CONCORDATO
. In generale è una convenzione, un accordo su determinati oggetti. Nel linguaggio pubblicistico significa principalmente una convenzione fra la Chiesa e uno stato per regolare materie di comune interesse. Data la posizione antitetica in cui vennero per lo più a trovarsi, sul punto relativo ai rapporti fra il potere secolare e quello spirituale, i principî affermati rispettivamente dalla chiesa e dallo Stato (v. chiesa, X, pp. 46-48), sorse storicamente la necessità, per porre termine ai contrasti o per mantenere l'accordo, di addivenire da entrambe le parti a transazioni, atte a temperare sul terreno della pratica l'assolutezza dei principî teorici. Di qui i concordati che rappresentano uno dei modi più frequenti coi quali sono oggi regolate le relazioni fra la Chiesa e i diversi stati.
Considerato sotto l'aspetto strettamente giuridico, il concordato è un atto per mezzo del quale la Chiesa si obbliga ad emanare norme, a compiere atti nel territorio dello Stato e concedere privilegi alle autorità civili di esso, mentre lo Stato dal canto suo si obbliga a emanare date norme o a non emanarne, e a compiere o a non compiere dati atti amministrativi in materia ecclesiastica e a riconoscere l'efficacia del diritto canonico in date materie, "e dall'una parte e dall'altra si rinuncia a pretese fondate rispettivamente sul diritto canonico o sul diritto statuale" (Falco). Oggetto di concordato possono essere materie spirituali, miste e temporali. Fra le prime si comprende quanto concerne la liturgia (ad es., il canto di determinate preghiere per il sovrano o per lo Stato, ecc.), la promozione agli ordini sacri o la nomina a dignità ecclesiastiche, la determinazione delle circoscrizioni ecclesiastiche, ecc.; fra le seconde quanto concerne l'educazione, il matrimonio, ecc.; fra le ultime quanto, concerne la proprietà ecclesiastica, il regime fiscale, ecc. Si è discusso su ciò che possa lecitamente e validamente essere oggetto di concordato, in quanto la Chiesa e lo Stato abbiano uffici cui non possono rinunziare e poteri ai quali non potrebbe consentirsi alcuna limitazione. Una tale indagine però in linea di principio sembra vana, attesa anche l'immensa varietà delle condizioni storiche e pratiche dei luoghi e dei tempi in cui può rendersi necessaria od opportuna la stipulazione di un concordato. Talora i concordati concernono argomenti particolari controversi fra Chiesa e Stato, talora regolano invece la totalità dei rapporti fra le due podestà in uno stato. Col primo sistema si hanno quindi tanti concordati quante le questioni da definire (ad esso si attenne ad esempio il Regno di Sardegna); col secondo invece si ha un unico documento, per così dire una fondamentale carta generale (cfr. il concordato del 1818 col Regno delle Due Sicilie e quello del 1929 con l'Italia).
La forma esteriore assunta dai concordati è più comunemente quella di un atto bilaterale, a cui partecipano insieme entrambe le parti interessate, che lo sottoscrivono a mezzo dei loro rappresentanti, analogamente alle ordinarie convenzioni internazionali: tali i vecchi concordati concernenti l'Italia, quello francese del 1801, e in genere i più recenti fra cui quello già ricordato del 1929. Talora possono invece presentarsi sotto la forma di due atti unilaterali e distinti, uno della Chiesa e l'altro dello Stato, che si corrispondono e si completano nel senso fra le parti precedentemente convenuto; tale il concordato di Worms del 1122. Infine può esservi un atto unico, emanante dalla parte che deve dare esecuzione all'accordo interceduto; ad es., una bolla pontificia ricevuta e pubblicata come legge dallo stato cui è diretta (come per il concordato di Bologna del 1516 con la Francia), oppure una legge dello stato (come la legge modenese 8 maggio 1841) regolante materie ecclesiastiche nel senso stabilito con la curia romana. Ma anche in quest'ultima forma il carattere dell'atto è sempre essenzialmente contrattuale, in quanto esso trae origine dal consenso delle due parti.
In ordine alla competenza a stipulare il concordato, essa va determinata tenendo presente che, a parte la questione, di cui diremo poi, se sia o meno un trattato internazionale, esso rispetto alle persone che sono sottoposte ai due enti stipulanti, Chiesa e Stato, assume efficacia di legge, o quanto meno viene a essere produttivo di norme giuridiche. Perciò può concludere o approvare il concordato chi abbia potestà legislativa. Da parte degli stati ciò si determina in base alle rispettive costituzioni. Da parte della Chiesa tale potere spetta: 1. al pontefice, in grado pieno e supremo per tutta la Chiesa; 2. ai vescovi, limitatamente alla sfera della loro competenza e nel territorio della loro giurisdizione. Per il passato si ebbero infatti varî concordati stipulati da vescovi (specialmente ricordato è quello tra i vescovi portoghesi e il re Dionigi, nel 1288), ma attualmente in pratica tale facoltà viene riservata alla Santa Sede.
Rimane a dire del carattere giuridico dei concordati. È questo uno dei punti sui quali si sono accese le più vive controversie e si fece sentire più forte e perturbatrice l'influenza delle diverse teorie relative alla posizione rispettiva della Chiesa e dello Stato e ai loro rapporti. Una prima teoria, detta curialista o dell'indulto (theoria privilegiorum), considera i concordati semplicemente come privilegi, come concessioni benevole fatte dalla Chiesa al sovrano, e quindi interpretabili unicamente secondo le istruzioni del pontefice e revocabili quando ad esso piaccia (Tarquini, Satolli, Radini-Tedeschi). Essa si basa sul presupposto della superiorità della Chiesa sullo Stato, onde quella non può venire con questo a patti, che suppongono l'uguaglianza fra i contraenti; essa parte ancora dalla dottrina dell'immutabilità della potestà del pontefice, costituita per diritto divino, che non potrebbe validamente essere legata o coartata da alienazioni o da patti, e dalla considerazione che non potrebbe ciò che è spirituale commutarsi, mediante patto bilaterale, contro concessioni temporali senza costituire simonia. Opposta a questa è la teoria regalista o legale. Essa partendo dal concetto dell'egemonia dello Stato, per cui la chiesa non solo non può sovrapporsi a questo, ma neppure dirsi sua eguale, derivando da esso, come potestà sovrana, ogni diritto, non ammette nei concordati la natura di veri patti bilaterali, non potendo lo Stato venire a patti con chi gli è sottoposto senza abdicare alla sua sovranità. Perciò i concordati non sono che concessioni dello Stato, ed hanno valore giuridico soltanto in quanto sono promulgati o confermati come legge dello Stato, e come leggi (atti unilaterali dello Stato), sono revocabili da questo a suo piacere senza bisogno dell'altrui consenso (Sarwey, Hinschius). Una terza dottrina è quella detta contrattuale. Essa, prescindendo da ogni questione dottrinale sulla preminenza dell'uno o dell'altro ente e ponendosi sul terreno della realtà storica, considerando cioè la natura effettiva del rapporto che si mette in essere con un concordato e l'intenzione manifestata dai contraenti, ne deduce che esso ha l'indole giuridica di un contratto, che deve essere pertanto rispettato da entrambi i contraenti (Friedberg, Walter, Phillips, Orlando, Ruffini, Calisse).
Questa dottrina, ormai prevalente anche fra i canonisti cattolici, ha essenzialmente il merito, oltre ad apparire la più conforme a giustizia, di corrispondere anche alla volontà più volte chiaramente espressa sia dalla Chiesa sia dagli Stati all'atto di stringere concordati. Si è potuto quindi contro la concezione regalista opporre - anche da chi, come il Friedberg, ritenga per lo stato politicamente inopportuno concludere concordati - come l'escludere la natura convenzionale del concordato, in base al riflesso che lo Stato non può venire a patti coi suoi sudditi, sia infondato, poiché la Chiesa astrattamente considerata non è rinchiusa in uno Stato e il papa non è suddito dello Stato contraente, e perché infine lo Stato, scendendo a patti con la Chiesa, ammette implicitamente di non considerarla soltanto come una corporazione posta nello Stato. E ciò anche non considerando i concordati come trattati internazionali nel senso proprio della parola, perché non conchiusi col papa come sovrano temporale ma come capo supremo della Chiesa, "poiché questa, pur non essendo uno stato, è però un organismo simile allo stato, cioè una civitas; così un trattato conchiuso coi suoi rappresentanti deve essere giudicato per analogia come i trattati internazionali, ed essere sottoposto a tutte le loro conseguenze" (Friedberg-Ruffini, Trattato di diritto ecclesiastico, II, § 48; cfr. anche Friedberg, Die Grenzen zwischen St. und K., p. 815). D'altra parte contro la teoria curialista estrema del privilegio (al cui argomento tratto dall'inalienabilità della giurisdizione papale gli stessi cattolici oppongono come così si confonda potere ed esercizio del potere) stanno soprattutto a favore del carattere di patto sinallagmatico insito nel concordato le iterate dichiarazioni dei pontefici romani (v. Munerati, Iuris eccl. publ. et priv. elem., 2ª ed., Torino 1913, p. 72, n. 4). Non ci soffermeremo su altre teorie intermedie fra quelle dianzi esposte, come quella detta dei privilegi convenzionali (cfr. Giobbio, I concordati, passim), per cui i concordati sono bensì privilegi, ma convenzionali, cioè firmati da una convenzione, assumendosi la definizione del privilegio convenzionale data dal Suarez (De legibus, lib. VIII, c. IV, n. 6) dove l'atto della volontà che si obbliga è l'elemento essenziale, e si obbliga a mantenerlo, pur concedendo un privilegio; e quella che, pur ammettendo il carattere di patti pubblici nei concordati, distingue (Wernz, Ius decr., I, pag. 235) l'efficacia obbligatoria delle varie disposizioni e nega, per quelle costituenti privilegi, che il papa vi sia legato da stretta obbligazione di giustizia commutativa. La Chiesa, senza pronunziarsi per l'una o per l'altra delle due dottrine, del privilegio e contrattuale, e lasciando libertà d'opinione al riguardo, ha solo condannato la teoria regalista (Prop. XLIII del Sillabo; Denzinger, Enchiridion Symb., n. 1743).
Anche ammesso peraltro il carattere convenzionale dei concordati, rimangono ancora aperte le discussioni intorno alla loro natura speciale, soprattutto dal punto di vista del diritto internazionale. Secondo una parte autorevole della dottrina "se si prescinde dalle differenze di materia, così poco rilevante dal punto di vista giuridico, e si mette da parte il domma che solo gli stati possono essere soggetti di diritto internazionale, non sembra facile contestare ai concordati il carattere di accordi in tutto analoghi ai trattati internazionali perchè al par di questi desumono il valore obbligatorio unicamente dal principio che è alla base di tutti i rapporti fra enti coordinati e non soggetti a una comune autorità, pacta sunt servanda" (Anzilotti, Corso di diritto internazionale, 1, 3ª ed., Roma 1928, p. 129 segg.). Altri invece, osservando che i concordati non possono essere una specie di trattati internazionali poiché il pontefice o gli stati non li stipulano come membri della comunità internazionale e in base alle norme di essa (Romano, Corso di diritto internazionale, 2ª ed., Padova 1929, p. 65), li considerano come contratti di diritto pubblico d'indole speciale (Coviello, Man. di dir. eccl., 2ª ed., 1, 26; Falco, in Temi Emil., 1929, n. 8).
Storia. - Il primo concordato di cui generalmente si faccia menzione è quello di Worms (23 settembre 1122) o pacta Callistina, confermato dal 1o concilio Laterano nel 1123, e che pose termine alla lunga lotta delle investiture fra gl'imperatori e i papi (v. investiture). precedentemente però può ricordarsi fra i concordati la bolla di Urbano II (1098) che concesse a Ruggiero I conte di Sicilia la Legazia Apostolica, e diede origine alla monarchia sicula. Altri importanti concordati nel Medioevo furono quello fra i vescovi del Portogallo e il re Dionigi (1288), approvato da Nicolò IV, concluso dopo periodi di violente persecuzioni sotto i precedenti sovrani, e i concordati di Costanza conclusi sotto Martino V (1418) con le nazioni di Germania, d'Inghilterra e latine (Francia, Italia, Spagna), che, più che il carattere di convenzioni per il regolamento di rapporti col potere secolare, hanno quello tutto speciale di convenzioni tra le chiese nazionali e il papa, con concessioni da parte di questo. Analogo ai precedenti il concordato di Vienna tra Nicolò V e l'imperatore Federico III e altri principi secolari ed ecclesiastici della Germania (1448).
Nell'evo moderno è di speciale importanza il concordato tra Leone X e Francesco I re di Francia (1516) per l'abolizione della prammatica sanzione di Bourges, alla cui esecuzione fu pertinacemente riluttante il clero nazionale. Succede un periodo di rallentamento nell'attività concordataria; nel sec. XVII essa è rappresentata dal solo concordato fra Urbano VIII e la Boemia (1630); nel sec. XVIII è ripresa con varî concordati di minore importanza con Stati italiani, la Spagna (1753), il Portogallo (1778), nei quali si risente l'influsso delle tendenze regaliste.
Il sec. XIX si inizia col grande concordato napoleonico (1801) tra Pio VII e il primo console. Con esso si componeva il fierissimo dissidio fra la religione e lo stato creato dalla rivoluzione. Il governo francese emanava però nel 1802 i cosiddetti Articoli organici, che interpretavano il concordato in senso gallicano. Con la reazione legittimista, si concluse un nuovo concordato (11 giugno 1817) tra Luigi XVIII e Pio VII, col quale, abolendo gli articoli organici, si ritornava in gran parte al concordato del 1516. Ma esso non veniva presentato alla ratifica delle camere, onde si tenne come non avvenuto e il concordato del 1801 rimase in vigore sino al 1905, quando fu denunziato dalla Francia.
Dopo quello napoleonico numerosi altri concordati vennero stipulati con i varî stati, riconoscendosi quasi ovunque la necessità di risolvere consensualmente le controversie fra potere civile e religioso. Dobbiamo qui limitarci a un semplice cenno dei principali. Cosi in Europa vediamo concordati coi Paesi Bassi (1827), con la Russia (1847), con la Spagna (1851 e 1859), col Portogallo (1857), con l'Austria (1855), con la Baviera (1817), con la Svizzera (1828 e 1845), coi varî stati italiani (Sardegna, 1817 e 1841; Due Sicilie, 1818 e 1834 ma pubblicato 1839; Toscana, 1851), con la Prussia (1821), il Hannover (1824), il Wurttemberg (1857), il Baden (1859), il Montenegro (1886), l'Inghilterra (1890) per Malta. In America vi è tutta una serie di concordati, con le repubbliche di Costa Rica (1853), Guatemala (1853), Haiti (1860), Honduras (1861), Ecuador (1861 e 1881), Nicaragua (1862), San Salvador (1862), Colombia (1887 e 1892).
In questo secolo, dopo la guerra mondiale (l'ultimo concordato antecedente ad essa fu con la Serbia, nel 1914), l'attività concordataria ha ripreso con le convenzioni fra la S. Sede e la Lettonia (1922), la Baviera (1924), la Polonia (1925), la Lituania (1927), il Portogallo (1928), la Cecoslovacchia (modus vivendi, 1928) e infine con il concordato 11 febbraio 1929 stipulato con lo stato italiano, contemporaneamente al trattato col quale si componeva la questione romana.
Bibl.: Oltre alle opere citate alla voce chiesa: Chiesa e Stato, e in genere alle trattazioni di diritto pubblico ecclesiastico, nonché, per la parte storica, le storie della Chiesa, dei papi, dei concilî e le varie storie nazionali, vedi O. Sarwey, Über die rechtliche Natur der Concordate, in Zeitschrift für Kirchenrecht, II, p. 437 segg.; III, p. 267 segg.; B. Hübler, Zur Revision der Lehre von der rechtlichen Natur der Concordate, in Zeitsch. f. Kirchenracht, III, p. 404 seg.; IV, p. 105 segg.; Th. Balve, Das Concordat nach den Grundsätzen des Kirchenrechts, Staatrechts und Völkerrechts, 2ª ed., Monaco 1863; K. und St. in ihren Vereinbarungen, Regensburg 1881; A. Bornagius, Über die rechtliche Natur der Concordate nebst Prüfung der in dieser Beziehung aufgestellten Theorien, Lipsia 1870; M. G. B. Fink, De Concordatis, Lovanio 1879; Azevedo, Della natura e del carattere essenziale de' Concordati, Roma 1872; M. de Bonald, Deux questions sur le Concordat de 1801, Parigi 1878; Baldi, De nativa et peculiari indole Concordatorum, Roma 1883; Radini-Tedeschi, Chiesa e Stato in ordine ai Concordati, Milano 1887; Turinaz, les Concordats et l'obligation réciproque qu'ils imposent, Parigi 1888; F. Satolli, De Concordatis, Roma 1888; A. Giobbio, I concordati, Monza 1900; V.E. Orlando, in Digesto italiano, s. v.; Hergenröther, in Kirchenlex., s. v.; Ojetti, in The Catholic Encycl., s. v.; Renard, in Dict. de Théol. cath., s. v.; I concordati e le convenzioni coi governi civili, in Civiltà cattolica, I (1922), p. 14 segg. e scritti anteriori di F. Cappello ivi cit.; Giese, in Wörterb. des Völkerrechts und der Dipl., di Hatschek e Strupp, I, s. v.; C. Jannacone, La natura giuridica del Concordato, in Il diritto ecclesiastico, XXXIX, p. 284 segg.
Raccolte: Münch, Vollständige Sammlung aller ältern und neuern Konkordate, nebst einer Geschichte ihres Entstehens und ihrer Schicksale, Lipsia 1830-1831; Nussi, Quinquaginta Conventiones de rebus ecclesiasticis inter S. Sedem et Civilem Potestatem variis formis initcae, Roma 1869; 2ª ed., Magonza 1870; De Luise, De iure publico seu diplomatico Ecclesiae catholicae documenta, Napoli 1877; Raccolta di Concordati (compil. di A. Mercati), Roma 1919; A. Giannini, I concordati postbellici, Milano 1929.