concorrenza perfetta
Ipotesi e caratteristiche del modello di concorrenza perfetta
Il mercato ideale di concorrenza perfetta si fonda su 5 ipotesi fondamentali ed è descritto da due caratteristiche principali.
Per la prima ipotesi, il prodotto venduto da tutte le imprese e acquistato dai consumatori è perfettamente omogeneo. Per la seconda, la numerosità degli operatori, tanto di quelli che offrono quanto di quelli che domandano il bene, è molto elevata, sicché nessuno di essi singolarmente è in grado di determinare il prezzo, ma tutti lo considerano come un dato su cui non hanno influenza. Ciò implica che ogni impresa, massimizzando il proprio profitto, produce fino al punto in cui il costo marginale dell’ultima unità, generalmente crescente all’aumentare delle quantità, sia uguale al prezzo; e che ogni consumatore, massimizzando il suo benessere individuale o, come si dice, la sua utilità, acquisti volumi dei vari beni fino a che l’utilità marginale (il beneficio ottenuto dalla dose addizionale, positivo ma decrescente all’aumentare della quantità), ponderata per il prezzo, sia uguale per tutti i beni. Con la terza condizione, vi è assoluta libertà d’ingresso nel mercato, sicché, se il costo marginale fosse – data la seconda ipotesi – reso pari al prezzo, non al livello dove quello è minimo e sussistessero sovraprofitti, nuove imprese entrerebbero nel mercato, offrendo ulteriori unità: questo fa scendere il prezzo al più basso costo marginale, compatibile con le migliori tecniche, con la produttività marginale dei fattori e con i loro compensi. Con la quarta ipotesi si assume esista perfetta informazione, senza asimmetrie fra compratori e venditori e senza opacità, in modo che non rimangano opportunità non sfruttate e che si possa formare un prezzo unico per lo stesso bene. Tale risultato è assicurato anche dalla quinta e ultima ipotesi, secondo cui le numerose contrattazioni sul mercato sono tutte simultanee e avvengono una volta espletata la fase delle trattative. I meccanismi previsti per queste ultime sono molteplici: per es., F.Y. Edgeworth suppone che si svolgano scambi di opinione individuali, mentre L.M.E. Walras descrive un caso di banditore che funge da informatore centralizzato di tutte le proposte di domanda e di offerta, il quale immediatamente alza il prezzo quando inizialmente appare che la domanda ecceda l’offerta e lo abbassa nel caso contrario. Il prezzo di equilibrio si ottiene quando la domanda eguaglia l’offerta. A quel punto si apre la fase dello scambio, in cui chiunque voglia comperare trova la sua controparte disposta a vendere e viceversa.
Date queste 5 ipotesi, si dimostra che si raggiunge un equilibrio, con eguaglianza di domanda e di offerta in tutti i mercati: esso esiste, è unico ed è stabile, nel senso che il movimento verso l’equilibrio è istantaneo e infinitamente veloce. In tale equilibrio generale (➔ equilibrio competitivo), due caratteristiche descrittive emergono per la loro importanza. In primo luogo, in concorrenza perfetta esso è efficiente. Infatti non vengono prodotti quei beni che danno una utilità marginale così scarsa da non invogliare i consumatori a pagare un prezzo positivo. D’altra parte non esistono sprechi, nel senso che solo le imprese capaci di produrre al minimo costo rimangono sul mercato e i volumi prodotti non sono né di meno né di più di quelli desiderati dagli acquirenti. Poiché il prezzo di equilibrio corrisponde sia al costo marginale sia all’utilità marginale dei beni, la concorrenza perfetta assicura che venga messo sul mercato solo ciò che dà una soddisfazione identica alla spesa necessaria per realizzarlo. In secondo luogo, oltre che per l’efficienza, l’equilibrio di concorrenza perfetta si caratterizza principalmente per l’equità, perché i sovraprofitti sono eliminati e i costi marginali minimi pagati sono quelli a cui ogni mezzo di produzione riceve un compenso esattamente eguale alla sua produttività marginale. Non può ricevere di più perché, se così fosse, le imprese incorrerebbero in perdite e uscirebbero, pertanto, dal mercato, riducendo l’offerta, il che contrasta con l’ipotesi iniziale dell’equilibrio. Ma nessun fattore di produzione può nemmeno ottenere una retribuzione inferiore alla sua produttività marginale, perché se così fosse, si creerebbero sovraprofitti e nuove aziende entrerebbero nel mercato, il che è contrario all’ipotesi di equilibrio da cui si è partiti. L’eguaglianza fra compenso e produttività marginale di ogni mezzo di produzione identifica quindi un risultato che garantisce insieme l’equità e l’efficienza.
Dal punto di visto prescrittivo, l’equilibrio di concorrenza perfetta, pur essendo conseguito attraverso la massimizzazione sotto vincolo dei tornaconti personali, è in grado di portare al massimo benessere sociale. Per capirlo e per comprendere i due teoremi fondamentali dell’economia del benessere (➔ benessere, teoremi dell’economia del), è necessario premettere una precisazione sul concetto di ottimo paretiano (➔ Pareto, ottimo di): date le risorse produttive e la loro distribuzione fra individui, date le tecnologie produttive e i gusti dei consumatori, un’allocazione è detta ottimale per una società se non ne esiste alcun’altra che consenta di accrescere l’utilità di un individuo senza diminuire quella di almeno un altro. I due teoremi del benessere sono allora formulabili nel modo seguente: a) ogni allocazione corrispondente a un equilibrio di concorrenza perfetta è ottima in senso paretiano, e vi sono molteplici allocazioni ottime in funzione della diversa distribuzione iniziale delle risorse; b) ogni ottimo paretiano può essere ottenuto da un equilibrio di concorrenza perfetta, purché le risorse iniziali siano opportunamente allocate tra gli individui.
La concorrenza perfetta implica dunque efficienza, equità e ottimalità sociale, ma la realtà dei mercati non corrisponde al modello teorico basato sulle 5 ipotesi sopra evidenziate. È compito della politica economica adoperarsi per avvicinare le condizioni fattuali a quelle paradigmatiche del benchmark (➔). Una situazione concorrenziale non è assimilabile a una di laissez faire (➔) o di laissez passer (➔). Tuttavia, l’approssimazione rimane parziale, perché quegli assunti restano in ogni caso astratti e tendenzialmente irraggiungibili. Il policy making ha però molti strumenti a sua disposizione, prima di tutto per imporre regole adeguate agli agenti economici, secondariamente per controllare e, se è il caso, sanzionare, i loro comportamenti anticompetitivi attraverso istituzioni appropriate (➔ concorrenza, tutela della). Le prassi corrette, laddove si instaurano nella società, sono la conseguenza di interventi normativi e istituzionali e sono tanto più probabili quanto più questi ultimi si fondano su principi solidi e coerenti con le 5 ipotesi della concorrenza perfetta.