CONFESSIONE (XI, p. 116)
La confessione civile (p. 118). - Le varie teorie sulla confessione sono state riprese in esame, per stabilire la nozione di questo mezzo di prova nella dommatica del diritto. Mentre alla dottrina, che riconosceva alla confessione natura di negozio giuridico sostanziale, dispositivo del diritto, era venuta opponendosi quella che ne rilevava la funzione dispositiva nel processo e quindi la classificava tra i negozî giuridici processuali, nuovi dubbî sorgevano proprio sul carattere negoziale. Si è finito col tornare alla teoria che vede nella confessione una semplice dichiarazione di scienza e quindi ne sostiene la natura di prova legale.
Deriva da ciò che gli effetti della confessione non sono legati alla volontà del soggetto che la compie, ma si determinano per il fatto stesso della dichiarazione, anche se la volontà del confidente non tendeva affatto al risultato di ammettere il diritto dell'avversario. Movendo da ciò si deve risolvere la disputa insorta sotto l'impero del codice civile del 1865, se cioè i vizi del volere, errore, dolo e violenza, fossero o meno rilevanti per l'efficacia della confessione. Il codice del 1942 ha disposto che solo l'errore di fatto e la violenza possono invalidare la confessione, né questo contrasta con la teoria qui accolta, perché la violenza toglie libertà alla dichiarazione e ne infirma la forza probante. Altro problema discusso era quello della cosiddetta ammissione, cioè una confessione presunta la quale ha luogo allorché la parte non si presenta o rifiuta di rispondere. Il vigente codice processuale ha stabilito che spetta al giudice, valutato ogni altro elemento di prova, di ritenere come ammessi i fatti dedotti.
Bibl.: E. Betti, Diritto processuale civile italiano, Roma 1936, p. 415; F. Carnelutti, Sistema del diritto processuale civile, Padova 1936, p. 755; V. Andrioli, Confessione civile, in Nuovo Dig. it.; id., Commento al codice di procedura civile, Napoli 1945, pp. 137-143.