Abstract
L'analisi ha ad oggetto la descrizione dell'evoluzione normativa della conferenza di servizi, disciplinata negli artt. 14-14 quinquies della l. 7.8.1990, n. 241 e ss.mm.ii., quale istituto di coordinamento e semplificazione dell'azione amministrativa operante quando, in uno o più procedimenti, ad esigere tutela siano plurimi interessi pubblici e privati.
La conferenza di servizi è strumento di coordinamento e di semplificazione dell'azione amministrativa, la cui disciplina generale è contenuta negli artt. da 14 a 14 quinquies della l. 7.8.1990, n. 241.
Con l'affermazione dello Stato pluriclasse – connotato dall'emersione giuridica di una molteplicità di interessi settoriali – e con la frantumazione dello «Stato-cittadella» (Comporti, G.D., Il coordinamento infrastrutturale, Milano, 1996, 45) – che diede luogo a processi di disarticolazione degli apparati amministrativi non più ordinati in base al principio gerarchico – si avvertì sempre più fortemente la necessità di raccordare in un unico luogo di confronto interpubblicistico le posizioni e gli interessi convergenti in un dato procedimento amministrativo. Da qui la genesi dell'istituto della conferenza di servizi, dapprima forgiato dalla prassi amministrativa, poi disciplinato da legislazioni speciali soprattutto quale strumento "emergenziale", infine eretto a modulo generale del procedimento amministrativo dalla l. n. 241/1990 (Sticchi Damiani, E., La conferenza di servizi,in Scritti in onore di Pietro Virga, II, Milano, 1994, 1755 ss.; Palma, G., Conferenza di servizi ed accordi di programma, Napoli, 1994; Bertini, P., La conferenza di servizi, in Dir. amm., 1997, 271 ss.; Scoca, F.G., L'analisi giuridica della conferenza di servizi, in Dir. amm., 1999, 255 ss.; Cartei, G., Servizi (conferenza di), in Dig. pubbl., XIV, Torino, 1999, 65 ss.; Soricelli, G., Contributo in tema di conferenza di servizi, Napoli, 2000; Forte, P., La conferenza di servizi, Padova, 2000; D'Orsogna, D., Conferenza di servizi e amministrazione della complessità, Torino, 2002).
La conferenza di servizi comparve nella legge istitutiva dell'ENEL (l. 6.12.1962, n. 1643), ove però mancava ogni funzione "compositiva": tale tipologia di conferenza era diretta, piuttosto, al coinvolgimento periodico dei rappresentanti dell'utenza.
L'esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti divenne un connotato della conferenza di servizi a partire dalla l. 29.10.1987, n. 441 in materia di smaltimento di rifiuti (Soricelli, G., Conferenza di servizi, in Dig.. pubbl., Agg., Torino, 2005, 172 ss.). I successivi interventi degli anni '80 incisero sull'istituto ai fini della sua semplificazione: ad esempio, l'art. 27, co. 2, della l. 11.3.1988, n. 67 (in materia di realizzazione di opere e programmi pubblici) e l'art. 2 della l. 29.5.1989, n. 205 (riguardante gli interventi infrastrutturali per i campionati mondiali di calcio). In quest'ultimo caso, l'esito dei lavori della conferenza poteva comportare «la variazione anche integrativa agli strumenti urbanistici ed ai piani territoriali» e proprio il riconoscimento di tale facoltà apparve invasivo della sfera di competenza riservata ai comuni, al punto che venne sollevata questione di costituzionalità, poi dichiarata infondata da C. cost., 16.2.1993, n. 62 (su cui Pastori, G., Conferenza di servizi e pluralismo autonomistico, in Le Regioni, 1993, 1563 ss.) per violazione del principio di autonomia garantito dall'art. 128 Cost. (Civitarese Matteucci, S., Conferenza di servizi, in Enc. dir., Ann., II, Milano, 2008, 271 ss.).
L'art. 4, l. 15.12.1990 recante interventi per Roma capitale e l'art. 2, co. 15, d.l. n. 15.12.1990, poi convertito in l. 29.1.1992, in tema di «alienazione di beni patrimoniali suscettibili di destinazione economica», si caratterizzarono per l'attribuzione a figure politiche del potere di convocazione della conferenza (nel primo caso al Sindaco, nel secondo caso al Ministro delle Finanze: cfr. Soricelli, G., Conferenza di servizi, cit., 179).
L'introduzione dell'istituto della conferenza di servizi come modello generale si deve all'art. 14 della l. 7.8.1990, n. 241, quale espressione della necessità avvertita dal legislatore di dettare una disciplina in grado di razionalizzare i molteplici schemi che la conferenza aveva assunto in settori eterogenei.
In base alla formulazione originaria dell'art. 14, la conferenza di servizi poteva essere indetta in due casi: qualora fosse opportuno effettuare un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo; qualora l’amministrazione procedente dovesse acquisire intese, concerti, nulla osta, assensi comunque denominati di altre p.a. (art. 14, co. 1 e co. 2). In caso di mancata partecipazione dell'amministrazione, seppur regolarmente convocata, o in caso di partecipazione della stessa tramite rappresentanti privi della competenza ad esprimerne definitivamente la volontà, l’assenso si reputava acquisito, salva la comunicazione di motivato dissenso entro i venti giorni successivi alla conferenza o alla comunicazione delle determinazioni adottate (se di contenuto difforme da quelle originariamente previste). Le regole circa l'assenso presunto in caso di mancata partecipazione venivano tuttavia ad essere derogate per le p.a. preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute (art. 14, co. 4).
Il testo originario dell'art. 14 chiariva, soprattutto, che «le determinazioni concordate nella conferenza tra tuttele amministrazioni intervenute tengono luogo degli atti predetti», così codificando un criterio unanimistico rispetto alla dinamica decisionale della conferenza (art. 14, co. 3).
A partire dal 1990, il testo della l. n. 241/1990 ha subito una serie numerosissima di modifiche e addizioni con riferimento alla conferenza di servizi, conducendo all'attuale situazione di "ipertrofia regolativa" in cui all'istituto sono dedicati ben cinque articoli per un totale di oltre trenta commi.
Solo ripercorrendo la successione e i contenuti dei principali interventi di novellazione intervenuti nel tempo è possibile comprendere come la conferenza abbia potuto assumere l'attuale fisionomia, per molti versi contraddittoria rispetto alle originarie premesse.
Muovendo dalla l. 24.12.1993, n. 537, quest'ultima aggiunse un co. 2-bis nell'art. 14 della l. n. 241/1990 con la scopo di introdurre una prima deroga al criterio unanimistico: qualora nella conferenza l’unanimità non fosse stata raggiunta, le relative determinazioni potevano essere assunte dal Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, con i medesimi effetti giuridici dell'approvazione all'unanimità.
Numerose furono anche le modifiche apportate dalla l. 15.5.1997, n. 127.
In base alla novella del 1997, la fissazione del termine per la decisione avveniva nella prima riunione utile della conferenza (art. 14, co. 2-bis); decorso inutilmente il termine, in caso di motivato dissenso di un'amministrazione, l'amministrazione procedente poteva assumere la determinazione di conclusione positiva del procedimento e darne comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri (qualora fossero coinvolte p.a. statali) ovvero al Presidente della regione ed ai sindaci (in tutti gli altri casi) (art. 14, co. 3-bis). Veniva attribuito al Presidente del Consiglio dei ministri, o al Presidente della regione e dei sindaci, il potere di sospensione della determinazione inviata dall'amministrazione procedente (art. 14, co. 3-bis). Il Presidente del Consiglio dei ministri, in caso di motivato dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico e della salute, poteva assumere la determinazione di conclusione del procedimento (art. 14, co. 4). Veniva riconosciuta in via generale la possibilità, ad opera di una delle amministrazioni deputate a curare l'interesse prevalente, di convocare la conferenza di servizi in caso di esame contestuale di interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi reciprocamente connessi, riguardanti medesimi risultati o attività (art. 14, co. 4-bis). Faceva la sua comparsa anche un primo modello di conferenza di servizi obbligatoria, relativa alle attività procedimentali riguardanti opere pubbliche superiori a 30 miliardi di lire ovvero opere di interesse statale o interregionale (art. 14 bis, co. 1).
La l. 24.11.2000, n. 340 ha rappresentato un intervento di novellazione di più vasta portata, rimodellando in maniera decisiva la fisionomia che la conferenza di servizi, almeno in alcuni tratti fondamentali, conserva tuttora tranne che per la disciplina dei meccanismi decisionali (su cui v. infra).
La novella del 2000 ha codificato l'obbligo giuridico di indire la conferenza di servizi («la conferenza di servizi è sempre indetta») qualora l'amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nulla osta o assensi comunque denominati di altre p.a. e non li ottenga entro quindici giorni dall'inizio del procedimento, avendoli formalmente richiesti (art. 14, co. 2). Ha inoltre valorizzato il ruolo dei privati, in diversi modi. Basti considerare che, per progetti particolarmente complessi, l'interessato, con motivata e documentata richiesta, è legittimato a proporre istanza di convocazione della conferenza, al fine di verificare le condizioni per ottenere i necessari atti di consenso (art. 14 bis, co. 1). Circa le procedure di realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico, la conferenza è chiamata a pronunciarsi in merito ai progetti preliminari al fine di indicare quali siano le condizioni per ottenere, per il progetto definitivo, intese, pareri, concessioni, etc. (art. 14 bis, co. 2); in caso di valutazione di impatto ambientale (VIA), la conferenza di servizi è chiamata ad esprimersi sulla fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio di impatto ambientale, indicando, qualora non sussistano elementi di incompatibilità del progetto, le condizioni per ottenere, in sede di presentazione del progetto definitivo, i necessari atti di consenso (art. 14 bis, co. 3). Infine, in caso di conferenza indetta per progetti di particolare complessità, per procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche e di interesse pubblico ovvero in occasione della VIA, sono ammesse modifiche o integrazioni alle indicazioni fornite in sede di conferenza solo in presenza di significativi elementi emersi in fasi successive del procedimento anche alla luce delle osservazioni dei privati sul progetto definitivo (art. 14 bis, co. 4). Sul piano dell'efficienza del segmento procedimentale rappresentato dalla conferenza di servizi, è stato introdotto il criterio della maggioranza dei presenti ai fini delle determinazioni relative all'organizzazione dei lavori della conferenza (art. 14 ter, co. 1); è stata stabilita una scansione serrata dei lavori della conferenza (art. 14 ter, co. 2); è stato introdotto il limite di novanta giorni per l'ultimazione dei lavori (salvi i casi in cui, essendo richiesta la VIA, deve attendersi l'acquisizione della valutazione medesima) (art. 14 ter, co. 3 e co. 4); si è stabilito che l'assenso dell'amministrazione si considera acquisito se i rappresentanti non ne esprimono definitivamente la volontà (art. 14 ter, co. 7) e che, in sede di conferenza, la richiesta di chiarimenti o documenti ai proponenti dell'istanza o ai progettisti è ammessa una sola volta; in caso di mancato adempimento entro i successivi trenta giorni si procede comunque (art. 14 ter, co. 8). Di grande rilievo sono le previsioni contenute nella l. 24.11.2000, n. 340 in ordine ai meccanismi decisionali, seppur oggi superate: di questo corpus di regole sopravvive ancora quella secondo cui il dissenso, «a pena di inammissibilità», deve essere manifestato nella conferenza di servizi, deve essere congruamente motivato, non può riferirsi a questioni connesse che non costituiscono oggetto della conferenza e deve indicare le modifiche utili ai fini dell'assenso (art. 14 quater, co. 1). Dopo aver rimarcato la necessità che il provvedimento finale fosse «conforme» alla determinazione conclusiva favorevole positiva della conferenza al fine di poter sostituire, a tutti gli effetti, ogni atto di assenso comunque denominato di competenza delle p.a. partecipanti, o comunque invitate a partecipare (art. 14 ter, co. 9, poi abrogato dalla normativa successiva), in ordine al criterio decisionale si stabiliva che, qualora una o più amministrazioni avessero espresso il proprio dissenso, la determinazione di conclusione del procedimento fosse assunta dall'amministrazione procedente sulla base della «maggioranza» delle posizioni espresse in sede di conferenza (art. 14 quater, co. 2; il criterio della maggioranza numerica è stato tuttavia superato dalla normativa successiva, con l'abrogazione di tale disposizione: v. infra). In caso di dissenso espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, la decisione veniva assunta dal Consiglio dei ministri (nel caso in cui la p.a. dissenziente o procedente fosse una p.a. statale) ovvero dai competenti organi collegiali esecutivi degli enti territoriali (nelle altre ipotesi) (art. 14 quater, co. 3; anche su questo punto è intervenuta in modifica la normativa successiva). Infine, in caso di dissenso della Regione, le determinazioni del Consiglio dei ministri erano assunte con l'intervento del Presidente della giunta regionale interessata, il quale veniva invitato formalmente alla riunione senza diritto di voto (art. 14 quater, co. 4; la disposizione è stata poi abrogata).
La l. 11.2.2005, n. 15 ha segnato un'ulteriore tappa nel processo di evoluzione dell'istituto. A seguito della novella del 2005, in caso di assunzione di intese, concerti, nulla osta et similia, la conferenza di servizi di natura decisoria «è sempre indetta» qualora l'amministrazione procedente non ottenga i medesimi entro trenta giorni (non più quindici) dalla ricezione, da parte dell'amministrazione competente, della relativa richiesta (non più dall'inizio del procedimento); in più, la conferenza decisoria «può essere altresì indetta» qualora nello stesso termine sia intervenuto il dissenso di una o più amministrazioni interpellate (art. 14, co. 2). Nel caso di affidamento di concessione di lavori pubblici, il potere di convocazione della conferenza è esteso anche al concessionario, previo consenso del concedente (art. 14, co. 5). La conferenza di servizi è convocata e svolta tramite strumenti informatici (art. 14, co. 5-bis) (si veda Duni, G., Amministrazione digitale, in Enc. dir., Ann., I, Milano, 2007, 13 ss.). Si stabilisce che la conferenza di servizi possa essere convocata anche per insediamenti produttivi di beni e servizi, su motivata richiesta dell'interessato (art. 14 bis, co. 1) e che il termine di conclusione della conferenza resta sospeso, per un massimo di novanta giorni, ai fini dell'acquisizione della pronuncia sulla compatibilità ambientale (art. 14 ter, co. 4). In ordine al criterio decisionale, con una scelta di importanza fondamentale ma non priva di incertezze ai fini della sua concreta applicazione, viene abbandonato il criterio della maggioranza numerica delle posizioni, sostituito dal criterio della «prevalenza»(intesa in senso anche qualitativo e non meramente quantitativo) delle posizioni (art. 14 ter, co. 6-bis). La dottrina non ha mancato di mettere in luce come il superamento della logica della maggioranza numerica abbia allontanato definitivamente la conferenza di servizi dal modello dell'organo collegiale (Civitarese Matteucci, S., Conferenza di servizi, cit., 283); anche la giurisprudenza ne ha tratto argomenti in tal senso (così, diffusamente, Cons. St., sez. V, 27.8.2014, n. 4374). D'altro canto, dopo aver sottolineato che la prevalenza si riferisce ad «una maggioranza non numerica ma qualitativa, fondata sul consenso o dissenso delle amministrazioni più "importanti" nel singolo caso», si è osservato che in concreto «a stabilire quale sia la posizione prevalente è l'amministrazione procedente, con riferimento al potere che ciascuna delle amministrazioni intervenute avrebbe di determinare l'esito, positivo o negativo, del procedimento» (Amorosino, S., La semplificazione amministrativa e le recenti modifiche normative alla disciplina generale del procedimento, in Foro amm.-Tar, 2005, 2635 ss., 2641), il che genera non poche perplessità alla luce del principio di legalità nella predeterminazione e ripartizione delle competenze amministrative e del principio di certezza del diritto, consegnando all'interprete un criterio che rischia di essere arbitrario e aleatorio ai fini della decifrazione giuridica dei risultati della conferenza. Quanto alla disciplina dei dissensi, essaè stata costruita dalla l. 11.2.2005, n. 15 sulla logica della concertazione e non della sostituzione (v. Gardini, G., La conferenza di servizi, in Giorn. dir. amm., 2005, 488 ss.) Tale disciplina (tuttavia incisivamente modificata dalla normativa successiva), in caso di motivato dissenso espresso da una amministrazione preposta alla tutela ambientale,paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, prevedeva che la decisione fosse rimessa: al Consiglio dei ministri, in caso di dissenso fra amministrazioni statali; alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (Conferenza Stato-Regioni),in caso di dissenso tra una p.a. statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; alla Conferenza unificata di cui all'art. 8, d.l. 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso fra una p.a. statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali; la decisione veniva assunta nei trenta giorni successivi. Qualora il motivato dissenso fosse invece espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di competenza, la determinazione sostitutiva veniva rimessa, entro dieci giorni: alla Conferenza Stato-Regioni, in caso di dissenso tra una p.a. statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; alla Conferenza unificata,in caso di dissenso tra una regione o provincia autonoma e un ente locale (art. 14 quater, co. 3 e co. 3 bis, quest'ultimo successivamente abrogato). Qualora la Conferenza Stato-Regioni o la Conferenza unificata non avessero provveduto nei termini, la decisione, su iniziativa del Ministero per gli affari regionali, veniva rimessa, in base alle rispettive competenze, al Consiglio dei Ministri, alla Giunta regionale, alle Giunte delle province autonome, le quali assumevano le determinazioni sostitutive nei successivi trenta giorni. Solo nel caso estremo di inerzia della Giunta regionale o della provincia autonoma, la decisione veniva infine rimessa al Consiglio dei Ministri, che deliberava con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni interessate (art. 14 quater, co. 3-ter, successivamente abrogato). Infine, la l. 11.2.2005, n. 15 ha introdotto l'art. 14 quinquies, rubricato «Conferenza di servizi in materia di finanza di progetto»: per questa fattispecie, la convocazione è estesa anche ai soggetti aggiudicatari di concessione ex art. 37 quater della l. 11.2.1994, n. 109, ovvero alla società di progetto di cui all'art. 37 quinquies della medesima legge, senza diritto di voto.
È poi intervenuta la l. 18.6.2009, n. 69. La novella del 2009 ha affiancato la conferenza di servizi telematica a quella informatica introdotta con la l. n. 15/2005 (art. 14 ter, co. 1). Essa ha inoltre ulteriormente "aperto" la conferenza di servizi alla partecipazione dei privati: la convocazione ai fini della partecipazione alla conferenza è estesa infatti, senza diritto di voto, ai soggetti proponenti del progetto di cui si discute in conferenza (art. 14 ter, co. 2-bis); possono partecipare alla conferenza, sempre senza diritto di voto, i concessionari ed i gestori di pubblici servizi (qualora il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza abbia effetto anche indiretto sulla loro attività), oltre alle amministrazioni preposte alla gestione delle eventuali misure pubbliche di agevolazione (art. 14 ter, co. 2-ter).
Il d.l. 31.5.2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla l. 30.7. 2010, n. 122 è nuovamente intervenuto sul testo della l. n. 241/1990 con innovazioni importanti. Viene testualmente stabilito che l'amministrazione «può indire» (non «indice di regola», come invece nel testo previgente) una conferenza di servizi di natura istruttoria qualora sia opportuno effettuare un esame contestuale dei vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo (art. 14, co. 1): ne deriva un regresso dalla regola dell'obbligatorietà tendenziale a quella della facoltatività della conferenza di servizi istruttoria. In base alla novella del 2010, inoltre, la conferenza di servizi di natura decisoria «può essere indetta» (salva la regola generale dell'obbligatorietà di cui alla disciplina previgente, che resta confermata) quando sia intervenuto nel termine il dissenso di una o più amministrazioni interpellate ovvero nei casi in cui è consentito all'amministrazione procedente di provvedere direttamente in assenza delle determinazioni delle amministrazioni competenti (art. 14, co. 2). Qualora, all'esito dei lavori della conferenza, il rappresentante della amministrazione non abbia espresso definitivamente la volontà dell'amministrazione rappresentata, l'assenso si considera acquisito anche nel caso in cui tale amministrazione sia preposta alla tutela della salute, della pubblica incolumità, paesaggistico-territoriale e dell'ambiente (art. 14 ter, co. 7). Viene abrogato il co. 9 dell'art. 14 ter, relativo alla necessità della conformità del provvedimento finale alle risultanze della conferenza: si tratta, anche in questo caso, di una modifica rilevante, perché elimina uno degli argomenti a favore della tesi della natura meramente "dichiarativa" del provvedimento finale (con la connessa problematica dell'individuazione di quale atto –il verbale conclusivo della conferenza o il provvedimento finale –sia quello immediatamente impugnabile a pena di decadenza). La tesi della "dichiaratività" del provvedimento finale è sostenuta da una parte della dottrina (v. per ampi riferimenti bibliografici Cocozza, G., Il provvedimento finale nella conferenza di servizi, in Dir. amm., 2012, 503 ss.) ma è contrastata da altro orientamento dottrinale (v. ad es. Pagliari, G., La conferenza di servizi, in Sandulli, M.A., a cura di, Codice dell’azione amministrativa, Milano, 2011, 607 ss., 636, che la definisce «una contraddizione in termini») e soprattutto dalla giurisprudenza più recente (ex multis, cfr. Cons. St., Sez. V, 23.12.2013, n. 6192). Circa la nuova disciplina sui dissensi, viene chiarito che la remissione al Consiglio dei ministri avviene in ossequio ai principi di leale collaborazione ed ai principi espressi nell'art. 120 Cost. e che,una volta rimessa la questione al Consiglio dei Ministri, quest'ultimo si pronuncia entro sessanta giorni previa intesa con la Regione o le Regioni e le Province autonome interessate, in caso di dissenso tra una p.a. statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali, ovvero previa intesa con la Regione e gli enti locali interessati, in caso di dissenso tra un'amministrazione statale o regionale e un ente locale o più enti locali; la deliberazione del CdM può essere comunque adottata (anche in mancanza dell'intesa) entro trenta giorni; se l'intesa non è raggiunta nei trenta giorni successivi, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti o delle Province autonome interessate» (art. 14 quater, co. 3). Quest'ultimo inciso, tuttavia, è stato dichiarato incostituzionale da C. cost., 2.11.2012, n. 179 (Mantegazza, L., Conferenza di servizi: l'esigenza di semplificazione recede davanti alle competenze regionali, in Urb. app., 2012, 1253 ss.).
La l. 7.9.2012, n. 83 ha poi stabilito che la conferenza di servizi è sempre indetta in relazione alle procedure inerenti la finanza di progetto (art. 14 bis, co. 1-bis).
Il d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dallal. 17.12.2012, n. 221,ha introdotto ulteriori e definitive innovazioni in ordine alla disciplina dei dissensi, cristallizzandola nell'assetto attualmente vigente: se il dissensoproviene da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, ai fini dell'intesa viene indetta una riunione dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la partecipazione della regione o della provincia autonoma, degli enti locali e delle amministrazioni interessate; se l'intesa non è raggiunta nei trenta giorni successivi è indetta una seconda riunione; se non è comunque raggiunta l'intesa, in un ulteriore termine di trenta giorni, si avviano trattative finalizzate a risolvere la questione o, perlomeno, ad individuare i punti di dissenso; qualora l'intesa non sia ancora raggiunta, la deliberazione del Consiglio dei ministri può essere adottata con la partecipazione dei Presidenti delle regioni o delle province autonome interessate (art. 14 quater, co. 3). Si tratta della risposta del legislatore alla summenzionata declaratoria di incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale 2.11.2012, n. 179.
Infine, il d.l. 12.9.2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.11.2014, n. 164, oltre a stabilire che i termini di validità dei pareri o degli atti di assenso comunque denominati cominciano a decorrere dall'adozione del provvedimento finale (art. 14 ter, co. 8-bis), in materia di componimento dei dissensi ha qualificato la deliberazione del Consigliodei ministri come «atto di alta amministrazione» ed ha chiarito che lo stesso Consiglio dei Ministri è tenuto a deliberare «motivando un'eventuale decisione in contrasto con il motivato dissenso» (art. 14 quater, co. 3).
La l. n. 241/1990 presenta, al suo interno, una pluralità di modelli intrecciati di conferenza di servizi: alla tripartizione funzionale tra conferenza con finalità istruttoria (art. 14, co. 1 e co. 3), predecisoria (art. 14 bis) e decisoria (art. 14, co. 2 e co. 4), si sovrappone trasversalmente la bipartizione strutturale tra conferenza uniprocedimentale (in cui il procedimento principale è uno e tra la varie pp.aa. coinvolte solo una è titolare di poteri di amministrazione attiva) e pluriprocedimentale (nel caso opposto); vi si affianca inoltre il modello speciale rappresentato dalla conferenza di servizi in materia di finanza di progetto (art. 14 quinquies).
Esclusa da tempo la natura di organo collegiale (v. supra) della conferenza, ogni sua vocazione ad elevarsi sul piano propriamente organizzativo è in radice negata dal diritto positivo, che la schiaccia sul solo piano del procedimento amministrativo.
Nell'ispirazione dell'istituto continuano a coesistere due finalità (come conferma C. cost., 11.7.2012, n. 179, che richiama la propria precedente sentenza 16.2.1993, n. 62) connesse ma non coincidenti, entrambe dalla caratterizzazione giuridica ambigua. Da un lato, il coordinamento (v. Cortese, F., Il coordinamento amministrativo: dinamiche e interpretazioni, Milano, 2012, spec. 55 ss.) non più puramente interamministrativo, ma aperto anche alla valorizzazione del ruolo dei privati; dall'altro lato, la semplificazione. Tuttavia, entrambe le aspirazioni appaiono frustrate dall'assetto normativo attuale, in cui anche la plausibile riconduzione dottrinale della conferenza di servizi alla categoria teorica della «operazione amministrativa» (D'Orsogna, D., Contributo allo studio dell'operazione amministrativa, Napoli, 2005) trova un terreno ostile sul piano dell'effettività.
Il supposto coordinamento si è infatti allontanato dalla logica iniziale della consensualità che in passato aveva consentito a chi scrive di ipotizzare - ma in un contesto normativo ben diverso da quello attuale – la possibilità di ricondurre a un'unica radice le figure dell’accordo organizzativo ex art. 15 e della conferenza di servizi ex art. 14 della l. n. 241/1990. Il coordinamento che la conferenza di servizi mira a realizzare è attualmente svilito a una sorta di algoritmo meccanico (non per la composizione in senso autentico, ma piuttosto) per l'eclissi dei dissensi, attraverso meccanismi di tipo centralistico e di traslazione di scelte di natura amministrativa in sedi (come il Consiglio dei ministri) di decisione politica: dall'altro, caratterizzati da criteri decisionali ad alto tasso di indeterminazione quali la "prevalenza" delle posizioni. Tutto ciò vulnera principi fondamentali quali quelli di sussidiarietà e differenziazione, di distinzione tra indirizzo politico (parziale) e gestione amministrativa (imparziale), di legalità nella predeterminazione delle competenze amministrative, di certezza del diritto. A fronte di questo la giurisprudenza della Corte costituzionale oppone il solo argine della ricerca reiterata di intese, secondo il canone della leale collaborazione, lasciando spalancata la porta dell'unilateralizzazione dell'epilogo "nel merito" (antitesi della consensualità) purché i tentativi obbligatori di conciliazione tra le amministrazioni dissenzienti siano stati esperiti "in rito". Si tratta di un argine che non pare sufficiente a reggere la piena dei conflitti in essere, nel momento critico in cui versa l'ordinamento delle autonomie.
Quanto alla presunta semplificazione cui dovrebbe tendere la conferenza, non sembra di dover aggiungere altro a una lapidaria considerazione: «come si vede, la conferenza di servizi è uno strumento di semplificazione molto complicato» (D'Alberti, M., Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2012, 205).
Artt.14-14 quinquies, l. 7.8.1990, n. 241
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