IVA, concordato preventivo e transazione fiscale
L’intersezione di due discipline speciali – come quelle della fiscalità e della concorsualità – pone il problema di quale specialità debba prevalere. È quanto avvenuto per l’istituto della transazione fiscale nel concordato preventivo, il quale ha collezionato un serie di interventi normativi e di orientamenti giurisprudenziali difformi, che nemmeno un intervento nomofilattico avallato dal giudice delle leggi è riuscito a superare, sino a quando la querelle sulla falcidiabilità dell’IVA è approdata davanti alla Corte di giustizia dell’UE, la cui lettura si è rivelata lucida e lineare, anche se non del tutto risolutiva rispetto alle residue incongruenze del diritto interno, nel quale urge un chiaro e congruo bilanciamento tra il favor fisci ed il favor per la regolazione tempestiva della crisi, in linea con le prescrizioni della stessa UE (racc. 2014/135/UE e reg. 2015/848/UE).
La transazione fiscale (art. 182 ter l.f.) è un istituto che mira a realizzare anche nei rapporti tra fisco e contribuente – nei limiti fissati a tutela dell’interesse pubblico nazionale e sovranazionale – il raggiungimento di accordi negoziali, di tipo remissorio o dilatorio, in seno alla regolazione concordata della crisi d’impresa.
Essa integra un procedimento endoconcorsuale1, diretto a consentire l’adesione o il diniego dell’Ufficio – o, su sua indicazione, del concessionario della riscossione, comunque previo parere della competente direzione regionale – alla proposta formulata nel piano concordatario, sulla scorta della documentazione depositata dal contribuente e delle certificazioni rilasciate dall’ufficio sull’entità del debito fiscale «iscritto a ruolo scaduto o sospeso» nonché «derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi», in vista del suo «consolidamento» e della «cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi» sottoposti a transazione, a seguito della «chiusura della procedura di concordato» ex art. 181 l.f. (omologazione).
Suo immediato precursore è stata la transazione esattoriale ex art. 3, co. 3, d.l. 8.7.2002, n. 138 (conv. dalla l. 8.8.2002, n. 178), che consentiva all’Agenzia delle entrate di procedere alla transazione dei tributi iscritti a ruolo (di spettanza esclusiva dello Stato) ove, dopo l’inizio dell’esecuzione esattoriale, fosse emersa l’insolvenza del contribuente o il suo assoggettamento a procedure concorsuali, purché ne fosse accertata la maggiore economicità e convenienza rispetto alla riscossione coattiva. La scarsa fortuna di quello strumento va ascritta al timore di revocatoria della transazione in ipotesi di successivo fallimento (per quanto l’art. 89 d.P.R. 29.9.1973, n. 602, esenti da revocatoria il pagamento delle imposte scadute).
Di qui la decisione del legislatore di abrogare la transazione dei ruoli ed inserire la nuova transazione fiscale nella legge fallimentare (artt. 151 e 146, d.lgs. 9.1.2006, n. 5), forse ritenendo una simile collocazione meno distonica con il principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, invero risalente ad una legge ordinaria priva di copertura costituzionale (l. 29.5.1924, n. 827, art. 49), ma ispirata all’obbligo di ciascun cittadino di concorrere alle spese pubbliche (art. 53 Cost.), cui fa da contrappeso il principio del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.), dal quale discende il poteredovere di quest’ultima di evitare che il procedimento di accertamento e riscossione dei tributi generi costi superiori alle entrate, dovendosi evidentemente preferire una soddisfazione non integrale, se comunque più vantaggiosa rispetto a quella conseguibile dalla liquidazione fallimentare2.
Analoghe deroghe a quel principio si sono concretizzate in vari strumenti deflattivi del contenzioso tributario, come il ravvedimento operoso, l’adesione al p.v.c., l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale ex artt. 48 e 48 bis, d.lgs. 31.12.1992, n. 546, ed il “reclamo-mediazione” ex art. 17 bis d.lgs. cit., che entro il termine di improcedibilità del ricorso consente all’Ufficio di valutare o formulare una proposta avuto riguardo, tra l’altro, «al principio di economicità dell’azione amministrativa».
Una serie di interventi legislativi ha modificato l’originaria fisionomia dell’istituto. Dapprima il d.lgs. 12.9.2007, n. 169 ha esteso la transazione fiscale all’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f. ed ha generalizzato nei confronti di tutti i creditori prelatizi (alle diverse condizioni dettate dal secondo comma dell’art. 160 l.f.) la possibilità di falcidia che l’art. 182 ter l.f. riservava ai «tributi amministrati dalle agenzie fiscali e relativi accessori»3 – esclusi quelli «costituenti risorse proprie dell’Unione europea» – con il solo limite che «la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie fiscali».
In un secondo momento, l’art. 32, co. 5, d.l. 29.11.2008, n. 185 conv. dalla l. 28.1.2009, n. 2, ha esteso la transazione fiscale ai contributi previdenziali e assistenziali (con accessori), ha imposto per i crediti tributari chirografari (anche se non iscritti a ruolo) il trattamento della classe più favorita, ha demandato ad un d.m. la definizione delle relative modalità applicative4, e soprattutto ha escluso la possibilità di un pagamento parziale dell’IVA, consentendo solo la «dilazione del pagamento».Successivamente, l’art. 29, co. 2, d.l. 31.5.2010, n. 78 (conv. dalla l. 30.7.2010, n. 122) ha incluso nell’orbita della transazione fiscale anche le «ritenute operate e non versate», ha previsto la revoca di diritto della transazione fiscale conclusa nell’ambito di un accordo di ristrutturazione «se il debitore non esegue integralmente, entro 90 giorni dalle scadenze previste, i pagamenti dovuti» ed ha introdotto una nuova fattispecie di reato, punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni (aumentata da uno a sei anni per importi superiori ad euro duecentomila) per «chiunque, al fine di ottenere per sé o per altri un pagamento parziale dei tributi e relativi accessori, indica nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione fiscale elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi per un ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila».
L’art. 23, co. 43, d.l. 6.7.2011, n. 98 (conv. dalla l. 15.7.2011, n. 111) ha poi esteso anche agli imprenditori agricoli in stato di crisi o insolvenza l’accesso alle «procedure di cui agli articoli 182 bis e 182 ter».
Inoltre, il co. 37 dello stesso art. 23 ha equiparato il regime del privilegio generale mobiliare delle imposte dirette (grado 18° ex art. 2778 c.c.) a quello dell’IVA (grado 19°), svincolandolo dal limite biennale ex art. 2752, co. 1. c.c. (tributi iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in corso e in quello precedente), estendendolo alle relative sanzioni ed affiancandolo col privilegio sussidiario immobiliare ex art. 2776 c.c.
Infine, l’art. 18, d.l. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla l. 17.12.2012, n. 221) ha modificato l’art. 7, l. 27.1.2012, n. 3, prevedendo che nelle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, ove non è prevista la transazione fiscale, è consentita solo la dilazione del pagamento di IVA, ritenute fiscali e tributi costituenti risorse proprie dell’UE.
In questo contorto panorama normativo, sono inevitabilmente proliferati vari orientamenti, così sintetizzabili:
a) obbligatorietà sostanziale della transazione fiscale per la falcidia dei crediti tributari e contributivi, a pena di inammissibilità del concordato preventivo5;
b) obbligatorietà procedimentale della transazione fiscale, ma applicazione della regola maggioritaria ex art. 177 l.f. ai fini dell’approvazione della proposta6;
c) facoltatività della transazione fiscale, restando in sua mancanza falcidiabili i crediti tributari e previdenziali, nel rispetto dell’art. 160 l.f. 7.
Con le sentenze nn. 22931 e 22932 del 4.11.2011, i giudici di legittimità hanno adottato una soluzione di compromesso: pur ammettendo la falcidia concordataria dei crediti tributari senza transazione fiscale (necessaria solo agli effetti del consolidamento del debito fiscale e della cessazione della materia del contendere), essendo sufficiente il consenso delle maggioranze ex art. 177 l.f. ai fini dell’omologazione – vincolante ex art. 184 l.f. anche per i crediti tributari anteriori, con riguardo al sorgere del presupposto impositivo, e non all’accertamento o iscrizione a ruolo8 – ha però sostenuto la natura sostanziale e inderogabile del divieto di falcidia dell’IVA anche in assenza di transazione fiscale, pur precisando che ciò non produce alcun effetto di trascinamento verso l’alto dei crediti inferiori, essendo libero il legislatore (a differenza del debitore) di derogare al divieto di alterazione dell’ordine delle cause legittime di prelazione ex art. 160, co. 2, l.f.
In particolare, la Cassazione ha valorizzato la natura dell’IVA quale «imposta armonizzata a livello comunitario», argomentazione poi sviluppata da Cass., 16.5.2012, n. 7667, che ne ha sottolineato la natura di risorsa propria dell’UE, non sottoponibile ad «accordo per un pagamento parziale neppure ai sensi dell’art. 182 ter». L’orientamento sulla natura sostanziale, eccezionale ed inderogabile della norma sul trattamento dell’IVA si è poi consolidato in seno alla S.C., in sede sia civile (Cass., 30.4.2014, n. 9541; Cass., 25.6.2014, n. 14447; Cass., 9.2.2016, n. 2560), che penale (Cass., pen., 31.10.2013, n. 44283 e Cass., pen., 31.3.2016, n. 8804).
Tale indirizzo nomofilattico non è parso però convincente a gran parte della dottrina9 e della giurisprudenza di merito10. Il Tribunale di Verona, in particolare, con ord. 10.4.201311 ha sollevato la questione di illegittimità degli artt. 160 e 182 ter l.f., per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., poiché così interpretati non consentirebbero all’Amministrazione di valutare in concreto la convenienza di una proposta di concordato senza transazione fiscale e di accettare un pagamento parziale, se superiore a quanto ricavabile dalla liquidazione dei beni del debitore.
La Consulta, pronunciandosi (impropriamente) sulla diversa ipotesi di concordato con transazione fiscale12, ha ritenuto la questione infondata (C. cost., 25.7.2014, n. 225), stante l’infalcidiabilità dell’IVA quale risorsa propria dell’UE, ed «in ossequio al principio dell’indisponibilità della pretesa tributaria all’infuori di specifica previsione normativa che ne preveda la rideterminazione».
Che anche la lettura del Giudice delle leggi sia risultata inappagante è testimoniato dalla attuale pendenza, dinanzi alle Sezioni Unite, della questione se l’infalcidiabilità dell’IVA si applichi, o meno, anche oltre l’ipotesi, espressamente prevista dall’art. 182 ter l.f., del concordato preventivo con transazione fiscale.
Inoltre, con ord. 30.10.2014 il Tribunale di Udine13 ha chiesto alla C. giust. se sia compatibile con «i principi e le norme contenuti nell’art. 4, par. 3, TUE e nella direttiva 2006/112/CE del Consiglio» un concordato che preveda, «con la liquidazione del patrimonio del debitore, il pagamento soltanto parziale» dell’IVA, senza utilizzare lo strumento della transazione fiscale, quando «non sia prevedibile per quel credito – sulla base dell’accertamento di un esperto indipendente e all’esito del controllo formale del Tribunale – un pagamento maggiore in caso di liquidazione fallimentare».
Ed anche la Cassazione, con la sentenza 1.7.2015, n. 135452, nutrendo analoghe perplessità sull’istituto dell’esdebitazione, ha chiesto alla C. giust. «se l’art. 4, paragrafo 3, TUE e gli artt. 2 e 22 della sesta direttiva 77/388» siano incompatibili con l’estinzione dei debiti IVA in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione ex artt. 142 e 143 l.f., ed in particolare «se l’inderogabilità dell’IVA … possa cedere o meno a fronte di un accertamento giudiziale di incapienza della procedura fallimentare, e di meritorietà dell’imprenditore fallito».
La C. giust., con sentenza 7.4.2016, C546/14, Degano Trasporti, ha sciolto questo nodo gordiano con una semplicità ed una lucidità disarmanti oltre che culturalmente invidiabili.
In sintesi, nel rispondere al Tribunale di Udine i giudici di Lussemburgo hanno statuito che:
i) l’IVA rientra tra le risorse proprie dell’UE (p. 22);
ii) gli Stati membri hanno l’obbligo di adottare tutte le misure atte a garantirne il prelievo integrale e la riscossione effettiva, in ossequio al principio di neutralità fiscale, conservando una discrezionalità operativa (p. 19, 20, 21);
iii) la procedura italiana di concordato preventivo è soggetta a presupposti di applicazione rigorosi ed offre specifiche garanzie per il recupero dei crediti privilegiati, come l’IVA (p. 24), in quanto prevede: a) che l’imprenditore in stato di insolvenza liquidi il suo intero patrimonio; b) che il pagamento parziale di un credito privilegiato è subordinato all’attestazione di un esperto indipendente sul fatto che esso non riceverebbe un trattamento migliore in caso di fallimento del debitore, con conseguente impossibilità per lo Stato membro di «recuperare il proprio credito IVA in misura maggiore» (p. 25); c) che, ove dissenta dalle conclusioni dell’esperto, lo Stato può votare contro una proposta di pagamento parziale, nonché proporre opposizione all’omologazione (p. 26); d) che un giudice esercita il controllo e decide sull’opposizione (p. 27); e) in siffatte condizioni, l’ammissione di un pagamento parziale del credito IVA, da parte di un imprenditore in stato di insolvenza, nell’ambito di una procedura di concordato preventivo, non costituisce una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, né è contraria all’obbligo degli Stati membri di garantirne il prelievo integrale e la riscossione effettiva (p. 28).
Pertanto «l’art. 4, par. 3, TUE nonché gli artt. 2, 250, par. 1, e 273 della direttiva IVA non ostano» ad una siffatta normativa nazionale.
In sostanza, i giudici nazionali avrebbero sopravvalutato (se non frainteso) il diritto dell’UE, e sottovalutato quello interno.
È stato infatti il giudice sovranazionale a dover evidenziare la validità del modello concordatario italiano, informato alla par condicio creditorum e caratterizzato da un costante controllo giudiziale, da meccanismi atti a tutelare i creditori dissenzienti e da apposite cautele per la falcidia dei crediti prelatizi, come l’IVA, il cui pagamento parziale non integra perciò una «rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA» (come ad es. le misure condonistiche di cui agli artt. 8, 9 e 12, l. 27.12.2002, n. 289), né una violazione del principio di «neutralità fiscale», né infine la violazione dell’obbligo di garantire una «riscossione effettiva», apparendo anzi probabile, stante il basso grado di privilegio dell’IVA, che quell’obbiettivo sia meglio perseguito con la regolazione concordataria, piuttosto che con una liquidazione di tipo fallimentare.
Con quel giusto pragmatismo che la secolare tradizione giuridica del nostro ordinamento talvolta offusca, i giudici europei ci hanno ricordato che il rispetto dei principi va verificato non in astratto, ma in concreto, specie quando i temi del diritto si intrecciano con quelli dell’impresa, dell’economia e del mercato14. È ovvio, infatti, che nessun obbligo formale può superare il dato oggettivo di una incapienza del patrimonio del debitore ai fini dell’integrale soddisfazione del credito IVA, secondo il grado di privilegio attribuitogli dall’ordinamento.
Una simile conclusione poteva forse desumersi anche dall’analoga C. giust., 29.3.2012, C500/10, Belvedere Costruzioni, in cui la compatibilità con il diritto dell’UE è stata affermata in ragione non solo della natura eccezionale e specifica della normativa nazionale, ma anche di un bilanciamento con altri principi di rilievo comunitario: lì la ragionevole durata dei processi; qui gli obbiettivi, prescritti dalla racc. n. 2014/135/UE del 12.3.2014, di «garantire alle imprese sane in difficoltà finanziaria … di ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l’insolvenza» e «dare una seconda opportunità in tutta l’Unione agli imprenditori onesti che falliscono». Obbiettivi appunto richiamati nelle conclusioni dell’Avvocato Generale, che ha ritenuto legittima, in circostanze «eccezionali, puntuali e limitate» la «rinuncia al pagamento integrale», a meno che di entità tale da ridondare in una esenzione di tipo condonistico15.
Peraltro, il concordato preventivo italiano rispetta anche le ulteriori prescrizioni della racc. 2014/135/UE, per cui è necessario che «il piano di ristrutturazione non limiti i diritti dei creditori dissenzienti in misura superiore rispetto a quanto questi potrebbero ragionevolmente prevedere in assenza di ristrutturazione, se l’impresa del debitore fosse liquidata o venduta in regime di continuità aziendale, a seconda del caso» (p. 22, lett. c), e che il giudice abbia il potere di «respingere il piano di ristrutturazione che manifestamente non ha nessuna prospettiva di impedire l’insolvenza del debitore né di garantire la redditività dell’impresa» (p. 23).
Che l’ordinamento dell’UE sia orientato al favor per le soluzioni concordate e anticipate della crisi di impresa – specie se salvaguardino la continuità aziendale – rispetto alle soluzioni liquidatorie, risulta altresì dal reg. 2015/848/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, 20.5.2015, per il quale lo scopo delle procedure concorsuali preventive (a «probabilità di insolvenza») è «evitare l’insolvenza del debitore o la cessazione delle attività di quest’ultimo» (art. 1, co. 1)16.
La piena armonia del diritto concorsuale interno con la normativa dell’UE e l’avallo fornito dalla Corte di Lussemburgo dovrebbero quindi escludere ogni ragionevole dubbio che nel concordato preventivo senza transazione fiscale sia ammissibile un pagamento parziale dell’IVA, secondo la duplice regola generale per cui la soddisfazione non deve essere inferiore a quella realizzabile dalla liquidazione, al valore di mercato, dei beni sui quali sussiste la causa di prelazione – attestata dalla relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lett. d), l.f. – e va rispettato l’ordine delle cause legittime di prelazione (art. 160, co. 2, l.f.).
Anzi, portando la sentenza Degano alle estreme conseguenze, potrebbe sostenersi altrettanto per le ulteriori risorse dell’UE, previste dall’art. 2, § 1, lett. a) e c), e § 2 della decisione n. 2007/436/CE/Euratom del Consiglio, 7.6.2007 – dazi doganali, contributi zucchero e quarta risorsa (aliquota del RNL degli Stati membri) – che dal 2012 hanno lo stesso privilegio dell’IVA (art. 2783 ter c.c.); se non anche per i recuperi degli aiuti di stato ritenuti illegittimi dagli organi comunitari (art. 107 TFUE), trascurati dalla legge fallimentare e considerati solo dal d.m. 4.8.2009 che, in materia previdenziale, li esclude dalla transazione fiscale (come i crediti oggetto di cartolarizzazione ex art. 13, l. 23.12.1998, n. 448).
Il dato normativo interno parrebbe insuperabile nel concordato preventivo con transazione fiscale, così come nella transazione fiscale conclusa nell’ambito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l.f., per i quali l’art. 182 ter l.f impone l’obbligo di pagamento integrale dell’IVA, oltre che delle ritenute fiscali operate e non versate.
Anche le procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento, che non contemplano la transazione fiscale, consentono solo la dilazione di IVA, tributi costituenti risorse dell’UE e ritenute operate e non versate (art. 7, l. 27.1.2012, n. 3).
Al contrario l’esdebitazione – sia nel fallimento (art. 142 l.f.) che nella liquidazione del sovraindebitato (art. 14 quaterdecies l. n. 3/2012) – non prevede IVA, risorse UE e ritenute tra i debiti esclusi dal beneficio17.
Sembra invece superabile la tesi sulla natura sostanziale dell’art. 182 ter l.f., spesa a suffragio della obbligatorietà del pagamento integrale dell’IVA nel concordato preventivo senza transazione fiscale18.
Invero, trattandosi pacificamente di norma eccezionale, non dovrebbe consentirsene l’applicazione analogica a fattispecie diverse da quelle per le quali è dettata, tanto più che l’infalcidiabilità di IVA e ritenute integra a sua volta, nell’art. 182 ter l.f., una deroga al principio della transigibilità dei crediti fiscali19.
Inoltre, la predicata natura sostanziale confligge con la sua esclusione nelle procedure di tipo liquidatorio, anche individuali, finendo per coagulare solo le procedure azionate su base volontaria (salvo il cd. autofallimento), ma così ponendosi in contrasto con il principio del favor per l’emersione anticipata della crisi e la sua definizione su base concordata, ormai prioritario sia nel diritto dell’UE che nell’ordinamento interno20.
Contrasterebbe con il suddetto principio anche la sostanziale attribuzione all’Erario di una sorta di diritto di veto, così come la deroga alla regola generale dettata per tutti i creditori muniti di prelazione (art. 160, co. 2, l.f.) integrerebbe un vulnus alla par condicio creditorum ed al principio di non alterabilità della graduazione dei crediti, ad esclusivo vantaggio di quelli fiscali.
A diverse conclusioni potrebbe pervenirsi ove il legislatore, nella sua discrezionalità (salvo il rispetto della Carta costituzionale) stabilisse chiare regole di maggiore tutela dei crediti tributari, magari attribuendo al credito IVA un rango prededucibile, o un più elevato grado prelatizio, per rendere incisiva l’opposizione dell’amministrazione alla volontà delle maggioranze degli altri creditori, secondo il giudizio comparativo calibrato sulla soddisfazione «non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili» previsto in sede di omologazione dall’art. 180, co. 5, l.f. (cd. cram down).
Ciò potrebbe del resto giustificarsi con la funzione pubblica primaria ed indeclinabile espressa dalla potestà tributaria (artt. 23 e 53 Cost.), che secondo alcuni impedirebbe di ravvisare nell’attività di riscossione il semplice esercizio di un diritto di credito21, pur essendo doveroso un bilanciamento con gli altri valori costituzionalmente garantiti22, tra i quali anche l’iniziativa economica privata e la proprietà (artt. 41 e 42 Cost.). Al di fuori di un simile intervento normativo, non pare però giustificabile questa sorta di upgrade dell’IVA, dalla sua bassa graduazione sino ad una sorta di prededuzione di fatto.
Resta comunque sullo sfondo la difficoltà di individuare la convenienza a proporre un concordato preventivo con transazione fiscale nei due effetti, tanto discussi, del consolidamento23 e della cessazione della materia del contendere nelle liti pendenti.
Va poi valutato l’impatto della falcidiabilità dell’IVA sul piano penale, con particolare riguardo all’esimente prevista dall’art. 13, d.lgs. 10.3.2000, n. 74 (come novellato dal d.lgs. 24.12.2015, n. 158), per i reati tributari di cui agli artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater co. 1, ove, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, vi sia «l’integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso»; invero, pur non rientrando il concordato tra quelle elencate, potrebbe assumersi che l’integrale pagamento degli importi dovuti sia riferibile alla percentuale concordataria, stante l’efficacia esdebitatoria del concordato24.
Infine, la riforma organica in itinere dovrà porre particolare attenzione ai profili funzionali della sentenza Degano, diretti ad assicurare la serietà del trattamento falcidiato di IVA e ritenute, specie quanto ad indipendenza del professionista attestatore ed ambito del controllo giudiziale, per i quali invero già ora l’art. 6 del disegno di legge delega A.C. 3671 prevede «la fissazione delle modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano» (lett. d), nonché «l’esplicitazione dei poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla realizzabilità economica dello stesso» (lett. f).
Note
1 Secondo la C. cost., 25.7.2014, n. 225 si tratterebbe invece di una «peculiare procedura transattiva tra il contribuente e il fisco, che può autonomamente integrare il piano previsto dall’art. 160 della legge fallimentare».
2 Vella, P., La transazione fiscale nel concordato preventivo, in Minutoli, G., Crisi di impresa ed economia criminale, Milano, 2011, 305
3 IRES, IRPEF, IRAP, imposte di registro, successione, donazione, catastale, ipotecaria, di bollo, oltre interessi e sanzioni, con esclusione dei tributi locali non amministrati dalle ag. fiscali (ICI, TARSU, TOSAP, contrib. cam. o consortili).
4 Il d.m. 4.8.2009, ritenuto disapplicabile, perché in contrasto con il contenuto di norme primarie (artt. 160, 182 ter, 184 e 186 l.f.), da Trib. Monza, 22.12.2011, in www.ilcaso.it; contra, per il carattere imperativo, Trib. Udine, 15.6.2011, in www.ilcaso.it.
5 Trib. Milano, 12.10.2009, in Dir. prat. soc., 2010, 81; cfr. Attardi, C., Sul carattere necessario del procedimento amministrativo di transazione fiscale, in Riv. dir. trib., 2012, I, 558.
6 Trib. Monza, 15.4.2010, in Fall., 2011, 82 ss.; Randazzo, F., Il consolidamento del debito tributario nella trans. fisc., in Riv. dir. trib., 2008, 825.
7 Trib. Mantova, 26.2.2009, in Giur. comm., 2010, 531. Stasi, E., Obbligatorietà o facoltatività della transazione fiscale, in Fall., 2011, 85 ss..
8 Cass., S.U., 6.9.1990, n. 9201 e 28.5.1987, n. 4779.
9 La Croce, G., Il credito erariale Iva tra orientamenti U.E. e arresti della Cass., in Fall., 2012, 152; Vella, P., La problematica scissione tra facoltatività procedimentale e obbligatorietà sostanziale dell’art. 182 ter l.f., in Fall., 2012, 172 ss..
10 Trib. Perugia, 16.7.2012, in Fall., 2013, 125; diff. Trib. Reggio Emilia, 28.5.2014, in www.ilcaso.it.
11 In www.ilcaso.it.
12 In senso critico, Andreani, G., Legittimità costituzionale della infalcidiabilità del credito Iva nel concordato preventivo, in Fisco, 2014, 3383; v. Trib. Benevento, 25.9.2014, in Fall., 2015, 11. Cfr. Perrino, A.M., in Foro it., 2014, 11, 3012.
13 In www.ilcaso.it.
14 Nel settore degli aiuti di Stato l’eventuale l’insolvenza del debitore e la mancanza di attivi recuperabili possono integrare una opzione alternativa al recupero, ove la società sia liquidata a condizioni di mercato e venga così messa indirettamente fine, attraverso la cessazione dell’attività, alla distorsione della concorrenza (v. Comunicazione Commissione UE 2007/C 272/05 del 15.11.2007, § 61 e 69; cfr. C. giust., 25.1.2013, causa C529/09, Commissione c. Regno di Spagna, Megefesa, § 107).
15 Ficari, V., La Corte UE ammette la riduzione dell’IVA mediante la transazione fiscale, in Corr. trib., 2016, 1551.
16 Vella, P., La riforma organica delle procedure concorsuali: un nuovo approccio in linea con le indicazioni dell’UE, in Soc., 2016, 734 ss.
17 Tra i debiti esclusi dal beneficio, l’art. 14 quaterdecies, co. 3, lett. c), l. n. 3/2012 include i debiti fiscali sorti anteriormente ma accertati successivamente «in ragione della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi», con grave vulnus al consolidato orientamento sull’anteriorità dei crediti vincolati dal concordato omologato ex art. 184 l.f. (v. nt. 8).
18 La Malfa, A., Divieto di falcidia dell’IVA, specialità dell’art. 182 ter e riflessi sul consolidamento dei debiti e cessazione delle liti, in Fall., 2015, 470 ss.
19 Bozza, G., Il trattamento dei crediti privilegiati nel concordato preventivo, in Fall., 2012, 393
20 Si veda il principio di priorità contenuto nell’art. 2, lett. g., disegno di legge A.C. 3671 (Delega al Governo per la Riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza) e la previsione di apposite «Procedure di allerta e composizione assistita della crisi» nel successivo art. 4, conforme alla Proposta elaborata dalla nota Commissione Rordorf.
21 Falsitta, G., Funzione vincolata di riscossione dell’imposta e intransigibilità del tributo, in Riv. dir. trib., 2007, I, 1057
22 Basilavecchia, M., Profili costituzionali della riscossione, in Riv. dir. trib., 2015, I, 475; cfr. Rocco, G., Iva e transazione fiscale: le prospettive alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia e del diritto europeo, in Dir. fall., 2016, 757 s.
23 Il consolidamento fiscale viene inteso ora come quantificazione funzionale alla certezza del concordato, ora come preclusione dei controlli automatici delle dichiarazioni ex artt. 36 e 36 bis, d.P.R. n. 600/1973, (La Croce, G., La transazione fiscale, Milano, 2011, 78 ss.), ora come cristallizzazione totale della debitoria tributaria (Trib. Benevento, 25.9.2014, in www.ilcaso.it; contra Rocco, G., Iva e transazione fiscale alla luce della recente sentenza della Corte di giustizia e del dir. europeo, in Dir. fall., 2016, 754, per cui si avrebbe il «vantaggio di un condono tombale a buon mercato, con il rischio reale dell’avvio di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea contro l’Italia». La Malfa, A., op.cit., 475, definisce il consolidamento una mera chimera.
24 Pedoja, F., La falcidiabilità concordataria del credito Iva: storia infinita o storia finita?, in www.fallimentiesocietà.it.