CONCINI, Concino
Figlio di Giovan Battista, uditore e primo segretario del granduca di Toscana, e di Camilla Miniati, nacque a Firenze dopo il 1570. Già suo nonno Bartolomeo era stato primo segretario dei granduchi Cosimo e Francesco; un fratello del C., Cosimo, fu ambasciatore presso l'Impero e la corte di Spagna.
Come cadetto, il C. fu incerto sulla carriera da abbracciare: studiò all'università di Pisa e sembra che volesse divenire cappuccino; prestò poi brevemente servizio presso il cardinale di Lorena. Nel 1600, in occasione del matrimonio di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia, suo zio Belisario Vinta, primo segretario del granduca, propose che il C. facesse parte della scorta della regina, con l'intenzione di collocarlo alla corte di Francia. Il C. afferrò con entusiasmo l'opportunità che gli si presentava, sostenendo che voleva "far fortuna o morir".
Così cominciò una carriera di cortigiano, divenuta insolita per un italiano del tardo Rinascimento. Altri avevano precedentemente fatto la loro fortuna in Francia, come finanzieri (Sebastiano Zamet) o come funzionari (Guidobaldo Gondi): il C. rassomiglia a loro, ma è anche una figura di transizione, la cui carriera politica in Francia anticipa quella del card. Mazzarino di una generazione più tarda.
Durante il lungo viaggio di Maria de' Medici verso la Francia, il C. corteggiò e conquistò la sua più intima confidente, Leonora Dori. A causa dell'umile nascita di Leonora, di nemici del C. e del desiderio di Enrico IV di limitare il numero di italiani del seguito della regina, il C. e Leonora ebbero grandi difficoltà nello stabilirsi a corte. Tuttavia, interponendosi fra la regina e l'amante del re, essi infine realizzarono il loro intento. Dopo mesi di trattative, il C. e Leonora, il 12 luglio 1601, si sposarono a St. Germani-en-Laye. Ella ricevette una dote di 70.000 tornesi dalla sovrana, mentre al C. fu promessa la carica di primo maître d'hôtel della regina; il contratto per questo matrimonio basato sull'ambizione stabiliva una completa separazione dei beni.
Durante tutta la sua lunga carriera in Francia il successo del C. a corte fu fondato principalmente sull'incrollabile influenza della moglie su Maria de' Medici. Tuttavia, prima dell'assassinio di Enrico IV, nel maggio 1610, i Concini vissero in modo relativamente quieto a corte e i loro progressi non furono spettacolari. Nacquero loro due figli: Henry, battezzato l'8 luglio 1603, la cui madrina fu la regina; e Maria, battezzata nel marzo 1608, il cui padrino fu il re, ambedue a St. Germain. Mentre Leonora manteneva la sua influenza sulla sovrana, il C. ottenne il favore del re, a causa della sua abilità di cortigiano rispondente ai dettami del Castiglione.
Il duca Francesco d'Estrées rimarcava che il C. era "agréable de sa personne, adroit à cheval, et à tous les autres exercises; il aimoit les plaisirs, et particulièrement le jeu; sa conversation était douce et, aisée" (Mémoires, p. 160). Richelieu conveniva che il C. "gagna enfin crédit on l'esprit de S. M." per le medesime ragioni, aggiungendovi quelle di "railleur et divertissant" (Mémoires, II, p. 227). Bello, elegante cavaliere, il C., che dimostrò la sua abilità in una corsa nelle strade parigine (1607) e invitò musicisti e danzatori italiani al Louvre (1605), aggiunse un tocco di eleganza fiorentina a una corte molto meno raffinata di quella urbinate del Castiglione.
L'entità dei successi del C. si può dedurre da quella dei suoi compensi: nel febbraio del 1602 il re gli donò 1.000 scudi; nel 1603 ricevette una pensione di 25.000 libbre; nel dicembre del 1605 fu completato il pagamento della dote. Egli ricoprì la sua carica originaria fino all'aprile del 1608, quando fu promosso primo scudiero della regina, non sborsando niente per il nuovo posto, mentre aveva venduto il vecchio per 6.000 scudi.
Ciononostante, non tutto fu perfetto per il C. in quegli anni. Il problema per lui più serio si presentò nel luglio del 1605, quando don Giovanni de' Medici (fratello bastardo del granduca e zio della regina) venne a far parte della corte francese, con un lignaggio e un primato militare, che lo resero un formidabile rivale per il favore del re. Nel medesimo tempo la vanità del C. dispiacque allo stesso granduca, che osservò che "l'eccessiva affettuosità di sua Maestà" per il C. e sua moglie era "odiosa, per non dire scandalosa". Mentre cresceva il favore di don Giovanni, il C. intraprese un lungo viaggio a Firenze e a Roma nella primavera e nell'estate del 1606, soprattutto per affari personali; nel 1607 questo prudente cortigiano si era fatto fare l'oroscopo da un noto ciarlatano parigino, conosciuto come Cesare, e circolavano voci a corte che il C. sarebbe stato assassinato. Infine, nel marzo 1608, don Giovanni tornò a Firenze, senza avere messo a frutto la sua influenza.
Anche la salute di Leonora dava al C. motivo di preoccupazione. Nel 1604 ella era gravemente malata e fu esorcizzata da due milanesi, fatti venire da Nancy su raccomandazione del cardinale di Lorena; malata di nuovo nel 1607, ella fu curata da un medico ebreo, chiamato Montalto.
Nel complesso, tuttavia, i fatti positivi per i Concini superarono quelli negativi. Dal 1609 il C. aveva acquistato il privilegio di viaggiare sulla carrozza del re e Leonora poteva spendere 14.000 scudi per acquistare e restaurare il palazzo che essi avevano affittato in Faubourg St. Germain. La loro ascesa sociale è palese nelle fedi di battesimo dei figli: nell'anno 1603 ella era "dame Eleonor Doury"; dal 1608 era divenuta "dame Eleonor Galigay", una molto più nobile famiglia fiorentina, il cui nome pare che ella avesse acquistato.
La ruota della fortuna salì vertiginosamente per i Concini dopo l'assassinio di Enrico IV. In un anno salirono da una confortevole posizione fino a divenire quasi dei "grandi", accumulando nuovi titoli, responsabilità e soprattutto ricchezze grazie alla generosità della reggente regina Maria.
"Fino ad ora - disse il C. poche settimane dopo la morte di Enrico IV - noi abbiamo avuto molti affanni per i nostri affari, ma in futuro le cose saranno molto differenti, perché la gente da cui dipendevamo per aiuto, ora dovrà dipendere da noi". La sua repentina ascesa può essere illustrata dai documenti ufficiali e dalle chiacchiere di corte, sebbene molti dettagli - particolarmente per il commercio di favori del Concini - rimangano oscuri.
Il C. era stato creato consigliere di Stato il 26 luglio 1610, benché si astenesse prudentemente dall'assistere a riunioni di ministri (l'oratore spagnolo, quando spiegava al suo re che il C. era il duca di Lerma della regina, diceva soltanto una mezza verità: il C. era avido di ricchezza quanto il Lerma, ma non aveva come lui un visibile desiderio di controllo politico). Il 7 sett. 1610 il C. e Leonora acquisirono il diritto di vendere uffici reali, valutati 384.500 tornesi; il Tesoro regio in seguito ricevette da loro soltanto 14.500 libbre. Ancora un più grande acquisto: il 16 sett. 1610 Leonora comprò le terre e i titoli del marchesato di Ancre in Piccardia; il costo, 330.000 libbre, fu pagato dalla regina, che esentò i Concini anche dalle tasse sulla transazione.
Il C. scherzò sulla sua nuova posizione con il duca di Guisa, spiegando che egli era nato nella casa dei conti della Penna e ora era divenuto un marchese di Inchiostro (encre); al che il Guisa replicò che egli aveva ancora bisogno di un ducato di Carta. Ma il C. ora scherzava soltanto con i principi, esibendo verso i suoi inferiori la rozzezza tipica dei parvenus. Ai diplomatici italiani fu ordinato di rivolgersi a lui da allora in avanti con il titolo di "illustrissimo" e di non omettere nessuno dei suoi titoli nella corrispondenza. Anche Richelieu ammise che "ses domestiques ne le voyaient jamais que maître et peut-être plus aigre qu'il ne convient pour en être aimé" (Mémoires, II, p. 231).
Continuavano a piovere onori. Il 23 sett. 1610 il C. fu creato governatore di tre città di frontiera in Piccardia (Roye, Péronne, Montdidier), vicine al suo nuovo marchesato: la sua prima responsabilità politica si presenta come un corollario al suo nuovo stato di signore e di proprietario terriero. Quattro giorni più tardi egli ottenne un nuovo ufficio a corte, divenendo premier gentilhomme de la chambre du roi, con uno stipendio di 64.000 scudi. Pochi mesi dopo egli aumentò la sua influenza in Piccardia: il 9 febbr. 1611 fu nominato luogotenente generale della provincia e correvano persistenti voci a corte che volesse spendere 100.000 scudi per l'importante fortezza di Amiens. Il comandante di Amiens morì nel giugno del 1611 e il posto fu dato al C. gratuitamente. La sua fragile ascendenza sociale fu così rafforzata da una roccaforte militare; il C., ora naturalizzato francese, poteva comportarsi come un membro di nascita dell'aristocrazia francese con un riconosciuto consigliere politico come il barone di Lux. Oltre a ciò, egli acquistò l'ufficio di bailli di Amiens e, nell'agosto del 1611, accompagnato da cinquanta cavalieri, partì per ispezionare la sua nuova fortezza e Stato, cambiando il comandante di Amiens e pagando un premio alla guarnigione.
Dopo questo annus mirabilis, il C. si immerse nella deliziosa vita di una pseudogrande. L'interesse primario suo e di Leonora continuò a essere l'accumulo di ricchezza; la maggior parte dell'enorme somma confiscata dopo la loro morte era stata raccolta dopo il 1611.
Poco prima della sua morte il C. confidava al maresciallo Bassompierre: "J'ay travaillé à ma fortune et l'ay poussée en avant autant qu'un autre eut sceu faire, tant que j'ay veul qu'elle m'estoit favorable" (II, p. 107). Egli enumerava le loro ricchezze: un milione di libbre in proprietà; 200.000 scudi in contanti a Firenze e altrettanti a Roma; 100.000 scudi investiti a Firenze; un altro milione di libbre in arredamenti, gioielli e contanti; 600.000 scudi in affaires e 100.000 pistole in altri affari.
La, sua influenza a corte rimaneva forte grazie a sua moglie. Nel 1612 gli fu permesso di costruire una piccola casa, che comunicava con il Louvre attraverso un giardino. Talvolta egli si comportava come gli altri grandi, ritirandosi nei suoi possedimenti o fortezze, tenendo il broncio fino a quando era richiamato in favore, mentre Leonora rimaneva con la regina reggente. Dopo il 1613 i Concini condussero vita separata, ma si tennero in costante comunicazione con lettere e messaggeri.
Il C. imitava sempre più le maniere deiprincipi: il nunzio Bentivoglio lo descrivevanel 1616 come "un arrogante, un superbo eduno sprezzatore di tutti" e molti francesi nonsoltanto invidiavano il suo fantastico successo, ma odiavano la sua insolenza. Si procuròuna guardia del corpo di quaranta uomini con un salario annuo di mille libbre eli chiamava i suoi "coglioni di mille franchi".Usò la sua sola figlia (Leonora aveva ormaipassato l'età di concepire) come una pedinain parecchie proposte di matrimonio; prima con il rappresentante di un ramo dellafamiglia reale, il conte di Soissons; poi con un membro della casa di Lorena, il ducad'Elboeuf; ancora più tardi con il nipote diun ministro, Villeroy, contrattando una dotedi 300.000 libbre. Era sufficientemente importante per avere un segretario francese euno italiano e il suo linguaggio familiare, come scrisse il Bassompierre, era una sortadi franco-italiano ("gli ministri m'ont donnécette strette...").
Ricchezza e posizione fecero necessariamente del C. un mecenate. Con Leonora, egli aiutò il poeta Giambattista Marino, che arrivò in Francia nel 1615 e lo definì un anno dopo "ricco come un asino"; in quell'anno egli dedicò ai Concini due opere, il Tempio (Lyon 1615) a Leonora ed Epitalami (Paris 1616) al Concini. Costui fu incaricato di ordinare una statua bronzea di Enrico IV a Firenze e di farla spedire a Parigi, per ornare il nuovo ponte sulla Senna (un incarico che richiese sette anni per essere compiuto). Il loro protetto, il medico Montalto, procurò a casa Concini alcuni libri rari, inclusi testi medici in ebraico, che legò al Concini.
Il C. conosceva anche altri dotti meno singolari di Cosmo Ruggieri, incerto abate, ex-prestigiatore e autore di un almanacco. Ma c'è qualcosa di curioso nel mecenatismo del Concini. Leonora spese veramente poco e non fu mai associata ad alcun atto di carità; il C. spese liberamente, ma in modo speciale. Richelieu osservò che egli "ne fit quasi aucun bien à ses parents, ni à ceux de sa nation, afin qu'on vit que tous ses sentiments naturels étoient étouffés par ceux qu'il avoit pour la France" (Mémoires, II, p. 231).
Apparentemente il C. non collezionò né quadri, né libri; non esiste un suo ritratto a olio, ma solamente un disegno. Quando il palazzo di Parigi dei Concini fu saccheggiato nel 1616 - per cui il tesoro reale pagò loro 450.000 libbre di danni - si ha notizia di ottocento maschere e costumi da ballo gettati dalle finestre, di indumenti magnifici, mobili e gioielli, ma di pochi oggetti d'arte. Il C. usava spendere molto del suo denaro per fronzoli semimilitari, trasformando la sua squadra di bravi in un esercito privato.
Il più importante avanzamento del C. durante questi anni arrivò il 7 novembre del 1613, quando venne nominato inaspettatamente maresciallo di Francia. Egli acquistò allora il titolo di "eccellenza" e il diritto che il re gli si rivolgesse con l'appellativo di "mon cousin"; tuttavia doveva vivere sopportando la calunnia di essere un maresciallo non veramente francese e - il che era molto peggio - di non aver mai visto una battaglia. A questo rimediarono subito le circostanze. A causa del cronico stato di ribellione della nobiltà francese, il C. due anni dopo la sua nomina pensò di mettersi egli stesso a capo di un esercito. Il 28 ott. 1615 conquistò la città di Clermont-en-Beauvaisis ai principi ribelli, provocando la compilazione di tre opuscoli elogiativi. Da allora egli divenne il maggior bersaglio dei ribelli.
Rappacificatisi essi nel marzo 1616 con la regina, concordarono fra le altre condizioni che il maresciallo d'Ancre dovesse abbandonare la cittadella di Amiens. Egli ostentatamente si dichiarò d'accordo per mezzo di una lettera aperta a stampa, indirizzata alla sovrana e in effetti dette la sua parola pochi mesi più tardi; ma nel frattempo gli era stata data in cambio la cittadella di Caen e il titolo di luogotenente-governatore di Normandia, come prova dell'ininterrotto favore reale. Egli offrì 600.000 libbre per il posto di colonnello generale degli Svizzeri e si disse apertamente a corte che il C. desiderava niente di meno che il supremo ufficio militare di connestabile di Francia; il che sarebbe stato probabilmente nelle sue possibilità se egli avesse vissuto più a lungo.
Il C. si era gradualmente interessato agli affari militari per difendere il suo nuovo rango sociale; similmente egli e Leonora intervennero gradualmente in affari politici nazionali e internazionali per mantenere e sfruttare la loro influenza a corte.
Il suo collega cortigiano d'Estrées notavache "ses pensées étoient hautes et ambitieuses; mais il les cachoit avec soin, n'ayantjamais entré ni affecté d'entrer dans le Conseil" (Mémoires, p. 160).Analogamente, nonrisulta quasi niente di politicamente importante nelle più di cento lettere che furonoinviate dal C. a suo zio Vinta alla Cancelleria fiorentina, dopo il 1611: quelle del1613, per esempio, contengono per la maggiorparte le richieste del C. di riscuotere unvecchio credito di 2.000 scudi da Camillo Corsini.Ciononostante i Concini alla fine cominciarono a occuparsi di politica. La prima testimonianza certa data al gennaio 1615, quando Leonora e il C. inviarono lettere al duca di Lerma, dichiarando di essere favorevoli piuttosto che contrari ai matrimoni proposti fra la Francia e la Spagna (forse in cambio dell'oro spagnolo, secondo alcune voci). Loro lettere all'ambasciatore spagnolo a Parigi e all'ambasciatore fiorentino a Madrid furono sequestrate nella casa del Concini dopo la loro morte. Ma dapprima, gli intrighi del Concini a corte costituirono un'indiretta e confusa intromissione nella politica interna, mentre i loro nemici li avversavano con un coerente programma politico: il 22 maggio 1615 il Parlamento di Parigi, in un documento evidentemente rivolto contro casa Concini, protestò sia contro la concessione di fortezze a stranieri, sia contro i medici ebrei che praticavano la loro, arte a corte; in Piccardia l'uccisione del sergente maggiore reale da parte di un italiano nel giugno 1615 provocò una sommossa. L'anno successivo le cose divennero ancora peggiori, quando l'inimicizia fra il C. e i principi aumentò. Accusati di essere i responsabili dell'arresto del principe di Condé il 1° sett. 1616, i Concini videro il loro palazzo parigino e la casa del segretario di Leonora saccheggiati per due giorni dalla plebaglia. Soltanto in seguito abbiamo un'inconfutabile prova che i Concini intervennero nel maneggio della politica reale. Essi furono responsabili di un cambiamento di governo nell'autunno del 1616 quando i ministri più importanti, che erano stati in carica dalla morte di Enrico IV, furono rimpiazzati da tre uomini nuovi, fra cui il giovane vescovo di Luçon, il futuro cardinale Richelieu, che divenne segretario di Stato nel novembre.
Per mezzo della sua influenza sulla regina, Leonora aveva un ruolo diretto nel proporre i cambiamenti; ma il C. si interessava soprattutto di selezionare gli uomini. Egli si vantava a proposito dei nuovi ministri, specialmente del nuovo segretario di Stato, che era "capable de faire leçon à tutti barboni" (Richelieu, Mémoires, II, pp. 229 s.), e a ragione: sebbene fossero notoriamente venali, i Concini raccomandarono ministri che erano competenti e incorruttibili.
Le liti domestiche del C. con Leonora erano ora un segreto noto a tutti; malgrado ciò essi cooperavano nelle questioni politiche e finanziarie. Dalla fine del 1616 il C. si comportò come un vero capo di Stato, tenendo riunioni ministeriali nella sua casa e rimanendo in quasi costante corrispondenza con Richelieu.
Ci si deve chiedere se il C. avesse un vero programma politico. Richelieu più tardi dichiarò che il C. "avoit pour principal but d'élèver sa fortune aux plus hautes dignités où puisse venir un gentilhomme, pour second désir la grandeur du Roi et de l'Etat, et, en troisième lieu, l'abaissement des grands du royaume" (Mémoires, II, p. 228). Certamente egli detestava i Parigini, che avevano saccheggiato la sua casa. "Se essi non mi amano, almeno impareranno a temermi", diceva nel febbraio del 1617, quando fece costruire forche per tutta la capitale. Il C. e i "suoi" ministri impiegarono la maggior parte dei mesi seguenti a condurre una guerra contro i principi. Egli raccolse e armò un esercito di 6.000 fanti e 800 cavalieri, la metà circa francesi e l'altra metà di Liegi; fortificò una città ai confini della Normandia, munendola con alcuni cannoni dell'arsenale reale, che marcò con disinvoltura con il suo emblema personale; con il suo esercito prese parte a una scaramuccia non decisiva con i suoi nemici. Dall'inizio alla fine di tutti i suoi intrighi politici, tuttavia, questo per altri versi abile cortigiano apparentemente non fece un serio sforzo per guadagnarsi l'amicizia del sovrano sedicenne, in nome del quale si combatteva la guerra. "Il re l'aborrisce" osservava un diplomatico; Luigi XIII veniva a poco a poco preparando un colpo che lo avrebbe liberato per sempre dalla tirannia della madre e del suo insolente favorito.
Manifestamente nervoso per la crescente opposizione alla sua autorità, il C. verso la fine della sua vita si comportava eccentricamente. Talvolta preparava piani per un conveniente ritiro in Italia, progettando di diventare ambasciatore permanente a Roma, o meglio ancora, di divenire duca di Ferrara, per cui egli era pronto a offrire un enorme dono al papa. Talvolta Leonora cercava avidamente di strappare ancora benefici a Maria de' Medici (ella ricevette la baronia di Laigle agli inizi del 1617 e suo fratello fu nominato arcivescovo di Tours), mentre altre volte anche lei parlava di ritirarsi in Italia; allora il C. le si sarebbe opposto rabbiosamente, dicendo che da quando egli era in Francia "il n'y avoit que la casa di Domine Dio de meilleure et où il pouvait vivre à sa guise" (Richelieu, Mémoires, II, p. 231). La morte della loro figlia, il 2 genn. 1617 fu un colpo crudele e fece cadere il C. in un'acuta malinconia durante la quale confidò profeticamente a Bassompierre: "Depuis que je suis au monde, j'ay appris à connaître et à voir non seulement les commencements du destin, mais aussi les chutes et décadences; et que l'homme arrive au point de la fortune, après duquel il descend, ou mieux se précipite, selon que sa montée à été haute et rapide" (ibid., II, p. 107). Dopo quattro mesi era morto, la moglie e il figlio imprigionati, i loro onori e beni in Francia confiscati e anche quelli in Italia minacciati.
Completamente inaspettato dal C. e dai nuovi ministri, il colpo di Stato del 24 apr. 1617, durante il quale il C. fu assassinato a Parigi dalle guardie regie, fu un completo successo per il giovane sovrano e per il suo nuovo favorito.
Le sue conseguenze furono disastrose per la casa Concini. Un enorme ammontare di contanti e di biglietti di cambio -1.928.000 libbre tornesi - fu trovato sul cadavere del maresciallo; ma i beni confiscati a Leonora, dopo che ella era stata giustiziata l'8 luglio 1617 per lesa maestà e per accuse di stregoneria, furono molto più ingenti. Il loro figlio Henry rimase in prigione cinque anni prima di essere liberato, fornito di una pensione di 2.000 scudi e autorizzato a ritirarsi a Firenze dove egli riprese il titolo di conte della Penna e morì di peste nel 1631.
Il giudizio dei posteri sul C. è stato decisamente negativo. Nell'anno della morte dei Concini più di un centinaio di libelli a loro ostili furono stampati in Francia, parecchi dei quali furono tradotti in altre lingue; la loro violenza xenofoba ricorda le Mazarinade di una generazione dopo, che crearono leggende simili sulla tirannia italiana in Francia. La plebe parigina prese la sua vendetta sul cadavere del C., strappandolo alla sua tomba il giorno dopo la morte, profanandolo e infine vendendo le sue ceneri. Probabilmente il suo più caritatevole epitaffio non venne dai suoi compatrioti, ma dal suo protetto francese più famoso: "Il étoit homme de bon esprit, mais violent en ses enterprises"; e "Il étoit naturellement soupçonneux, comme Italien et Florentin, moins charlatan que le commun de sa sa nation ne porte, entreprenant, courageux, quoique la médisance qui attaque toujours ceux qui ont la prémière puissance, ait voulu dire" (II, pp. 160 e 228). E Richelieu, lanciato nella sua carriera ministeriale dai Concini, temporaneamente in disgrazia e quasi imprigionato dopo la loro caduta, alla fine affidò gli affari di Francia a un altro italiano egualmente avaro, ma astuto. Mazzarino, approfittando degli errori del suo predecessore, conquistò e mantenne l'affetto del giovane sovrano, come pure quello della regina-reggente: la sua carriera piena di successi fu per molti importanti aspetti la realizzazione dell'abortito programma del Concini.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo del Principato, 4748, ff. 1-254 (106 lettere del C., 1611-1617); Parigi, Archives nationales, X 2a 979; Ibid., Bibl. nat., Cinq cents de Colbert n.221 (processo di Leonora); per altre lettere e documenti a Parigi, cfr. G. Mongrédien, Léonora Galigaî, Paris 1968, pp. 227-230. Per i pamphlets del 1616-1617: Les Sources de l'hist. de France, a cura di E. Bourgeois-L. Andre, Paris 1901-1932, III, 4, 2298-2375, pp. 127-141. Il più import. resoconto contemp. è di P. Matthieu, La coniuration de Conchine, ou l'Histoire des mouvements derniers, Paris 1619. Altre fonti: Négotiations diplom. de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini-A. Desjardins, V, Paris 1875, passim; F. Pouy, C., maréchal d'Ancre, son gouvernement en Piçardie 1611-1617, Amiens 1885; R. de Crèvecoeur, Un document nouveau sur la succession de C., Paris 1891; Mémoires du cardinal de Richelieu, a c. di L. Lavollée, I-II, Paris 1907-09 ad Ind.; Mém. du maréchal Bassompierre, a c. di de Chantérac, I-II, Paris 1870-73; F. de Malherbe, Oeuvres, a c. di R. Lalanne, III, Paris 1862, pp. 380, 390 s., 413, 427, 436 ss., 446; P. de l'Estoile, Journal du règne d'Henri IV, a cura di R. Lefevre-A. Martin, II-III, Paris 1958-60, ad Indicem; R. Belvederi, Guido Bentivoglio e la polit. europea del suo tempo, Padova 1962, pp. 714-726. I più import. studi moderni: F. Hayem, Le maréchal d'Ancre et Léonora Galigaî, Paris 1910; M. Paiter, Toscani alla corte di Maria dei Medici regina di Francia, in Arch. stor. ital., XCVIII(1940), 2, pp. 83-108.