concubina
. Questo sostantivo è adoperato una sola volta a denotare l'Aurora, personificata in una giovane donna, nell'esordio astronomico di Pg IX I La concubina di Tifone antico / già s'imbiancava al balco d'orïente, / fuor de le braccia del suo dolce amico (da escludere col Petrocchi la lettura ‛ Titano ' e quindi l'equivalenza di c. a " Teti, e cioè, nell'immagine dantesca, l'onda marina "). Il termine - in questo senso ‛ hapax ' - è qui da intendere, senza la sfumatura negativa o peggiorativa che assumerà in seguito (" compagna di letto ") sotto la spinta della matrice etimologica (concumbere), come " moglie ", " legittima sposa ": nel solco di un'immagine virgiliana due volte iterata nel poema (Aen. IV 584-585 e IX 459-460 " Et iam prima novo spargebat lumine terras / Tithoni croceum linquens Aurora cubile... ") e già esibita con lievi differenze in Georg. I 446-447 (" ubi pallida surget / Tithoni croceum linquens Aurora cubile ").
Tuttavia c. poté valere anche per D. " donna che convive con un uomo, pur non essendone la moglie ", nell'unico luogo di Cv II XIV 20 Di costei [la divina scienza] dice Salomone: " Sessanta sono le regine, e ottanta l'amiche concubine; e de le ancille adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia ", che parafrasa quasi alla lettera il Canticum Canticorum 6, 7-8 " Sexaginta sunt reginae, et octoginta concubinae, / et adulescentularum non est numerus; / una est columba mea, perfecta mea " (il riscontro del latino toglie credito a una possibile interpretazione di c. in funzione aggettivale rispetto ad amiche).