CONCORDATO PREVENTIVO
. La legge italiana 24 maggio 1903, n. 193 regola questo istituto; limitate riforme v'introduce la legge 10 luglio 1930, n. 995 (articoli 23 e 24).
Il debitore (commerciante o società commerciale legalmente costituita), nconoseendosi impotente a fronteggiare la crisi, da cui, momentaneamente, a suo avviso, è colta la sua impresa; e ritenendo di poterla superare con un armistizio giudiziario (moratoria) e con la riduzione dei debiti sprovvisti di diritti di prelazione, chiede al tribunale, nella cui giurisdizione ha la sede principale dell'impresa, la facoltà di convocare tutti i suoi creditori per tentare un accordo conciliativo, una sistemazione amichevole, con le loro maggioranze di numero e di somma (metà più uno dei votanti che rappresentino tre quarti dei debiti). Il contratto (concordato preventivo) da conchiudere con le dette maggioranze e da approvarsi dal tribunale (omologazione), si può qualificare prefallimentare, avendo appunto lo scopo di prevenire e quindi impedire la dichiarazione del fallimento.
Il tribunale non concede la chiesta convocazione dei creditori se non concorrono determinate, perentorie condizioni (art. 3): 1. la legale costituzione della società, e la regolare tenuta dei libri dell'azienda, così da poterne accertare, con relativa sollecitudine, l'attivo e il passivo, almeno per il triennio anteriore al ricorso, anche perché non è imposta l'insinuazione e la verificazione dei singoli crediti come lo è nel fallimento; 2. la mancanza di colpe da parte del debitore concordatario, vittima dell'alea commerciale, non artefice volontario del proprio dissesto; 3. l'offerta da parte del debitore di serie garanzie, reali o personali, di poter pagare almeno il 40 per cento del capitale dei crediti non privilegiati e non garantiti da pegno o ipoteca, i quali invece si devono pagare per intero (articolo 1949 cod. civ.). Mancando queste condizioni, ove il debitore risulti insolvente, il tribunale deve d'ufficio dichiararne il fallimento (art. 3).
Il provvedimento favorevole del tribunale convoca i creditori dinnanzi a un giudice, delegato all'istruttoria processuale, e nomina un commissario giudiziale (che, al pari del curatore fallimentare, deve scegliersi dal tribunale nell'albo degli amministratori giudiziarî, ed è considerato, nell'esercizio delle sue funzioni, pubblico ufficiale alle dipendenze del giudice delegato), con l'incarico di vigilare nel frattempo l'amministrazione dell'impresa, di accertarne le attività e le passività, d'indagare sulla condotta del debitore, e di riferirne all'adunanza dei creditori (art. 4 legge 1903; art. 21 legge 1930). Durante la procedura, il debitore conserva l'amministrazione dei suoi beni e prosegue tutte le operazioni ordinarie della sua industria e del suo commercio con la vigilanza del commissario giudiziale e sotto la direzione del giudice delegato (art. 8). Ove ecceda questo rigoroso ambito delle operazioni con la minaccia immanente di diminuire le attività accertate, non soltanto gli atti compiuti saranno inefficaci per i creditori (art. 9), ma il tribunale, verificato il pregiudizio e, in massima, la condotta fraudolenta del debitore, dichiarerà senz'altro il fallimento (art. 10).
La percentuale dei creditori chirografarî non può essere inferiore alla garanzia iniziale assicurata del 40%, oltre gl'interessi intercalari, se pagata in rate, e sarà necessariamente maggiore se le attività lo consentono. Il concordato preventivo deve essere approvato dalla maggioranza dei creditori votanti, la quale rappresenti tre quarti della totalità dei crediti non privilegiati o non garantiti da ipoteca o pegno (art. 14). E poiché, come fu già accennato, in questa sommaria procedura non si insinuano né si verificano i crediti contestati, ma si valutano al solo effetto di stabilire se concorrono le maggioranze richieste senza pregiudizio delle pronuncie definitive (art. 20) - così, ad evitare possibili artifici e simulazioni, sono esclusi dal computo delle passività, e non dànno diritto di voto i crediti del coniuge del debitore, dei suoi parenti ed affini fino al quarto grado; non dànno, invece, diritto di voto ma si computano i crediti stessi quando siano stati ceduti o aggiudicati nell'anno dalla domanda di concordato; i trasferimenti di crediti posteriori al decreto che convoca i creditori, non trasferiscono il diritto di votare il concordato (art. 15 legge 1903). Nel concordato fallimentare, invece, in tutte le tre ipotesi accennate, si ha soltanto l'esclusione dal voto (art. 16 legge 1930).
Le funzioni del tribunale, nell'omologazione del concordato preventivo, non si limitano a verificare l'osservanza delle formalità legali richieste per la sua regolarità; ma si estendono al contenuto dell'accordo, costituendo l'omologazione l'elemento essenziale per la sua esistenza, riassunta in questa domanda: è il debitore meritevole del beneficio che implora? Nella risposta si compendia la più elevata missione del giudice nei riguardi della tutela sociale. Mentre il concordato fallimentare può essere omologato perfino se il fallito è reo di bancarotta fraudolenta, essendo i creditori liberi di accettare, nel loro interesse individuale, l'accordo che più li soddisfa, senza attraversare perciò il corso della giustizia punitiva; nel concordato preventivo questo non può verificarsi, perché è esclusivamente nell'omologazione che si accentra il beneficio per cui il concordatario evita la dichiarazione del proprio fallimento. Se pertanto il tribunale non accorda l'omologazione, deve dichiarare d'ufficio il fallimento. La serietà del giudizio prefallimentare per il debitore risiede in questo dilemma: o ottenere l'accordo con la maggioranza dei creditori e l'omologazione dal tribunale, o fallire.
Secondo l'ultimo progetto (1925) di un nuovo codice di commercio (aggiornato, per ora, dopo la recente riforma degl'istituti parlamentari), il concordato preventivo diverrebbe la fase preliminare volontaria per il debitore che voglia e possa sperimentarlo onde evitare il fallimento. Rare sono le modificazioni proposte; accenniamo concisamente le principali: a) con la legge attuale se il ricorso è respinto, non si dichiara il fallimento ove il debitore non sia già in stato di cessazione dei pagamenti (art. 685 cod. comm.), requisito necessario per quella dichiarazione. Sostituita ad esso l'insolvenza, il progetto la ravvisa nella stessa domanda di concordato preventivo: insolvenza latente ma indubbia; b) se il commissario o il giudice delegato, durante l'istruttoria, avverte che atti illegali o fraudolenti furono compiuti anteriormente al ricorso, può, senz'altro, provocare l'immediata dichiarazione di fallimento. Non è infatti preclusivo il decreto irreclamabile che abbia aperto il giudizio ritenendo che si verificasse il concorso, poi riconosciuto erroneo, degli elementi richiesti per l'emanazione del provvedimento; non è questa però un'innovazione, bensì una razionale esplicita illustrazione della legge attuale; c) s'impone che l'opposizione alla omologazione del concordato sia effettuata entro i cinque giorni dalla chiusura del verbale dalla sua approvazione, e sia motivata, per impedire le insidie e i ricatti dell'ultima ora; d) il concordato concesso a una società con soci illimitatamente responsabili, si estende per legge, attesa l'unicità del debito, anche ai medesimi, se non vi è pattuizione contraria; correggendosi così l'errore incorso nella legge in vigore, che esige, invece, per ottenere tale effetto, la pattuizione; e) il commissario giudiziale resta nelle sue funzioni fino all'esecuzione completa del concordato: la sua vigilanza dovrebbe costituire garanzia che la percentuale pattuita sia in realtà pagata.
Delle due moratorie contemplate dal nostro codice di commercio (articoli 819-829), la legge 24 maggio 1903, n. 197, disciplinò e modificò quella anteriore al fallimento e abolì quella posteriore. Per ragioni contingenti la moratoria fu poi richiamata in vigore dal decreto-legge 28 dicembre 1921, ma il successivo decr. legge 15 marzo 1923, n. 553 ne limitò l'applicabilità ai dissesti anteriori al 1923. Non credendosi tuttavia sufficiente, nel caso particolare di dissesti bancarî, l'applicazione pura e semplice della legge comune sul concordato preventivo (che pure ha per scopo essenziale la moratoria e cioè una dilazione di favore all'immediato pagamento dei debiti), fu emanato il r. decr. 8 febbraio 1924, n. 136 (convertito poi nella legge 17 aprile 1925, n. 473), tuttora in vigore, con lo scopo di modificare la legge 24 maggio 1903, n. 197, per quanto concerne la procedura di concordato preventivo, nei riguardi di società di credito, per le quali la convocazione dei creditori per la votazione del concordato si renda eccessivamente difficile". Secondo l'articolo 1 può chiedere questo concordato preventivo (di carattere politico-amministrativo e non di stretto diritto privato) "ogni società di qualsiasi specie, esercente il credito, che abbia non meno di venti milioni di depositi sia in conto corrente che a risparmio". E questo l'unico requisito esse 1ziale per l'ammissibilità del ricorso; non importa che la società sia degna o indegna in relazione all'art. 3 della legge 1903 (cui si è così integralmente derogato), e non importa nemmeno che faccia o garantisca preventivamente la promessa di una percentuale di almeno il quaranta per cento, o di una percentuale purchessia. Il tribunale (art.1) si limita a nominare un commissario che, col consiglio di una delegazione di cinque creditori (tre dei quali di maggior competenza bancaria) scelti dall'autorità giudiziaria, amministra la banca dissestata, dopo averla scrupolosamente esaminata e vagliata, e concreta le proposte concordatarie corrispondenti alla situazione verificata dell'impresa in liquidazione. Il tribunale, in camera di consiglio, se ritiene accettabili le proposte stesse, ne ordina la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. L'art. 2 sancisce inoltre che: "I creditori che non produrranno opposizione si riterranno come consenzienti". Il silenzio è quindi interpretato come consenso; trascorso il termine per le eventuali opposizioni, il tribunale, sempre in camera di consiglio, con unica sentenza, pronuncia sulle opposizioni e sulle contestazioni dei crediti "in quanto la valutazione dei medesimi possa influire sulla determinazione del passivo nei rapporti della percentuale promessa" (art. 4). Se trova infondati i motivi delle opposizioni e riconosce che la società è meritevole del concordato, e che la sua proposta risponde all'interesse della massa dei creditori (di una percentuale minima legale, ne verbum quidem), e presenta sicurezza di esecuzione, respinge le opposizioni e omologa il concordato (art. 4). Se nega l'omologazione, dichiara il fallimento (art. 5).
La coesistenza di questo decreto con la precedente legge 24 maggio 1903, n. 197, è legittimata anche all'art. 6 in cui si dichiarano "ferme tutte le disposizioni sul concordato preventivo, in quanto non siano derogate dal presente decreto". Saremmo dunque nell'ambito di una coesistenza legale incontestabile: sennonché la legge fallimentare 10 luglio 1930, n. 995, sancisce (art. 30): "Sono abrogate tutte le disposizioni contrarie alla presente legge o con questa incompatibili". Da ciò si potrebbe trarre argomento per contestare la coesistenza suddetta; ma, dato che il decr. legge 8 febbraio 1924, n. 136, derogava alla legge anteriore del 1903, e la legge posteriore del 1930 innova, a sua volta, la legge 1903, si può credere che nelle parti innovate o modificate, non sia il decreto abrogato, pur contenendo norme incompatibili e contrarie, tanto più che tali norme sono meritevoli di rigoroso ossequio nella parte strettamente fallimentare alla quale il decr. legge 8 febbraio 1924 più si accosta, risolvendosi, malgrado la designazione, in un fallimento palliato per la sua origine, la sua costruzione, i suoi particolari e per l'intenzione stessa di chi lo ha emanato. La giurisprudenza, viva vox iuris, illuminerà; ogni conclusione in proposito sarebbe ora precoce. Raffrontando i due concordati preventivi coesistenti s'intende però la gravità della questione.
Bibl.: L. Bolaffio, Il concordato preventivo, commento, 5ª ed., 1925; id., Il concordato preventivo e il concordato fallimentare, in Monitore dei trib., 1929, n. 1; id., I criteri dominanti e innovatori nella recente riforma degli istituti fallimentari, in Giurispr. it., 1930, parte IV, pp. 212-225; id., Il concordato preventivo delle grandi banche e la nuova legge fallimentare, in Riv. di proced. civ., 1931, n. 1; G. Bonelli, Commentario al cod. di comm.: Del fallimento, 2ª ed. 1923; A. Rocco, Il concordato nel fallimento e prima del fallimento, Torino 1902.