedimento nei confronti degli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso (e associazioni a esse assimilate): si caratterizza per la destinazione sociale dei beni confiscati, per la cui gestione è stata istituita un’apposita agenzia nazionale. Emblematica del cambio di strategia è stata infine l'introduzione di una nuova forma di c. di valore, non più vincolata dal nesso di pertinenzialità e dunque applicabile ai beni di valore equivalente al provento (ovvero al prezzo) del reato, di cui il reo ha la disponibilità; la particolare efficacia dimostrata ne ha determinato una rapida espansione: tra le ipotesi più rilevanti sul piano applicativo sono da ricordare quella prevista per i reati contro la PA e, nella legislazione speciale, quella relativa ai reati tributari.