VATICANO, CONCILIO
CONCILIO È il ventesimo dei concilî ecumenici, e porta questo nome per il fatto che fu tenuto nella cappella, trasformata in aula, dei Ss. Processo e Martiniano, nella basilica di S. Pietro in Vaticano. Aperto da Pio IX, l'8 dicembre 1869, venne dal medesimo sospeso (non chiuso) il 20 ottobre del 1870, dopo che il 20 luglio di quello stesso anno era stata concessa ai padri facoltà di lasciare Roma. I suoi decreti furono esclusivamente dottrinali, non disciplinari. Ciò che forma la sua caratteristica, e gli assicura una influenza senza pari nella Chiesa, fu l'avere definita l'infallibilità pontificia.
Vi parteciparono i cardinali, i vescovi, anche quelli semplicemente titolari, gli abati nullius, e quelli a capo di qualche congregazione di abazie, e i generali dei più importanti ordini religiosi. In tutto, secondo il calcolo fattone dal segretario del concilio, mons. J. Fessler, vescovo di Sankt Pölten (Austria), la media dei padri che presero parte alle sedute si aggirava sui 700. Numero cospicuo, se si pensa che in quel tempo i vescovi cattolici di tutto l'orbe non oltrepassavano il migliaio.
Vi furono invitati anche i patriarchi e vescovi ortodossi, ma nessuno di essi accettò.
Fu preceduto da una preparazione così accurata, come non se ne legge una simile per nessun altro concilio. Pio IX volle che venisse iniziata già sul finire del 1864, quando manifestò per la prima volta ai cardinali il suo progetto del concilio, e ne ebbe da essi per scritto unanime consenso. L'affidò a una commissione centrale o direttrice, composta prima di 5 e poi di 9 cardinali, alla dipendenza della quale furono subito costituite sei sottocommissioni, dette a seconda dell'oggetto loro assegnato: dogmatica, politico-religiosa, della disciplina, degli ordini religiosi, delle chiese orientali e missioni, delle cerimonie. A far parte di esse furono chiamati teologi e canonisti di tutte le nazioni, scelti sul preavviso dei relativi vescovi. In tutto i membri delle sottocommissioni furono 102, e cioè: 10 vescovi, 69 preti secolari, 23 religiosi, e di questi 4 domenicani, 2 agostiniani, 2 barnabiti, 1 minor conventuale, 1 minore osservante, 1 benedettino, 1 carmelitano, 1 servita, 1 dei ministri degl'infermi, 1 oratoriano e 8 gesuiti.
Il lavoro delle commissioni, condotto sotto il più stretto segreto giurato, procedette con alterne vicende, a causa delle condizioni politiche del tempo, assumendo un ritmo di grandissima intensità, specialmente dopo che Pio IX con la Bolla Aeterni Patris, del 29 giugno 1868, aveva solennemente indetta l'apertura del concilio per la festa dell'Immacolata dell'anno susseguente. Le commissioni allestirono in tutto per la discussione dei padri 51 schemi, raggruppati sotto i seguenti titoli: Circa fidem, De Ecclesia Christi, De matrimonio christiano, Circa disciplinam ecclesiasticam, Circa ordines regulares, Circa res Ritus orientalis et Apostolicas Missiones. Il programma che avrebbe dovuto svolgersi dalla augusta assemblea, venne in seguito allargato dai Postulati, presentati o dai padri o da altri, più numerosi e variati che non gli schemi, e qualcuno anche più importante.
Se l'annuncio del concilio fu in un primo tempo accolto con immenso giubilo da iutti i cattolici e con benevola neutralità dai protestanti, divenne non molto dopo fonte di un indicibile turbamento nella Chiesa e fuori. La massoneria, irritata dalla straordinaria prova di vitalità, che la Chiesa stava per dare, si mise a organizzare con grande ostentazione un anticoncilio detto del libero pensiero, da aprirsi in Napoli nel giorno stesso del Concilio Vaticano. Di fatto quella adunata fu tenuta, e molto numerosa, con rappresentanze delle logge di tutto il mondo, ma bastarono pochi giorni perché si tramutasse in una babele, che necessitò l'intervento della polizia per disperderla. Più pericolosa invece e persistente fu l'agitazione sorta nel seno stesso della Chiesa, per opera del gallicanismo e del giansenismo, che non erano ancor morti e non volevano morire, e del germanesimo, allora in piena fioritura. Tutti gli addetti a queste correnti teologiche si spaventavano davanti alla prospettiva che la per loro già troppo grande autorità papale venisse ingemmata anche con la definizione dell'infallibilità, alla quale, per la pura verità, né Pio IX nei suoi atti ufficiali, né le commissioni preparatorie nei loro lavori avevano mai accennato. Ma un articolo, restato poi famoso, della Civiltà Cattolica del 6 febbraio 1869, aveva creato la persuasione che quella definizione non sarebbe mancata, che sarebbe anzi stata formulata per acclamazione. Si scatenò un finimondo. Aprì il fuoco col libro intitolato Janus, tradotto immediatamente in tutte le lingue e distribuito con illimitata prodigalità, il decano dell'università di Monaco in Baviera, I. Döllinger, che rimase poi il capo della guerra mossa al concilio anche durante la sua celebrazione, e in seguito. Il turbamento e la confusione degli animi in Germania furono tali, che i vescovi di quella nazione, radunati a Fulda nel 1869 per la loro conferenza annuale, si credettero in dovere di scrivere al pontefice, pregandolo istantemente di non permettere che tra le trattande del concilio venisse iscritta la questione dell'infallibilità. Il movimento antinfallibilista si propagò rapidissimamente oltreché nella Svizzera tedesca e nell'Austria-Ungheria, legate dai più stretti rapporti culturali con la Germania, nella Francia, nell'Inghilterra, e negli altri paesi di lingua inglese e francese. La calma rimase sostanzialmente imperturbata solo in Italia e nei paesi di lingua spagnola.
Di conseguenza, quando i padri entrarono nel concilio erano già divisi (e così rimasero fino alla fine) in due gruppi: quello degl'infallibilisti e degli antinfallibilisti. Emergevano nel primo: H. E. Manning, arcivescovo di Westminster; I. Senestry, vescovo di Ratisbona; V.-A.- I. Dechamps, arcivescovo di Malines; É. Pie, vescovo di Poitiers; A. Plantier, vescovo di Nimes; G. Mermillod, vescovo di Ginevra; P.-J. De Preux, vescovo di Sion (Vallese); E. Bagnoud, vescovo di Betlemme e abate di S. Maurizio (Vallese); C. Martin, vescovo di Paderborn; V. Gasser, vescovo di Bressanone; P. Cullen, arcivescovo di Dublino; P. Leahy, vescovo di Cashel; M. Payá y Rico, vescovo di Cuenca; L. Gastaldi, vescovo di Saluzzo; J.-M. Doney, vescovo di Montauban. Nel secondo: F. Dunpanloup, vescovo di Orléans; G. Darbois, arcivescovo di Parigi; A. Ginoulhiac, vescovo di Grenoble; W.E. Ketteler, vescovo di Magonza; K.J. Hefele, vescovo di Rottenburg; il cardinale F. v. Schwarzenberger, arcivescovo di Praga; J.O. Rauscher, arcivescovo di Vienna; J. Strossmayer, arcivescovo di Djakovar; L. Haynald, arcivescovo di Koloksa; G.J.H. Clifford, vescovo di Clifton; P.R. Kenrick, arcivescovo di St Louis; J.B. Purcell, arcivescovo di Cincinnati; A. Verot, vescovo di Savannah; Th. L. Connolly, arcivescovo di Halifax; C.J. Greith, vescovo di S. Gallo; P. Losanna, vescovo di Biella, e P. Sola, vescovo di Nizza.
Non è il caso di addentrarsi nell'esame del regolamento del concilio e delle modifiche, che suggerite dall'esperienza vi furono in seguito introdotte; della storia dei Postulati e specialmente di quello relativo all'infallibilità, delle discussioni e delle incessanti e clamorose polemiche. Basterà ricordare che, in tutto, il concilio tenne 89 congregazioni generali e 4 sessioni pubbliche, presiedute queste dal papa stesso, e quelle dai cardinali F. De Angelis (successo al card. K.A. v. Resach, morto poco dopo l'apertura del concilio), A. De Luca, G.A. Bizzarri, L. Bilio e A. Capalti, in qualità di legati pontifici. Il lavoro compiuto avrebbe potuto essere indubbiamente più vasto, se non ci fossero stati troppi e volutamente troppo lunghi discorsi,
Furono trattati diversi punti di disciplina, ma senza arrivare allo stabilimento di nessuna legislazione nuova. Nel campo della dottrina vennero emanate due costituzioni, di valore definitivo: quella De fide catholica detta anche Dei Filius, e la Constitutio dogmatica prima de Ecclesia Christi, conosciuta sotto la denominazione di Pastor aeternus.
La discussione della Dei Filius occupò 23 congregazioni generali, che duravano da tre a quattro ore l'una. Votata all'unanimità dei padri, fu promulgata nella sessione terza, il 24 aprile 1870. È divisa in 4 capi e 18 canoni. Il c. 1 con 5 can. tratta di Dio e condanna in modo espresso l'ateismo, il materialismo e il panteismo. Il c. 2, intitolato De revelatione, con 4 canoni, tratta della cognizione naturale e soprannaturale. che possiamo avere di Dio, condanna il tradizionalismo e il razionalismo, riafferma la divina origine e la soprannaturale ispirazione della S. Scrittura. Il c. 3, con 6 canoni, tratta della fede, di cui insegna la necessità, la soprannaturalità, e la connessione col magistero della Chiesa. E la fede è l'adesione certa e incrollabile alla rivelazione, la cui credibilità è provata dai miracoli e dalla vita stessa della Chiesa. Il c. 4 con 3 canoni parla dei rapporti tra la fede e la ragione: quella contiene dei misteri che questa non può comprendere, ma che neanche può dimostrare falsi; il senso dei dogmi proposti dalla Chiesa è immutabile, e sono da ritenersi senz'altro false quelle discipline umane che a essi contraddicessero.
La costituzione Pastor aeternus, certo di non minore importanza, fu trattata con un'attività letteralmente febbrile dal 13 maggio al 16 luglio in 37 congregazioni generali e venne solennemente promulgata nella quarta sessione, 18 luglio 1870, presenti 535 padri, che tutti votarono placet, eccetto due, un italiano e un americano, che votarono non placet. Contiene 4 capi con un solo canone per ogni capo. Insegna: a) che S. Pietro, insignito di un primato non di solo onore, ma di vera e propria giurisdizione, deve avere in tale primato dei perpetui successori; b) che pertanto il Romano Pontefice gode di una piena e suprema potestà di giurisdizione in tutta la Chiesa: di una potestà che è veramente "episcopale e immediata, verso la quale i pastori di qualunque rito e dignità, tanto ciascuno individualmente, quanto tutti insieme, sono vincolati dal dovere di gerarchica subordinazione, e di vera obbedienza, non solo nelle cose appartenenti alla fede e ai costumi, ma anche in quelle che riguardano la disciplina e il regime della Chiesa in tutto il mondo diffusa"; c) che il primato del Romano Pontefice comprende anche la suprema podestà di magistero, alla quale Gesù Cristo ha congiunta la prerogativa dell'infallibilità. "Insegniamo e definiamo - così testualmente la costituzione - essere dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercitando l'ufficio di Pastore e Maestro di tutti i cristiani, definisce secondo la sua suprema autorità apostolica una dottrina intorno alla fede o ai costumi che debba tenersi da tutta la Chiesa, mercé dell'assistenza divina nel beato Pietro a lui promessa, gode di quell'infallibilità di cui il divin Redentore volle fosse dotata la sua Chiesa nel definire la dottrina circa la fede e i costumi; e perciò che siffatte definizioni del Romano Pontefice sono irreformabili per sé stesse, e non già per il consenso della Chiesa".
I vescovi, chi più chi meno prontamente, ma tutti nel giro di non molti mesi si sottomisero alla definizione dell'infallibilità: anche quelli che le si erano sempre mostrati contrarî; anche quelli che di proposito si astennero dall'intervenire alla quarta sessione, anche i due che nella sessione avevano votato non placet, anche quei cinquantacinque (fra i quali tre italiani) che alla vigilia della definizione erano partiti con ostentazione da Roma dopo di avere inoltrata al pontefice una lettera di protesta contro la imminente proclamazione del nuovo dogma. Nessuna defezione nella gerarchia. Si ribellò solo il gruppo dei "vecchi cattolici" (v.).
Per un pieno intendimento storico del Concilio Vaticano, giova altresì tenere presente la complessa situazione politica, italiana ed europea, dal momento in cui venne annunciato a quello della sospensione: tra la convenzione del 15 settembre 1864 (v. settembre, convenzione di) e lo scoppio della guerra franco-prussiana e l'occupazione italiana di Roma, mentre anche il Sillabo e le altre dichiarazioni dogmatiche compiute o preannunciate allarmavano l'opinione liberale. Di tali preoccupazioni si fece interprete il govemo bavarese che: in una comunicazione del principe Hohenlohe, nell'aprile 1869, propose che le potenze si concertassero per un'azione comune diretta a tutelare i diritti sovrani degli stati. Ma questa iniziativa cadde nel vuoto: il Bismarck, al momento, dichiarò non ravvisare nel concilio alcuna minaccia agl'interessi prussiani. Quanto all'Austria, il von Beust si limitò a dichiarare che confidava nella prudenza del Santo padre e dei cardinali. Eppure le trattative per un'alleanza italo-austro-francese, mirante a frenare la Prussia naufragavano precisamente a causa della questione romana (v. romana, questione) e in particolare del ritiro delle truppe francesi da Roma. Ora, come si sentiva a Roma e come osservava, nel gennaio 1870, il Bismarck, il concilio era interamente nelle mani della Francia, giacché il ritiro delle truppe avrebbe resa impossibile sia la convocazione sia la continuazione del concilio. E d'altra parte il governo italiano non poteva esimersi dall'osservare, in una comunicazione del Menabrea nell'ottobre 1869, che la presenza delle truppe francesi a Roma permetteva la convocazione di un'assemblea antitaliana. A dare agl'Italiani l'impressione che il concilio avesse anche questo significato, non poteva non contribuire il fatto che alla solenne apertura del concilio presenziarono, con il re del Württemberg, anche gli ex-sovrani di Napoli, di Parma e di Toscana, tuttora riconosciuti come legittimi dal governo pontificio.
D'altra parte, la questione dell'invito ai sovrani era stata studiata a lungo a Roma: si fu incerti se invitare anche i sovrani non cattolici (la Prussia aveva una numerosa popolazione cattolica); altre difficoltà e imbarazzi erano creati dalla posizione del "re di Sardegna" scomunicato in conseguenza dell'invasione dello stato pontificio nel 1860-61, e di varî presidenti di repubbliche dell'America latina, anticlericali o massoni notorî. Fu deciso, quindi, d'inserire nella bolla una frase generica intorno alla cooperazione che i principi avrebbero dato e all'ambasciatore di Francia il card. Antonelli spiegò che, se uno stato avesse inviato i proprî rappresentanti, sarebbero stati accolti. In Francia, Napoleone III fece prevalere l'opinione che non si dovessero inviare. Nella discussione parlamentare del 10 luglio 1868 l'opinione che il mancato invito ai sovrani implicasse l'accettazione da parte del papa del principio della separazione della Chiesa dallo Stato, e che pertanto in omaggio ai principî liberali questo dovesse lasciare ai vescovi e al concilio pienissima libertà, fu sostenuta da E. Ollivier; il quale dal gennaio 1870 diresse la politica francese, e più tardi difese la propria condotta nel suo ben noto libro sul concilio (v. bibl.).
In un'atmosfera così riscaldata dalle preoccupazioni politiche, non meno che dalle violente controversie teologiche, non è meraviglia che avvenissero incidenti deplorevoli, nel concilio e intorno ad esso. La minoranza si allarmò subito, sia perché pareva a essa troppo grande il numero dei prelati di curia ammessi al concilio, sia vedendo i proprî rappresentanti inesorabilmente esclusi dalla commissione de fide, per opera del Manning, che fu l'anima della maggioranza e mostrava di considerare già come eretici tutti gli avversarî dell'infallibilità, anche i cosiddetti "inopportunisti": ossia coloro che dichiaravano di avversare la proclamazione di quel dogma, non in sé, ma in quanto, a loro avviso, inopportuna, date le circostanze. Si lagnava la minoranza della procedura, e anche del fatto che "cose le quali a Trento erano state lasciate nelle mani dei padri - decisione sulle richieste a prendere parte al concilio, nomina di ufficiali di questo, regole procedurali - erano ora tutte fissate dall'azione personale del papa. Queste cose non erano d'importanza vitale; ma tale era agli occhi di molti una cosa, lasciata indeterminata a Trento, cioè il diritto di proporre questioni, ius proponendi. Ora veniva stabilito inequivocabilmente che il diritto e il dovere di proporre le materie da trattarsi nel concilio appartiene esclusivamente al papa e alla Sede apostolica" (Butler, I, p. 245). Lamentava altresì la minoranza che l'aula del concilio fosse sorda, sì che gli oratori non si potevano udire; e del resto venivano spesso interrotti e richiamati all'ordine dai legati. Bisogna anche riconoscere che spesso finivano con l'allontanarsi alquanto dall'oggetto della discussione o si perdevano in questioni assai particolari o in tirate retoriche, talvolta con intenzioni ostruzionistiche. Scene penose si ebbero il 22 marzo 1870, allorché lo Strossmayer fu impedito, dalle proteste della maggioranza, di continuare il suo discorso e il 18 giugno, per il discorso del card. Guidi, domenicano, contro l'infallibilità: che ebbe anche un seguito in un'udienza papale, nel corso della quale Pio IX avrebbe pronunciato circa la Tradizione parole che sono state oggetto di molte discussioni e ricerche. Né mancavano i tentativi di pressione sul papa, mentre vescovi della minoranza si lamentarono a loro volta di atti che essi ritennero intesi a intimidirli. E d'altra parte continuavano anche fuori del concilio le incessanti e clamorose polemiche, alimentate dalle informazioni che al Dollinger venivano date dalla diplomazia bavarese, e le manovre antinfallibiliste di lord J.E. Acton. E si ebbero anche violazioni del segreto giurato; mentre quattro membri della maggioranza - Deschamps, Senestrey, Mermillod e Manning - a quanto fu asserito dopo il concilio, sarebbero stati assolti dall'obbligo del segreto: informazioni furono date dal Manning a Odo Russell (1829-1884; barone Ampthell, dal 1881; ambasciatore a Berlino dal 1871), allora residente inglese a Roma.
Le ripercussioni politiche non finirono con il concilio. Esso fu interrotto di fatto dallo scoppio della guerra franco-prussiana e sospeso dopo l'occupazione di Roma. Ma la proclamazicne dell'infallibilità e lo scisma dei "vecchi cattolici" fornirono armi e incoraggiamenti al Bismarck per il Kulturkampf, mentre il von Beust ne approfittò per denunciare il concordato austriaco del 1855, allegando essere sopravvenuta una modificazione sostanziale nell'altra parte contraente.
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Lavori storici sul concilio: Addone, Concili ecumenici e vicende del Concilio Vaticano, Milano 1934; Lord Acton, Zur Geschichte des vaticanischen Concils, Monaco 1871; Ballerini, il Concilio ecumenico Vaticano, Milano 1880; La Civiltà Cattolica, anni 1868-71, sotto la rubrica Cose spettanti al Concilio; Dom Cuthbert Butler, The Vatican Council, the story told from inside in Bishop Ullathorne's letters, Londra 1930, voll. 2; E. Campana, Il Concilio Vaticano (Il clima del concilio), II, Lugano-Bellinzona 1926; I. Döllinger, Römische Briefe vom Concil von Quirinus, Monaco 1870; J. Fessler (segretario del conc.), Das vaticanische Concilium, dessen äussere Bedeutung und innerer Verlauf, Vienna 1871; Friedrich, Geschichte des vaticanischen Konzil, III, Bonn 1877-88; id., Tagebuch während des vaticanischen Concils geführt, 2ª ed., Nördlingen 1873; V. Frond, Actes et Histoire au Conc. Oecum. Conc. de Rome, Parigi 1871, voll. 8, che parlano di tutto tranne che degli atti e della storia del concilio: Th. Granderath, Geschichte des vaticanischen Konzils, voll. 3, Friburgo in Br. 1903-906; Manning, The true story of the Vatican Council, Londra 1877; Marchese Virginio, Le mie impressioni al Concilio Vaticano, Saluzzo 1912; F. Mourret, le Concile du Vatican, d'après des documents inédits, Parigi 1919; E. Ollivier, L'Église et l'État au Concile du Vatican, II, ivi 1877; Riess e Weber, Das ökum. Concil (Stimmen aus Maria-Laach, 1869-1870); Scheeben, Das ökumenische Concil vom Jahre 1869, III, Ratisbona 1870; J. F. von Schulte, Der Altkatholicismus, Giessen 1877.
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