CONDIZIONE (lat. conditio; fr. condition; sp. condición; ted. Voraussetzung, Bedingung; ingl. condition)
Il concetto di condizione è originariamente confuso con quello di causa. Lo stesso Aristotele fa della potenza, che è l'insieme delle condizioni necessarie all'esistenza determinata dell'essere, attraverso l'identificazione di potenza e materia, una causa. Solo attraverso il sillogismo ipotetico degli stoici si affaccia il concetto di condizione, non ancora il termine. Nel razionalismo spinoziano invece la causa tende a trasformarsi in condizione, in quanto il reale come totalità è causa sui, e ciò che si deve cercare è solo la specificazione di questa causa, cioè l'insieme delle circostanze che la differenziano.
Kant avendo ridotto la causa a una delle categorie che hanno valore esclusivamente nell'esperienza, non può servirsi del concetto di causa per spiegare la formazione dell'esperienza stessa: deve perciò ricorrere al concetto di "condizione" (Bedingung), che quindi è frequente nella Critica della ragion pura. Spazio e tempo sono, per esempio, condizioni dell'esperienza sensibile, e cioè l'esperienza sensibile non può prodursi se non nella forma del tempo e dello spazio, senza che perciò si debba dire che essa è prodotta dallo spazio e dal tempo. La condizione è perciò qualcosa che limita una forma originaria di attività (o una causa) costituendone la determinazione. Un'intuizione la quale non fosse limitata dal tempo e dallo spazio non sarebbe intuizione sensibile, ma un'altra specie di intuizione. Meno esatto è concepire le condizioni come circostanze concomitanti che concorrono passivamente e non attivamente alla produzione del fenomeno o dell'azione, poiché la limitazione, in quanto determinante non si può considerare come passiva.
In logica si chiama condizione ciò che, posto, fa porre il condizionato e, tolto, toglie il condizionato. Il rapporto di condizione e condizionato sta dunque a indicare la connessione necessaria e non invertibile di due termini.
Diritto.
In senso rigorosamente tecnico-giuridico "condizione", è la disposizione accessoria, o clausola, aggiunta a un negozio giuridico, per la quale l'effetto della dichiarazione di volontà si fa dipendere dall'avverarsi o dal non avverarsi di un evento futuro e incerto. Per metonimia si dice pure condizione l'evento considerato nella clausola. La condizione è un elemento accidentale - cioè non essenziale né naturale - del negozio (detto in questo caso condizionale in contrapposto al negozio puro, sfornito cioè di clausole condizionali) e ha lo scopo di sospendere, limitare, modificare o distruggere, qualora sia adempita, gli effetti giuridici ch'esso normalmente produrrebbe. In questo senso si dice che la condizione è una limitazione o un'autolimitazione che il volere pone alla sua estensione.
Non sono veramente condizioni - e perciò si dicono improprie - quelle che hanno per oggetto eventi necessarî: eventi, cioè che immancabilmente avverranno secondo l'ordine di natura, sì che, potendovi essere incertezza soltanto nel termine e non già nell'efficacia della volontà dichiarata, il negozio subordinato all'avverarsi di tali eventi è puro. Improprie sono anche le condizioni che hanno per oggetto un evento impossibile, naturalmente - sia assolutamente, cioè rispetto a tutti, sia relativamente alla persona che dovesse procurarlo - o giuridicamente. Si considerano giuridicamente impossibili gli eventi posti in condizione, se contrarî ai buoni costumi o alla legge. La condizione naturalmente o giuridicamente impossibile, togliendo la serietà alla volontà dichiarata, di regola rende nullo il negozio; ma, per considerazioni di ordine pratico, la legge stabilisce che nel testamento le condizioni impossibili e quelle contrarie alla legge o ai buoni costumi si hanno come non scritte ma non sono cagione di nullità. Dovendo la condizione propria riferirsi a un evento futuro è implicita in essa la fissazione del termine: sono perciò improprie, o meramente apparenti, le condizioni che si riferiscono a un fatto presente o passato, ancor che ignorato dai dichiaranti. Tra le improprie può annoverarsi anche la condizione meramente potestativa, cioè quella che fa dipendere l'efficacia della dichiarazione dal mero arbitrio del dichiarante. Condizioni improprie sono infine le cosiddette condiciones iuris, ossia gli elementi necessarî a dar vita al negozio giuridico voluto dai dichiaranti.
La condizione propria può essere: sospensiva, se il negozio non ha efficacia finché l'evento non s'avveri; risolutiva, se il negozio ha efficacia immediata ma avverandosi l'evento è posto nel nulla come se non fosse mai esistito; casuale, se si riferisce a un evento fortuito; potestativa, se l'adempimento dipende dalla volontà dei dichiaranti o di uno di essi (ma l'avverarsi dell'evento dipendente dalla volontà deve essere obiettivamente controllabile e sindacabile, altrimenti si avrebbe l'accennata condizione impropria detta meramente potestativa); mista, se dipende a un tempo dalla volontà dei dichiaranti o di uno di essi e dalla volontà di un terzo o da un evento fortuito; positiva, se si riferisce all'avverarsi di un evento; negativa, se al non avverarsi; espressa, se risulta da un'esplicita dichiarazione; tacita, se risulta implicitamente dalla volontà dichiarata o è presunta dalla legge.
La legge considera come sempre sottintesa nei contratti bilaterali la cosiddetta condizione risolutiva tacita per il caso che una delle parti si renda inadempiente. Ma, a rigor di termini, questa non è una vera condizione, è invece una regola di equità istituita per mantenere l'equilibrio delle prestazioni corrispettive: infatti non opera di diritto e per la sola volontà delle parti come la vera e propria condizione, il cui avveramento in caso di lite dev'essere senz'altro dichiarato dal giudice; ma l'applicazione ne è rimessa all'apprezzamento del giudice il quale deve tener conto della maggiore o minore gravità dell'inadempimento e, secondo le circostanze, può anche concedere una dilazione all'inadempiente.
Se a un negozio sono apposte più condizioni esse possono essere divisibili o indivisibili, secondo che l'efficacia o la risoluzione del negozio si faccia dipendere dall'avverarsi o dal non avverarsi di tutti gli eventi in esse considerati o di alcuno di essi; alternative, se basta l'avverarsi o il non avverarsi di uno tra due o più eventi considerati. Non a tutti i negozî è apponibile la condizione: ve ne sono di quelli che per la loro importanza sociale o per la loro struttura giuridica non soffrono limitazione di alcuna condizione, sì che debbono nascere puri; così il matrimonio, l'adozione, la legittimazione, il riconoscimento dei figli naturali.
Finché rimane incerto l'evento posto in condizione, questa si dice pendente. Nello stato di pendenza chi ha un diritto sottoposto a condizione risolutiva lo può far valere come se il negozio fosse puro, salvo la rimessione in pristino se l'evento si avveri. Nella pendenza della condizione sospensiva il creditore non può pretendere l'adempimento ma può esercitare gli atti conservativi del suo diritto, contro il quale, finché la pendenza dura, non corre la prescrizione. L'avveramento della condizione sospensiva fa retroagire l'efficacia del negozio, che in tal caso si dice purificato, al momento della didichiarazione di volontà. Il mancato avveramento della condiziine sospensiva fa venir meno ogni efficacia al negozio, che si considera giuridicamente come mai esistito. Il mancato avveramento della condizione risolutiva rende definitivamente irrevocabile il negozio; l'avverarsi della condizione risolutiva rimette le cose nello stato in cui erano al momento della dichiarazione, come se il negozio non avesse mai avuto luogo.
Bibl.: G. Chironi e L. Abello, Trattato di diritto civile italiano, Torino 1904, p. 431 segg.; C. Windscheid, Diritto delle pandette (trad. Fadda e Bensa), Torino 1902, I, libro II, p. 345 segg.