Trento, Concilio di
Concilio universale, fra i più importanti della Chiesa cattolica (1545-63). A premere per la convocazione di un concilio era stato soprattutto Carlo V, già nel tempo di Clemente VII: per il suo disegno imperiale la pacificazione della Germania e la riforma della Chiesa risultavano essenziali. Il papato e la Curia opposero, finché poterono, resistenza al progetto, per timore che riapparissero le istanze conciliariste e per le temibili, dal loro punto di vista, conseguenze di una riforma dottrinale e disciplinare: lo fecero differendone di continuo la convocazione, ma anche favorendo tentativi di riforma senza concilio, quale quello che nel 1536-37 portò all’elaborazione del Consilium de emendanda ecclesia. Fu la Pace di Crépy (1544), che impegnava Carlo V e Francesco I a favorire la convocazione di un concilio e a rispettarne le decisioni, a obbligare Paolo III all’organizzazione dell’assise nella città imperiale di Trento. I lavori iniziarono nel dic. 1545, sotto la guida dei legati pontifici e senza la partecipazione dei protestanti. Subito si discusse se il concilio dovesse iniziare a trattare di riforma disciplinare della Chiesa, come chiedeva, con altri, Carlo V, o di questioni dottrinarie, come auspicava il papa. Si decise che le due prospettive dovessero coesistere, ma Paolo III riuscì a imporre da subito le deliberazioni sulla dottrina, il che gli consentì di scavare un solco che impedisse qualsiasi tipo di intesa col mondo riformato (e differisse i rischiosi provvedimenti disciplinari). Alla tradizione storica della Chiesa romana fu così attribuita la stessa rilevanza della Sacra Scrittura; venne condannata la dottrina della giustificazione per fede e ribadita l’efficacia dei sette sacramenti. I dissapori con Carlo V spinsero il papa a trasferire nel marzo 1547 il concilio a Bologna col pretesto di una epidemia. La contestata decisione portò a una sospensione dell’assise che durò fino al maggio 1551, quando i lavori ripresero a Trento senza troppa convinzione per interrompersi il 28 apr. 1552. La nuova sospensione durò 10 anni: nel 1555 la Pace di Augusta aveva intanto risolto in modo spregiudicato la crisi religiosa in Germania, e papa Paolo IV era contrario al concilio. L’assise tornò a riunirsi a Trento il 18 genn. 1562 dopo una lunga trattativa tra papa Pio IV, la Francia, la Spagna e l’impero. Tra grandi contrasti, anzitutto legati alle diverse concezioni della Chiesa, quella papocentrica e quella dovuta a una visione episcopalista, si dettarono norme sull’ordinamento delle diocesi ribadendo tra l’altro l’obbligo della residenza per i vescovi (non dovuta però de iure divino, il che consentiva ai papi di accordare dispense), elencando i loro doveri e prescrivendo infine l’erezione dei seminari per la formazione del clero (15 luglio 1563). Vennero regolati i sinodi provinciali e diocesani, che dovevano tenersi a intervalli regolari e ravvicinati ed essere accompagnati da visite nelle diocesi. La notizia della malattia del papa affrettò la conclusione dell’assemblea, che fu proclamata il 4 dic. 1563. I canoni del concilio, che in pratica furono recepiti senza condizioni solo nella Penisola Italiana, non furono pubblicati se non nel 20° sec.: solo una speciale congregazione poteva consultarli e interpretarne il contenuto.