CONCIA (da conciare, lat. *comptiare; fr. tannage; sp. curtido; ted. Gerbung; ingl, tanning)
È il processo per il quale la pelle degli animali è resa imputrescibile e resistente all'umidità. La pelle dell'animale appena macellato contiene circa il 60% d'acqua ed entra facilmente in putrefazione; se la si essicca, diventa dura e non pieghevole. In queste condizioni, la pelle non può essere di grande utilità.
Se si fa bollire in acqua calda un pezzo di pelle, lo si vede lentamente disorganizzarsi e disciogliersi, trasformandosi in colla; esso cioè, si gelatinizza. Però, se in questa soluzione si versa una soluzione di acido tannico, la gelatina precipita ed il precipitato è insolubile nell'acqua calda ad 80°. Anche l'allume di cromo ed altre sostanze minerali modificano le sostanze proteiche in modo che la pelle trattata con esse non si gelatinizza più nell'acqua calda. Su questi fenomeni si fonda la concia.
Già in tempi antichissimi si osservò che, cospargendo di olio o di grasso fuso una pelle fresca, mettendola poi a seccare e infine spiegazzandola, essa diventava imputrescibile ed acquistava una morbidezza che le permetteva di adattarsi al corpo e servire da vestimento: nacque così la concia grassa. In seguito, si trovarono nei tannini vegetali delle sostanze che rendevano la pelle resistente all'umidità e, nel medesimo tempo pieghevole: nacque la concia vegetale. La pergamena, che è pelle greggia privata del pelo, ma non ingrassata, è antica almeno quanto la concia vegetale: perché essa rappresenta lo stato cui la pelle deve essere ridotta per poterla conciare. Sorse per ultima la concia minerale.
L'arte della concia è antichissima. Fra gli utensili di pietra dell'uomo preistorico abbondano quelli che servono a forare e raschiare le pelli. Negl'ipogei egiziani che risalgono a 6 0 7 mila anni fa, si sono rinvenuti dipinti che rappresentano i diversi stadî della lavorazione del cuoio e delle calzature. Certe operazioni e certi strumenti di quell'epoca erano ancora in uso cinquant' anni fa: qualcuno lo è anche al giorno d'oggi. Gli Egizî, i Babilonesi ed i Persiani praticavano la concia vegetale e la tintura delle pelli. I Romani perfezionarono i processi di concia e Plinio ricorda le noci di galla, la scorza di quercia, il sommacco, come materie concianti; essi preparavano anche uno speciale tipo di cuoio (aluta) con l'allume.
L'arte della concia fece grandi progressi presso i popoli di civiltà araba. Il cordovano o cuoio di Cordova e il cosiddetto marocchino furono introdotti dagli Arabi in Spagna verso il 1000 e si diffusero rapidamente in Europa. Gl'Italiani svilupparono pure la lavorazione dei marocchini e dei cosiddetti cuoi indorati (v. cuoio). La concia al cromo, che fu causa di una vera rivoluzione dell'industria ed è oggi universalmente impiegata, fu scoperta soltanto nel periodo 1884-93.
Lo sviluppo della moderna industria conciaria cominciò meno di cinquant'anni fa, con l'introduzione del nuovo macchinario americano. La chimica diede i nuovi processi rapidi, i metodi di controllo della fabbricazione e dei prodotti e nuovi tipi di pelli conciate. Presentemente, perfezionati i metodi analitici, l'indagine scientifica è rivolta alla ricerca delle cause prime dei fenomeni che si osservano nella lavorazione, a stabilire quali sono le condizioni migliori per questa, infine a formulare teorie dei diversi metodi di concia, anche con l'aiuto della chimica fisica.
La pelle.
La struttura anatomica della pelle non è molto differente per le diverse specie di animali se si eccettuino i suini. Essa si può rappresentare come segue, partendo dalla parte esterna (fig. 2):
I peli, dal punto di vista del processo di concia, si distinguono in peli fondamentali o di base, assai corti e fini, e superficiali comuni. Mentre i peli superficiali si possono facilmente eliminare mediante i depilatori, i peli giovani, o pelomorto, sono resistenti e occorrono trattamenti e precauzioni speciali per estirparli. Quando la pelle è conciata e rifinita, è facile mediante una lente vedere sul fiore tante piccole fossette o pori che hanno disposizione particolare, e gli abili conoscitori giudicano da questi pori la specie e anche l'età e il sesso dell'animale, da cui la pelle proviene. La bellezza, la lucentezza, la finezza del pelo, sono indizio di buona qualità della pelle.
Il corio o derma o cutis vera è la sola parte della pelle utilizzata dall'industria della concia delle pelli senza pelo. Si divide in due strati, comunemente chiamati fiore e carre, l'ultimo dei quali costituisce nei bovini la grandissima parte del corio, mentre l'opposto succede per altre specie di animali. Il corio è formato di un fitto intreccio di fibre di tessuto connettivo, in gran parte bianche e in poca parte gialle o elastiche, di diversa composizione chimica e che nella pratica subiscono trattamento diverso, a seconda del cuoio finito che si vuole ottenere. Il derma, mentre nella parte inferiore è limitato dal tessuto adiposo, nella parte che chiameremo esteriore termina nella cosiddetta grana o fiore, detta anche membrana della grana, perché costituisce la superficie della grana del cuoio finito. A formare questa grana, concorrono le fibre del tessuto connettivo, che sono estremamente fini e generalmente corrono parallele alla superficie della pelle.
Fra la regione del fiore e l'epidermide è ammesso da molti e negato da altri uno strato, detto strato ialino, che sarebbe quello visibile sul fiore della pelle umida dopo il depilamento al latte di calce, e costituirebbe la superficie esteriore dello strato papillare che comunemente è detta membrana del fiore. Questa superficie è delicatissima e facilmente deteriorabile dalle azioni meccaniche e primo studio del conciatore è quello di non guastarla durante la lavorazione. Il fiore della pelle in trippa s'increspa facilmente quando è trattato con soluzioni tanniche vegetali troppo concentrate, mentre una pelle cui fu tolto il fiore mediante la macchina a spaccare non è che mediocremente sensibile agli astringenti. Quando la pelle greggia è male conservata e subisce un principio di putrefazione (o, come si dice con termine tecnico, è riscaldata), questa superficie è la prima a soffrire ed allora, p. es., non si potrà più ottenere una tintura uguale di colore. Appunto per la delicatezza di questo strato, quando esso è deteriorato, per evitare che la pelle abbia brutto aspetto, a lavorazione finita si usa sfiorare il cuoio mediante macchine dette buffing, ottenendo così una superficie uguale, non più liscia, ma vellutata, però senza lucido.
La conformazione della superficie del fiore a cuoio finito è caratteristica per ogni specie di animali (fig. 3) e sul variare dell'apparenza della grana si fonda in buona parte la scelta del cuoio per calzature, per ornamenti, ecc. Per es., nell'industria delle calzature la pelle di capra è poco stimata rispetto alle pelli di vitello o di capretto, a pori più ravvicinati e meno appariscenti. L'industria del cuoio stampato è fondata sull'impressione sul fiore d'un bovino della grana del coccodrillo, o su quello di una capra della grana della lucertola, sulla pelle di un ovino della grana della capra e così via.
Speciale importanza hanno le ghiandole sebacee che secernono sostanze grasse che lubrificano i peli. Negli ovini queste ghiandole servono a produrre la lanolina, sostanza che deve essere rimossa prima della fabbricazione, se si vuole ottenere un buon prodotto.
Costituenti chimici della pelle. - La concia è strettamente legata alle specifiche proprietà fisiche e chimiche delle sostanze proteiche (o proteine, proteidi) che sono i maggiori costituenti chimici della pelle. La composizione chimica dei proteidi dei diversi strati della pelle varia entro i seguenti limiti: Carbonio 49-55%; Idrogeno 6,4-7,3%; azoto 15-19%; ossigeno 17-26%; zolfo 2,4-3%.
Quando le proteine sono sottoposte all'idrolisi in soluzioni acide o alcaline bollenti, dànno corpi di composizione chimica sempre più semplice: cioè proteosi, peptoni, polipeptidi e finalmente amminoacidi che vanno dal più semplice, la glicina, ai più complicati come l'istidina, la prolina, il triptofane. Gli amminoacidi, combinandosi fra di loro per mezzo del gruppo carbossilico dell'uno col gruppo amminico dell'altro, formano i peptidi.
J. A. Wilson classificò i gruppi di proteine più importanti per il conciatore nel seguente ordine crescente d'importanza: mucine, albumine, globuline, melanine, cheratine, elastine, proteine della grana o fiore, e collageni.
La cheratina costituisce lo strato corneo del sistema epidermico della pelle. Esso nella calcinatura è distrutto, perché se la cheratina resiste notevolmente all'azione degli acidi ed alcali allungati, della pepsina, della tripsina, ed anche dell'acqua bollente, è disciolta però dagli alcali forti e questa ultima sua proprietà spiega appunto l'impiego dei solfuri alcalini nei calcinai di depilazione. La cheratina contiene zolfo e non è improbabile che nei vecchi sistemi di depilazione, quando i solfuri non erano ancora impiegati, scomponendosi essa producesse del solfidrato di calcio che è depilatore.
La elastina è il costituente principale delle fibre elastiche o gialle che irretiscono il derma: essa è resistente agli alcali allungati, ma è intaccata dalla tripsina in soluzione neutra. Perciò, quando si vogliono allontanare dal derma le fibre gialle per ottenere un prodotto finito morbido, il conciatore impiega i maceranti a base di tripsina. Non contiene zolfo.
Nel corio, per spiegare il fenomeno chimico della concia, è supposta la presenza di due sostanze proteiche, la fibroina che costituirebbe le fibre congiuntive e la coriina che sarebbe la sostanza cementante intercellulare: ma alcuni chimici ritengono che, in realtà, si abbia una sostanza sola.
Le proteine del fiore costituirebbero la sostanza principale delle fibre dello strato superiore del derma. Esse resistono agli alcali caustici più delle fibre del collagene e dell'epidermide, e ai maceranti (tripsina) più delle fibre elastiche: sono intaccate dai batterî della putrefazione e nella concia e nella tintura assumono colore differente da quello delle fibre del collagene.
Il collagene è per il conciatore la base fondamentale del cuoio, costituendo la sostanza delle fibre bianche del tessuto connettivo del derma o corio. Esso è facilmente idrolizzabile a freddo dagli acidi e alcali concentrati; a 70° anche dall'acqua, trasformandosi in gelatina o glutine; è facilmente attaccato dalle digestioni triptiche specialmente a pH = 5,9.
La pelle come materia prima per l'industria della concia. - La materia prima per l'industria della concia è fornita specialmente dalla pelle dei mammiferi; molto più raramente dalla pelle dei rettili e dei pesci. Per ogni applicazione del cuoio occorre una determinata qualità di pellame.
Le pelli conciate col pelo si adoperano per pellicceria, e in tal caso il pelo dev'essere lungo. Le pelli conciate senza pelo si adoperano per moltissimi usi e vanno distinte, secondo il genere di concia, in:
1. Concia vegetale: a) per calzature (suola): pelli di grossi bovini; b) per calzature (tomaia): pelli di vitello, capretto, capra, cavallo, montone, vacchetta e vacca spaccata, croste di vacca spaccata; c) per cinghie di trasmissione: grosse pelli di bovini; d) per cappelleria: pelli di montone e fiori di bovini spaccati; e) per selleria: pelli bovine di grandezza mediana, ma bellissime e sane di pelo; f) per marocchineria: pelli ovine, caprine e fiori di vacca spaccata.
2. Concia all'olio: a) per calzature e guanteria: pelli di vitello, montone, renna, cane, camoscio, capra, capretto, ecc., in generale pelli piccole; b) per lacciuoli e articoli per tessitura: generalmente pelli di bufalo; c) per pianoforti: pelli di daino.
3. Concia minerale all'alluda: a) per guanteria: pelli di agnello e di montone, capra e altre piccole pelli sottili; b) cuoio bianco per finimenti, buffetteria: pelli bovine di medio peso.
4. Concia minerale al cromo: oramai applicata a tutti gli articoli di cuoio.
Osservando al microscopio la sezione verticale di una pelle ovina, si nota che l'epidermide è molto spessa e sparsa di ghiandole di grasso; per contro la sezione del corio è notevolmente ridotta e meno fitta di quella delle pelli bovine. Si ricorre perciò alle pelli bovine quando si vuole ottenere un cuoio pieno, duro, saldo, di grosso spessore, e alle pelli ovine quando si vuole un cuoio tenero, pieghevole, sottile e spugnoso.
Le pelli arrivano al conciatore fresche, salate, oppure secche.
Pelli fresche. - Possono essere fornite solo dai macelli prossimi alla conceria e quindi hanno poca importanza per la grande industria, che ha bisogno di fortissimi quantitativi di materia prima.
Pelli salate. - Per la salatura le pelli, appena scuoiato l'animale, si stendono sul terreno gettandovi sopra, dalla parte della carne, manate di sale denaturato con piccole quantità di solfato di sodio, bicromato potassico e naftalina in quantità di circa il 30% del peso della pelle. Le pelli, quindi, si mettono in pila le une sopra le altre, così che le impurità possono scolare insieme con la salamoia; dopo pochi giorni si piegano a libro e si rimettono in pila. Così preparate le pelli possono sopportare lunghi viaggi di mare o rimanere lungamente nei magazzini senza deteriorarsi, sempreché però l'operazione della salatura sia stata fatta a dovere. La salatura si può anche praticare immergendo le pelli in grandi vasche piene di salamoia satura. Le pelli troppo vecchie di salatura finiscono col perdere molte delle loro buone qualità e per certe lavorazioni occorrono pelli fresche di macello o di recente salatura.
Se la salatura non è fatta a dovere, quando nella lavorazione le pelli sono in trippa (cioè liberate dall'epidermide e dai suoi annessi) si notano sullo strato superficiale del corio certe chiazze azzurrastre, azzurro-verdastre ed anche nere, che possono scomparire parzialmente durante la concia, ma che non permettono di fare articoli colorati: sono le cosiddette macchie di sale, che si attribuiscono, almeno per quanto riguarda le azzurro-verdastre, più comuni, all'azione di batterî; invece quelle nere come inchiostro pare provengano da una sostanza proteica detta melanina, che si forma per fermentazione della linfa, ma più specialmente del sangue. Anche le impurità del sale, specialmente solfato di calcio e sali di ferro, possono produrre delle macchie. Si è osservato che pelli salate provenienti dai grandi luoghi di produzione, p. es. quelle dei saladeros dell'America Meridionale, raramente mostrano le macchie di sale mentre quelle preparate da piccoli salatori, i quali per economia salano le pelli o insufficientemente o con sale già usato o con vecchia salamoia, oppure non le lavano prima, se non sono subito conciate mostrano queste macchie. È stata raccomandata l'aggiunta al sale del 4% di carbonato sodico anidro, come antifermentativo.
Per la buona conservazione delle pelli grezze occorre evitare una lunga giacenza in locali soleggiati o ventilati. D'estate occorre conservarle in luogo fresco, possibilmente nelle cantine, rimovendole frequentemente e non facendo cumuli troppo alti; tanto più che nemmeno il sale può evitare in questa stagione che la pelle si scaldi, subisca una fermentazione, perda il pelo, puzzi e dia cattivo risultato nella lavorazione.
Col processo della salatura sono preparate e spedite le pelli prodotte nelle grandi fabbriche di estratto di carne, di carne congelata, di carne salata secca dell'America Settentrionale e Meridionale, Africa del Sud, Australia, chiamate perciò pelli di saladero, e nei grandi mattatoi europei. Una delle migliori provenienze di pelli salate è l'America Meridionale, dove si macellano giornalmente migliaia di capi di bestiame di ottima razza. Le migliori suola si ottengono con le pelli salate dell'America latina.
Pelli salate secche. - In certe località, come nell'India e in Australia, per difficoltà di trasporti, si usa far seccare le pelli leggermente salate esponendole all'aria e possibilmente appendendole in locali aerati, ma all'ombra. L'aria lentamente asporta l'umidità: rimane nelle pelli il sale e quando la pelle è secca, essa è pronta per la spedizione. Per impedire la putrefazione e anche per dare un peso falso alla pelle, si usa anche spalmare il lato carne della pelle con una pasta formata di calce, gesso, sabbia, solfato di calce, ecc., producendo le cosiddette pelli patinate. Certe partite provenienti dall'India (Dacca) sono costituite soltanto da pelli patinate.
Pelli secche. - Nei paesi distanti dai centri di consumo o di spedizione e mancanti di sale marino a basso prezzo si usa essiccare le pelli. All'uopo appena scuoiato l'animale, le pelli si stendono all'aria, possibilmente all'ombra (fig. 4). Con questo sistema però, mancando la ventilazione, accade sovente che la pelle vada in putrefazione rilasciando il pelo. Anche il sole troppo ardente brucia la pelle, facendo fondere il grasso e alterandola profondamente.
Se le pelli secche devono restare parecchio tempo nei magazzini, si usa spolverarle con naftalina per difenderle dai tarli e dai topi. Nell'America Meridionale, nell'India, nella Cina, ecc., si preferisce dare un bagno di breve durata di acido arsenioso e poi metterle a seccare al sole. Si hanno allora le cosiddette pelli arsenicate.
Difetti delle pelli. - I difetti delle pelli gregge (fresche, salate o secche) destinate all'industria della concia possono essere naturali o artificiali. Sono difetti naturali quelli specialmente prodotti dall'annidarsi di parassiti nella regione del pelo. Così la cosiddetta garapata o rogna, diffusa nelle bovine ed ovine dell'America Meridionale, dell'Africa Meridionale e dell'Australia, prodotta dallo Ixodes ricinus (zecca, garapata), che deteriora profondamente la pelle dalla parte del pelo fino a perforarla, specialmente se è sottile, come quella degli ovini. Gli allevatori di ovini dell'Argentina combattono questo flagello facendo passare rapidamente le mandre in una soluzione allungata di acqua di lavatura della foglia di tabacco. Per i bovini invece non si è ancora trovato rimedio pratico, per l'impossibilità di guidarli o costringerli alla disinfezione.
Altro parassita assai diffuso che produce gravissimi danni nei bovini è l'Hypoderma bovis o tarolo, una mosca che depone le uova alla base dei peli delle zampe. Le larve appena nate entrano nello strato sottocutaneo, percorrono il corpo del bovino, vanno poi ad annidarsi sul dorso dell'animale e quando sono mature perforano l'epidermide per uscire all'aperto. Siccome la parte del dorso dell'animale è la migliore agli scopi dell'industria della concia, è evidente che la pelle perforata dal parassita perde molto del suo valore commerciale.
Fra i difetti della pelle si annoverano anche le piaghe, le cicatrici, le spelature, l'azione corrosiva del letame su cui l'animale giace, le battiture, le cornate, le ferite prodotte col punteruolo dai guardiani delle mandre, le marche a fuoco con cui i diversi proprietarî contrassegnano il loro bestiame, i segni dei fili spinati dei reticolati, la cattiva conservazione, ecc. Dei difetti prodotti dalla mano dell'uomo, il più importante è l'imperfetta scuoiatura. Se il macellaio è maldestro o negligente maneggiatore del coltello, questo intacca il corio. Nei grandi mattatoi di Berlino, Parigi, Zurigo, ecc., si va introducendo l'impiego del coltello Perca, fabbricato in modo da non poter fare tagli profondi.
Commercio delle pelli. - La compra-vendita delle pelli bovine si fa generalmente a peso, di rado a numero. Le pelli salate si vendono a peso coda, cioè al peso originario prima di salarle (generalmente il venditore concede una bonifica quando il calo sul peso superi la percentuale convenuta) oppure a peso reale salato (fissando un certo periodo di tempo per lasciare scolare le pelli). Le truffe in questo genere di commercio sono assai frequenti.
Preparazione delle pelli gregge alle prime operazioni di concia. - Le pelli da lavorarsi coi peli (da pellicceria) sono ripulite esclusivamente a mano, agitandole nell'acqua; poi trattate con sapone alcalino dalle due parti, pelo e carne. Segue l'operazione importantissima della sgrassatura, che si pratica inchiodando le pelli su telai con la carne all'infuori, cosparsa di bianco di zinco o calcare polverizzato. Le pelli, poi, più o meno liberate dal grasso naturale, vanno alla concia, che si pratica applicando sul lato carne una soluzione concentrata di allume e sale con un po' di soda; e quindi passano al seccaggio. Dopo sono ancora una volta sgrassate e pulite; vanno alla tintura o all'imbianchimento, indi alla rifinitura. Questo è il metodo classico; ci sono però sistemi più moderni di concia (al cromo e all'olio) e di sgrassatura.
Le pelli fresche da lavorarsi senza peli, arrivando in conceria devono essere anzitutto ben lavate, per liberarle dal sangue e dalle altre impurità. All'uopo basta una dimora di 24 ore in vasche piene di acqua fresca comune, oppure una lavatura a grand'acqua durante un'ora in una botte girante (v. più oltre).
Le pelli salate e quelle secche sono dissalate e ridotte al primitivo stato umido o, come si dice in termine tecnico, rinverdite. Quindi tutte le pelli subiscono una serie di operazioni, delle quali le principali sono: la depilazione, la scarnatura, la scalcinatura e la macerazione; dopo di che passano alla vera concia allo stato di trippa.
Rinverdimento. - Per le pelli salate l'eliminazione del sale - che intralcerebbe il processo di concia, specie il gonfiamento - si pratica in vasche piene di acqua fresca, cambiata ogni giorno, dove le pelli si lasciano 2-3 giorni, rimuovendole di quando in quando. Un bottalaggio di una o due ore a grand'acqua completa il dissalaggio.
L'operazione del rinverdimento delle pelli secche è assai delicata perché varia secondo la provenienza della pelle e, se incompleta, produce un cuoio difettoso e di cattiva apparenza.
Essa si compie mettendo le pelli secche in una vasca piena di acqua comune: lentamente la pelle secca gonfia e riprende la sua umidità e le fibre che erano aderenti l'una all'altra riprendono il loro stato primitivo. Si facilita questo gonfiamento aggiungendo all'acqua della vasca piccole quantità di solfuro di sodio, di alcali caustici, di borace. Dopo 5-8 giorni, secondo la stagione, lo spessore delle pelli, il grado originario di secchezza, la purità dell'acqua, le pelli si mettono in una botte girante (bottale) nella quale si lavano a grand'acqua. Ma l'acqua penetra nelle fibre della pelle attraverso al tessuto sottocutaneo ed all'epidermide, i quali avendo subito più a lungo l'azione dell'aria, sono più incartapecoriti. Si cerca di rompere il piccolo strato secco cartilaginoso di tessuto dal lato carne, mediante un coltello curvo, tenendo la pelle distesa su di un cavalletto speciale, detto cavalletto di conceria, di antichissima invenzione. Questa operazione si dice tecnicamente graminaggio, dal francese égraminage, e serve anche ad eliminare parzialmente il grasso superficiale. Il graminaggio si fa oggi con macchine speciali del tipo delle scarnatrici. Al graminaggio a macchina si usa da molti sostituire un bottalaggio di qualche ora, specialmente per le grosse pelli. Sono pure in uso sistemi celeri di rinverdimento impiegando bagni concentrati (anche al 5%) di solfuro di sodio con solfuro di arsenico. Il rinverdimento, che nella stagione fresca non presenta gravi difficoltà, nella stagione calda va attentamente seguito per impedire fermentazioni putride che, attaccando la proteina della pelle, le fanno perdere le sue migliori qualità. Si impiegano allora acque freschissime, acidulate con acido formico, acido solforoso, ed altri simili disinfettanti. Il rinverdimento delle pelli per pellicceria è operazione assai delicata; deve essere evitata qualunque azione fermentativa o meccanica che provochi il rilassamento del pelo. Le pelli, così rinverdite ricevono un bagno di acqua fresca di poche ore: non devono puzzare, devono essere relativamente pulite, ed al tatto sembrare fresche come uscite dal macello. Questo bagno è necessario per evitar di portare, per quanto è possibile, nei calcinai materiali fermentescibili o fermentati. La pelle non è morta con la morte dell'animale: il suo organismo può vivere per un tempo indefinito, purché sia sufficientemente nutrito. Per es. se la morte dell'animale non è quasi istantanea, il dolore produce la contrazione dei muscoli erettori dei peli e quindi una rugosità permanente del fiore o grana della pelle. Lo stesso avviene se da un ambiente a temperatura ordinaria la pelle è gettata improvvisamente entro acqua fredda o freddissima. I conciatori hanno per norma di evitare questi balzi di temperatura, specialmente per piccole pelli destinate ad articoli fini.
Depilazione. - Può essere batteriologica o chimica (alcalina).
La depilazione batteriologica si usa per il cuoio per suola, molto rigido e compatto, detto alla riscalda e per le pelli lanute, la cui lana non deve essere intaccata dagli alcali (come succederebbe nei calcinai). Le pelli sono appese in ambienti umidi alla temperatura di circa 20°-30° nei quali, per opera di microrganismi, subiscono una disintegrazione che comincia con la putrefazione delle cellule del tessuto di Malpighi. L'epidermide insieme con le ghiandole sebacee e sudorifere si separa dal corio ed i follicoli dei peli sono distrutti; così la lana può essere facilmente sradicata. A questo punto deve essere interrotta l'operazione; le pelli sono depilate a mano o a macchina e poi ricevono un bagno di calce nuova che arresta la fermentazione.
La depilazione alcalina ha lo scopo di disorganizzare il tessuto epidermico, smuovere i peli dai loro follicoli, saponificare il grasso naturale della pelle, gonfiare ossia idratare le fibre, e così permettere alla sostanza conciante di venire a contatto intimo con esse. Gl'ingredienti usati a questo scopo sono: idrato di calcio (latte di calce), idrati e solfuri alcalini; orpimento (solfuro di arsenico). L'azione della calce ed in genere degl'idrossidi alcalini è chimica e biologica. Gl'idrossidi agiscono chimicamente sulla mucina, ossia sulla sostanza cementante delle fibre, dalla cui distruzione e dalla susseguente azione meccanica dipende l'eliminazione del pelo. Dalla distruzione della mucina, per un processo batteriologico, si producono ammoniaca, amminoacidi, ed altri derivati. La presenza dell'ammoniaca è indizio di perdita di proteina e deve quindi essere sorvegliata e tempestivamente eliminata gettando via il calcinaio.
Il solfuro di sodio, che industrialmente è un miscuglio di polisolfuri, con acqua forma solfidrato di sodio e idrossido di sodio. Questo ha azione gonfiante sulle fibre del corio, mentre quello ha azione depilatoria nel senso che agisce fortemente sulla cheratina che costituisce buona parte del tessuto epidermico, mentre agisce debolmente sulla proteina o gelatina della pelle. Generalmente il solfuro di sodio si impiega mescolato con calce spenta; in tal caso si forma solfidrato di calcio.
Il solfuro di arsenico (orpimento, trisolfuro) detto anche arsenico giallo, è usato come depilatorio insieme con calce spenta in certe lavorazioni speciali in cui è necessario ottenere un cuoio finito a fiore fino (fabbricazione del capretto, cosiddetto chevreau, della pelle per guanti). Esso è un depilatorio che non fa gonfiare la pelle in trippa e perciò il fiore rimane più chiuso e setaceo. Il trisolfuro di arsenico, a differenza del solfuro di sodio, reagendo con la calce in presenza di acqua, non produce idrossido di sodio che, come sappiamo, ha forte potere gonfiante sulla pelle, ma invece solfidrato di calcio che è l'agente depilatore, molto meno attivo però del solfidrato sodico.
La depilazione, col sistema più antico, si pratica nei cosiddetti calcinai, che sono fosse profonde 2 metri e lunghe 3, piene di latte di calce, nelle quali le pelli sono messe in piano, avendo cura di smuoverle anche col levarle e rimetterle nel calcinaio.
Oggi nell'industria si impiegano però calcinai, in cui le pelli sono appese e mosse meccanicamente, muniti di tubi di riscaldamento per la stagione invernale, perché la bassa temperatura rallenta od anche sospende il processo depilatorio. Oppure le pelli sono introdotte in grandi botti giranti a 1 0 2 giri per minuto insieme con la quantità determinata di solfuro e di calce (2-3% di solfuro - 4,5% di calce spenta - 2 kg. di acqua per ogni kg. di pelle). Dopo qualche ora le pelli sono completamente prive di pelo. Le pelli minute sono calcinate in piccoli calcinai, in cui gira un mulinetto od aspa. Quando si voglia conservare il pelo, si procede al cosiddetto allattamento, con un impasto di 100 parti di calce spenta e 5 di solfuro di sodio (oppure 10 di orpimento) che mediante una specie di spazzola è cosparso sul lato carne della pelle: in tal modo il depilatorio non agisce che sul bulbo del pelo e in modo indiretto. Le pelli così trattate si piegano a libro, col pelo all'interno; dopo poche ore il pelo è smosso dal follicolo e può essere tolto facilmente. Questo trattamento è applicato specialmente nelle pelli lanute. La lana poi si lava a grand'acqua e si fa essiccare e le pelli depilate subiscono il comune trattamento nei calcinai.
I calcinai nuovi gonfiano la pelle: il contrario avviene per i calcinai vecchi. Teoricamente, le condizioni migliori sono create dall'impiego del solo solfuro di sodio. Può succedere, ma il caso è raro, che una enorme durezza dell'acqua diminuisca virtualmente la quantità attiva d'idrato sodico; in tal caso si aggiunge un po' di calce. L'impiego della calce è consigliato dal basso prezzo in proporzione del solfuro di sodio, ma l'azione è molto più lenta. La calce da sola non agisce. Una pelle appena macellata, ben lavata e pulita, messa in latte di calce fresco non perde il pelo se non dopo parecchie settimane, e lo perde dopoché si sono svolti processi biologici. Per contro, la stessa pelle messa in una soluzione al 5% di solfuro di sodio perde il pelo dopo poche ore gonfiando assai più che con la calce. È necessario tenere in movimento intermittente le acque di un calcinaio, affinché possano essere sempre sature di idrato di calcio. Specialmente nella calda stagione e nella calcinazione delle pelli secche rinverdite è necessario mantenere un'alcalinità tale da moderare l'azione dei batterî che potrebbe produrre gravi danni alle pelli.
Generalmente si comincia la calcinazione con calcinai usati e si finisce con un calcinaio fresco o quasi. La quantità di calce da impiegare varia dal 5 al 10%, sul peso fresco di macello, e quella del solfuro dal 3 al 4%, secondo le lavorazioni. Molto controllata deve essere la temperatura del calcinaio; tenuta verso i 20° è sufficiente a mantenere una moderata attività batteriologica e chimica.
Il peso fresco di macello è dal 12 al 15% maggiore del peso delle pelli salate. Quando si tratti di pelli secche si può calcolare approssimativamente che 100 parti di pelle secca corrispondano a circa 250 parti di pelle fresca, per cui p. es. 3% di solfuro di sodio sul peso di pelli rinverdite corrisponde a 7,5% sulle pelli secche.
Le pelli ovine, perché la lana si conservi possibilmente inalterata, sono depilate col metodo batteriologico detto alla riscalda o col sistema dello allattamento, già accennato. Levato il pelo con mano coperta di guanto di gomma, esse ricevono lo stesso trattamento delle pelli per tomaia: calcinaggio, lavaggio, scarnaggio, purgaggio, scalcinatura e macerazione.
La pelle di montone contiene grasso, che si cerca di eliminare, perché impedirebbe o contrasterebbe il processo di concia. Lo sgrassamento si può ottenere meccanicamente pressando le pelli, o batteriologicamente usando certi maceranti che intaccano o emulsionano i grassi.
Le pelli, dopo essere rimaste parecchio tempo nei calcinai ed avere subito l'azione chimica dei depilatori, sono sottoposte alla depilazione che può essere fatta a mano sul cosiddetto cavalletto da conciatore, oppure in botti giranti o con macchine speciali. Le pelli depilate sono poi lavate a grand'acqua nelle botti giranti, e quindi perdono il tessuto epidermico, la rete di Malpighi e quasi tutti i pigmenti ed appaiono più o meno bianche. Subiscono allora l'operazione della scarnatura.
Piclaggio. - Le pelli ovine private della lana mediante il sistema della fermentazione e destinate a cuoio per fodere di calzature, per portafogli, oggetti di ornamento, ecc., le grandi croste provenienti dalla spaccatura in trippa delle pelli destinate per carrozzeria, ecc., sono sovente spedite ad altri stabilimenti per la concia. Il miglior metodo di conservarle dalla putrefazione consiste nel cosiddetto piclaggio (dall'inglese pickle, che significa conservare in salamoia oppure in soluzione acida). Le pelli in trippa sono prima trattate con una soluzione 8% di sale marino e 0,75% di acido solforico: in questa soluzione le pelli gonfiano; vengono poi passate in una soluzione satura di sale marino, che riduce il gonfiamento. Così trattate, le pelli possono conservarsi per mesi e mesi. Quando devono essere conciate, sono, dopo messe in acqua, saturate con soluzione alcalina e poi lavate a grand'acqua. Le pelli risultano freschissime e intatte al microscopio però i fasci delle fibrille appaiono ben differenziati, per cui a concia finita la pelle è più morbida che se non fosse stata piclata. Per questa ragione la concia al cromo è sovente preceduta da un piclaggio. La presenza del sale nel piclaggio ha per scopo di reprimere il gonfiamento prodotto dall'acido.
Gonfiamento. - Il gonfiamento delle pelli nei calcinai è fra i più importanti fenomeni della concia. Da esso dipende la riuscita dell'articolo che il tecnico intende fabbricare. Se prendiamo un pezzo di pelle in trippa quasi secca e lo mettiamo nell'acqua distillata, osserveremo che lentamente si gonfia assorbendo acqua, pure restando morbido al tatto. Se leviamo questo pezzo di pelle dall'acqua e lo strizziamo premendo fortemente con le mani, l'acqua si elimina e, se la pressione fosse sufficiente, la pelle ritornerebbe allo stato secco. Se, invece, mettiamo un pezzo di pelle in trippa in una soluzione diluita di un acido o di un alcali, la pelle gonfia rapidamente, ma indurisce e premendola con le mani non emetterà che poche gocce di liquido, rimanendo gonfia e dura. Nel primo caso la compressione ha fatto uscire tutta l'acqua d'imbibizione: nel secondo caso non ha eliminato nulla perché l'acqua è incorporata nella proteina della pelle. La lingua italiana non ha due parole specifiche per esprimere queste due forme di gonfiamento, mentre la lingua inglese chiama swelling il primo gonfiamento e plumping (in tedesco prall werden) il secondo.
Se noi mettiamo la pelle gonfia e dura (ingl. plump) in una soluzione di sale marino, essa sgonfia, casca (ingl. falls). Questo fenomeno è stato studiato dai chimici del cuoio e specialmente da F. G. Donnan, H. R. Procter, J. Loeb, E. Stiasny, J. A. Wilson ed altri, come punto di partenza per le ricerche sul meccanismo della concia.
Il gonfiamento della proteina della pelle è in funzione della concentrazione idrogenionica ed idrossionica del liquido che la imbeve. Aumentando questa, aumenta il gonfiamento; ma fino a un certo limite, oltrepassato il quale decade. Questo massimo di gonfiamento per la gelatina (per la proteina della pelle o collagene non sarà molto diverso) avviene in soluzioni acide alla concentrazione di circa 0.004 mol. di idrogenioni e in soluzione alcalina a 0,004 mol. di idrossioni. Procter ha riconosciuto che la gelatina si combina con gli acidi, p. es. HCl, formando un cloruro fortemente ionizzabile, per cui la combinazione della gelatina con gli acidi segue le leggi della fisico-chimica. Così se un pezzo di pelle messo a gonfiare in una soluzione alcalina è tolto e trasportato in una soluzione acida equivalente, la pelle casca come fosse nell'acqua distillata: l'azione dell'alcale ha annullato quella dell'acido.
Pertanto con la parola gonfiamento s'intende quel fenomeno fisico che avviene quando la pelle assorbe acqua senza che chimicamente ne resti alterata, e si usa distinguere: 1. il gonfiamento capillare, p. es. quello di una spugna che s'imbeve di acqua; 2. il gonfiamento per osmosi o endosmosi che è quello di una membrana che separa due liquidi e sulla pelle si esercita la pressione osmotica; 3. il gonfiamento che si può chiamare chimico, come quello della gelatina che immersa nell'acqua si gonfia assorbendo acqua, la quale meccanicamente non è più eliminabile. Probabilmente, nel caso della pelle in trippa, si hanno i tre casi, nell'ordine in cui sono stati enumerati.
I ricordati studî di Donnan, Loeb, Procter, Wilson ed altri, hanno stabilito che tutti gli acidi monobasici, purché alla medesima concentrazione idrogenionica, e rispettivamente le basi alla medesima concentrazione idrossionica, producono il medesimo grado di gonfiamento. Ciò spiega come la calce produca minor gonfiamento dell'idrato sodico e come in certi casi del processo di concia sia più consigliabile la depilazione alla calce che quella al solfuro di sodio.
Praticamente il gonfiamento è il mezzo migliore di preparazione alla penetrazione del tannino nelle fibrille del corio le quali, aumentando di superficie, evidentemente possono più facilmente sentire e sopportare l'azione astringente del tannino.
Da qualche tempo si va introducendo nei laboratorî chimici delle concerie il controllo della concentrazione idrogenionica, cioè delle acidità e delle basicità reali. Specialmente nella concia vegetale questo controllo è assai importante, perché può avere notevole influenza sulla resa, ossia sulla quantità di cuoio che 100 parti di pelle in trippa possono produrre. Le operazioni più importanti della conceria sono caratterizzate da un pH optimum. Per es. una pelle per concia al cromo passa da un calcinaio a pH = 12,3 alla macerazione a pH = 7,3, poi al piclaggio a pH = 1,5 (cioè acidissimo), indi in un bagno di cromo a pH - fra 3 e 4 e finalmente all'emulsione grassa a pH = 9 (cioè leggermente alcalina). Il chimico ha così a sua disposizione un metodo veramente scientifico di controllo del processo di concia, utilissimo per ottenere un prodotto industriale sempre costante. Questo metodo è senza dubbio la conquista più importante nel campo della fisico-chimica conciaria in questi ultimi anni.
Praticamente, i conciatori si erano accorti di questi optima della fabbricazione ed avevano cercato di avvicinarvisi ottenendo dei risultati soddisfacenti. Per es., i vecchi conciatori giudicavano dell'acidità dei bagni di concia col palato e così misuravano molto empiricamente la ionizzazione degli acidi, della quale allora neanche i chimici avevano idea.
Scarnatura. - Dopo l'operazione del depilaggio, le pelli subiscono quest'operazione, detta anche scarnaggio, che consiste nell'asportare quello strato di tessuto adiposo e quei residui di carne, tendini, grasso, che il macellaio lascia sulla parte interna della pelle. Quest'operazione anticamente si praticava a mano mediante un coltello affilatissimo (trinciante) sulle pelli distese su un cavalletto: ora si pratica con macchine speciali costituite da un cilindro, munito di coltelli elicoidali, che gira rapidissimamente sulla pelle che lentamente gli passa a contatto. I residui (carniccio) sono poi usati per la fabbricazione della colla.
Spaccatura.- La pelle liberata dal pelo e dalla carne si chiama trippa. In tale condizione subisce, occorrendo, l'operazione della spaccatura. La spaccatura in trippa è praticata sulle pelli di grossi bovini destinate alla fabbricazione di articoli speciali come pelli per carrozzeria di automobili, per valigeria, ed in ogni caso sempre quando si vogliono utilizzare le pelli grandi in applicazioni in cui si richiede uno spessore di 1-2 mm., come le pelli per tomaie, sandali, portafogli, ecc. La spaccatura della pelle consiste nella sua divisione in più strati, cioè strato superficiale o primario (fiore) e strati secondarî (croste). Lo spessore di questi diversi strati è regolato dall'uso a cui essi saranno destinati. La spaccatura si pratica anche sulla pelle conciata o a mezza concia.
Le macchine (fig. 5) che servono a questa importantissima operazione sono costituite essenzialmente da una lama di acciaio affilatissima, senza fine come una sega a nastro, che gira rapidamente in senso orizzontale fra due serie parallele di dischetti girevoli di ottone. La pelle viene introdotta fra questi dischetti e portata a contatto del nastro tagliente. Un apparecchio speciale arrota continuamente il nastro. Mediante questa macchina, che è fornita in tre misure secondo la larghezza delle pelli, si può spaccare una pelle pesante di bue facendo un fiore sottilissimo (meno di 1 mm.), due grandi croste (spessore 1¼, mm.) ed una piccola crosta. Le pelli per suola non sono mai spaccate.
Decalcinatura chimica o purga. - La calce rimasta nella pelle sotto forma di collagenato di calcio dev'essere rimossa; cioè in linguaggio tecnico la pelle dev'essere purgata. Il collagenato di calcio è poco solubile nell'acqua, sicché sarebbe necessario un lavaggio assai lungo per liberarne la pelle. I vecchi conciatori, i quali ignoravano l'azione decalcinante degli acidi, usavano purgare la pelle dalla calce mettendola a bagno in acqua che aveva già servito e che quindi, contenendo materie organiche e prodotti di putrefazione che funzionavano da maceranti, facilitava la scalcinazione; questa era poi completata dall'operaio sul cavalletto.
Ma per eliminare la calce combinata sotto forma di collagenato o di saponi di calcio bisogna ricorrere all'azione degli acidi. La difficoltà sta nella scelta dell'acido e nell'esatta quantità da usare, perché un eccesso di acido potrebbe produrre un gonfiamento non desiderabile. Usando gli acidi forti c'è sempre questo pericolo, perciò i conciatori usano valersi degli acidi deboli che hanno scarso potere gonfiante; per es. gli acidi lattico, butirrico e simili.
La decalcinatura si pratica comunemente nei mulinetti, per le pelli minute, e nelle botti giranti, per quelle pesanti (fig. 6). La quantità di acido da adoperare in rapporto al peso delle pelli in trippa varia da conceria a conceria e da acido ad acido, da ½% per gli acidi forti a 1½%, per gli acidi deboli. In pratica per le pelli destinate a suola non è necessaria la decalcinazione a fondo.
Anche gli acidi deboli, impiegati in eccesso, possono gonfiare eccessivamente la pelle; per evitare questo inconveniente si usa aggiungere un sale neutro dello stesso acido: per es. nel caso dell'acido acetico si ricorre all'acetato sodico. Buoni decalcinatori sono pure certi sali di acidi forti e basi deboli, come per es. il cloruro di ammonio o sale ammoniaco, il quale in presenza della calce contenuta nella pelle in trippa cede il cloro all'idrato di calce liberando ammoniaca che, essendo poco ionizzabile, non gonfia la pelle e viene poi eliminata insieme col cloruro di calcio, lavando a grand'acqua.
La decalcinatura chimica riduce il gonfiamento della pelle, cosa però che si può ottenere anche con acqua tiepida: si ha così la caduta della pelle, cioè l'acqua che si trovava nelle fibre, secondo alcuni allo stato di gelo, secondo altri combinata col collagene, torna liquida e può essere eliminata con leggiera pressione.
Ma, per certe lavorazioni, la pelle in trippa deve andare in concia in uno stato assolutamente flaccido, ed allora si ricorre ai bagni di macerazione.
L'importanza somma del lavoro di calce sulla riuscita finale richiede tutta la sorveglianza del tecnico e del chimico. Il controllo della decalcinazione delle pelli si opera qualitativamente su un pezzetto di pelle tagliato nelle parti più spesse, deponendo una goccia di una soluzione alcoolica di fenolftaleina, che arrossa in presenza di alcali.
Macerazione. - Si chiama così il trattamento chimico-batteriologico delle pelli in trippa, già meccanicamente decalcinate, onde eliminare le impurità, i detriti, i grassi, i pigmenti, certi tessuti ancora presenti nella pelle, i quali devono essere allontanati prima di procedere alla concia. Gl'Inglesi dividono quest'operazione in tre processi distinti: il puering, il bating ed il drenching.
Il puering è il trattamento delle pelli in trippa con infusione calda fermentescibile di sterco di cane, ciò che permette la formazione di enzimi, i quali intacchino nella necessaria misura la sostanza della pelle. Quest'operazione si fa a caldo (35°-36°) e dura un tempo diverso secondo la natura delle pelli, le quali a operazione compiuta rimangono rilassate, flaccide, morbide, setacee, sicché le dita vi lasciano facilmente la loro impronta. L'effetto dello sterco di cane è non solamente batteriologico, ma anche chimico, nel senso che esso contiene sali di amminoacidi che agiscono spostando la calce. Secondo J. T. Wood, i batterî dello sterco di cane agiscono non direttamente, ma per mezzo degli enzimi che producono, fra cui specialmente la tripsina, che ha pure potere lipolitico, cioè di emulsionare i grassi. J. T. Wood e D. J. Law hanno dimostrato che nello sterco di cane esistono almeno cinque differenti enzimi, cioè un enzima peptico affine alla pepsina dello stomaco, un enzima triptico affine alla tripsina pancreatica, una rennina (enzima coagulante), un enzima amilolitico, una lipase lipolitica. Alla presenza della lipase è probabilmente da attribuire l'impiego che fanno tuttora certi conciatori di montoni dello sterco di cane invece di maceranti artificiali.
Il bating è la medesima operazione macerante del puering, con la differenza che si pratica a freddo e quindi l'effetto è più limitato e lento. Mentre il puering è impiegato per le pelli piccole da tomaia che devono risultare morbidissime, il bating è indicato per le pelli che devono dare un cuoio grosso, ma pieghevole senza screpolature, come p. es. il cuoio per selleria. Per il bating s'impiega preferibilmente sterco di uccelli, perché questo contiene notevoli quantità di acido urico e di urati che mancano nello sterco di cane: ed anche perché i batterî che se ne sviluppano sono di diversa natura.
La composizione variabile degli escrementi sia di cane sia di uccelli dava luogo nella pratica a risultati malsicuri e disuguali. Ormai si preferiscono di gran lunga i maceranti artificiali, con l'uso dei quali le operarazioni del puering si riducono ad una sola, la macerazione. Maceranti artificiali sono l'erodina di J. T. Popp, H. Becker e G. Wood, proveniente dalla coltura artificiale del Bacillus erodiens di H. Becker; l'oropon derivato dal pancreas, che agisce come lo sterco di cane; l'esco prodotto di una coltura batteriologica che sostituisce lo sterco di uccelli; il belderma (prodotto italiano) anche a base di pancreatina; ed altri molti più o meno scientificamente fabbricati.
La preparazione dei maceranti artificiali, che oggi quasi completamente hanno sostituito i maceranti naturali puzzolentissimi e fonti di malattie infettive, è una delle più brillanti conquiste della chimica del cuoio. Il vero pioniere di queste ricerche è stato il grande chimico e conciatore inglese J. T. Wood, seguito poi da G. Popp, H. Becker, D. Röhm, ed in questi ultimi tempi da J. A. Wilson e dai suoi allievi, da A. Seymour-Jones e da altri. Wood isolò dallo sterco di cane una specie del Bacillum coli, il quale produce un enzima capace di agire come la tripsina, che ne è il principio attivo. La quantità di macerante artificiale che s'impiega praticamente è minima (0,5-1,0% sul peso trippa).
L'effetto pratico dei maceranti è quello di agire sulle fibre elastiche sia sciogliendo la sostanza che le cementa, sia intaccando le fibre stesse. Queste fibre elastiche o gialle sono quelle che tengono su, irretendolo come i muri di un edifizio, il complesso della pelle. Distruggendo, in tutto o parzialmente, questa specie di reticolato, il tessuto cade come fosse snervato e la pelle si sgonfia. Perciò quando, come nel caso della suola, il prodotto finito deve restare rigido, la macerazione è dannosa. Il caso contrario si verifica per la tomaia, che deve riuscire morbida. Ciò dimostra la somma delicatezza dell'operazione della macerazione.
L'uso della macerazione si deve al fatto che i conciatori avevano praticamente esperimentato che, per ottenere un cuoio morbido, a fiore fino, come p. es. il cuoio per guanti, è necessario che la pelle in trippa cominci la concia in uno stato di notevole flaccidità.
L'azione dei maceranti appare evidente considerando le proprietà della sostanza costituente le fibre elastiche o gialle degli strati superiori del derma, ossia della sostanza proteica detta elastina, la quale, secondo gli studî di Seymour-Jones e di Wilson, si riscontra specialmente in certi tendini dei bovini. L'elastina resiste all'acqua bollente ed alle soluzioni fredde acide ed alcaline, ma è intaccata dai fermenti triptici, cioè dai maceranti batteriologici, dei quali rimane così spiegato l'impiego. È pure dimostrato come per le pelli ovine siano indicati maceranti lipolitici emulsionanti i grassi e non pochi fabbricanti, in mancanza di un buon macerante lipolitico, impiegano ancora sterco di cane.
Indici della completa macerazione delle pelli sono praticamente i seguenti: 1. l'impronta del dito pollice sulla pelle in trippa macerata deve persistere; 2. col pollice andando indietro dalla testa verso il groppone, strisciando sulla pelle, le impurità devono venir fuori facilmente; 3. facendo una specie di sacco con la pelle macerata e poi comprimendo, il sacco si deve sgonfiare.
Il drenching è una macerazione con crusca fermentata e il suo scopo essenziale è la decalcinazione perché la crusca contiene un enzima detto cerealina che trasforma le materie amidacee prima in destrina, poi in glucosio. Contemporaneamente i germi di speciali batterî contenuti nella pellicola della crusca, come il Bacterium furfuris, trovando condizioni favorevoli di nutrimento e di temperatura, producono la fermentazione lattica e poi la fermentazione butirrica, indi quella acetica e finalmente quella putrida. Gli acidi formatisi nella fermentazione reagiscono sulla calce formando lattati, butirrati, acetati, che sono solubili, e quindi eliminabili. Questo bagno, se ben condotto, non attacca la sostanza della pelle, e va usato nei casi in cui è desiderata la pienezza della pelle.
La pratica della macerazione è assai diversa da un conciatore all'altro: essa cambia continuamente secondo la temperatura, le condizioni atmosferiche, le stagioni, la natura delle pelli, la qualità dei maceranti. Però una cosa è essenziale: la diligente sorveglianza, per non correre il rischio o di non raggiungere lo scopo o di alterare la pelle.
Un metodo di controllo dell'azione dei maceranti è quello di determinare il pH, perché i risultati sono diversi secondo che l'ambiente in cui avviene la macerazione è più o meno acido o più o meno alcalino. Secondo Wilson la completa azione dei maceranti avviene fra pH = 5,5 e pH = 8,5.
Praticamente, le piccole pelli ovine e i vitelli si macerano nei mulinetti ad aspo, e quelle più grosse nelle botti giranti.
Dopo l'azione batteriologica, le pelli sono portate sul cavalletto da conciatore e mediante uno strumento speciale, costituito da un segmento di pietra di lavagna incastrato in un manico di legno ed arrotato come un coltello a due tagli, l'operaio facendo pressione sul fiore obbliga ad uscire dall'interno della pelle i prodotti della macerazione, i pigmenti, i grassi, i saponi, e tutte le altre impurità. Quest'operazione si può anche fare con macchine speciali americane dette leighen; il lavoro tuttavia non riesce perfetto e, data l'importanza dell'operazione, molti conciatori preferiscono che sia compiuto a mano da abili operai.
La concia propriamente detta.
Chimismo dei processi di concia. - Lo scopo ultimo della concia è la trasformazione della pelle in trippa in cuoio, sostanza imputrescibile. Questa trasformazione avviene dall'unione del collagene con sostanze minerali o vegetali, dette concianti.
Le opinioni dei chimici sulla questione se l'unione della sostanza conciante con la proteina della pelle sia piuttosto un fenomeno di assorbimento o di adsorbimento, oppure una vera combinazione chimica, non sono concordanti. Si fa però strada la convinzione che si cominci con un fenomeno di adsorbimento (cioè di azione superficiale della sostanza tannica sul fiore della pelle), poi segua un assorbimento (diffusione del liquido conciante nell'interno del tessuto) e finalmente una combinazione chimica irreversibile, fra la sostanza conciante e la proteina della pelle contenuta nel corio.
I chimici moderni del cuoio pare siano propensi a considerare il fenomeno della concia una vera combinazione chimica a quantità definite del collagene della pelle considerata come un gel con la soluzione conciante colloidale o sol. H. R. Procter e J. A. Wilson hanno emesso l'ipotesi che, nella concia vegetale, la combinazione avvenga perché la proteina è carica di elettricità positiva e il conciante colloidale di elettricità negativa. I chimici francesi L. Meunier e A. Seyewetz considerano la concia come una combinazione chimica accompagnata da fenomeni di ossidazione. Non si è ancora potuto, però, stabilire ponderalmente la misura della combinazione, salvo che in alcuni casi di concia al cromo.
Il collagene della pelle, impropriamente detto gelatina, è composto di diverse sostanze proteiche non ancora individuate. Tuttavia quello che pare assodato è, come fu detto, la presenza di gruppi ammino-carbonici, molto complessi, da E. Fischer chiamati gruppi peptidici. Il carattere chimico reazionabile più saliente del collagene della pelle, è il suo anfoterismo, cioè la facoltà di combinarsi con acidi od alcali dando dei veri sali. Questa proprietà è stata studiata esaurientemente dal chimico americano Loeb, il quale ha dimostrato che per una data concentrazione in ioni-idrogeno (pH), il collagene in presenza di una soluzione salina può combinarsi col catione solo oppure coll'anione solo, oppure con nessuno dei due. Per cui possiamo avere:
1. collagenati metallici (caso della concia minerale), se pH〈4,7;
2. sali acidi di collagene, p. es. cloruro, solfato, come nel caso della concia vegetale in cui si forma del tannato di collagene, ed in quello del piclaggio che dà luogo ad un cloruro di collagene, se pH>4,7;
3. nessuna combinazione quando la gelatina è allo stato isoelettrico (pH = 4,7).
Naturalmente, occorre che le condizioni fisiche siano adatte, per cui è probabilissimo che la concia cominci con l'essere un fenomeno fisico e finisca in una reazione chimica.
Lo spirito della ricerca chimica sui fenomeni della concia, dopo gli enormi progressi della chimica organica, è oggi assai differente da quello di 20 anni fa. Gli studî del chimico inglese Procter, in tutti i campi della chimica conciaria e colloidale, sono stati, si può dire, l'anello di congiunzione fra il passato e il presente. Il Procter fu il primo a dare l'indirizzo scientifico della ricerca applicata ai casi pratici dell'industria della concia e la chimica analitica del cuoio fu da lui fondata col suo celebre manuale. Oramai la bibliografia della chimica del cuoio è estesissima e laboratorî di ricerca specializzati, fondati da corporazioni o da privati o governativi, attendono unicamente a tale ramo di studio. Tali sono la scuola di Leeds, fondata dal Procter e diretta da D. MacCandlish, quella della Columbia University di New York, fondata dall'industriale A. H. Gallun e diretta da J. A. Wilson, quella di Darmstadt diretta dallo Stiasny, quella di Freiberg diretta da F. Stather, quella di Vienna diretta fino alla morte da W. Eitner, quella di Torino diretta dal prof. G. Baldracco, quella di Napoli diretta da V. Casaburi, quella di Mosca diretta da G. G. Povarnin, quella di Lione diretta da L. Meunier.
Concia vegetale. - Consiste nel trattare la pelle greggia, opportunamente preparata, con soluzioni di tannini vegetali.
Molti fenomeni fanno supporre (come si è detto) che fra tannino e collagene della pelle avvenga una vera combinazione chimica. Ma, date le incomplete nostre cognizioni sulle proteine e anche sulla maggior parte dei tannini vegetali, ogni teoria quantitativa della concia vegetale è prematura. Tuttavia, il conciatore sa che 100 parti di pelle in trippa conciate mediante una certa quantità di sostanza conciante, seccate e pesate nelle stesse condizioni, dànno, con approssimazione di 1-2%, sempre il medesimo peso di cuoio conciato. Se aumenta la quantità di conciante non aumenta il peso del conciato. Parrebbe dunque che collagene e tannino debbano combinarsi chimicamente secondo proporzioni definite.
In mancanza di una teoria chimica, i chimici hanno proposte teorie fisico-chimiche, come quella di Procter e Wilson accennata più sopra. Parecchie sono le teorie enunciate a spiegazione scientifica del fenomeno della concia vegetale, come combinazione chimica. Esse si fondano sulla struttura della molecola proteica e su quella della molecola del conciante. Il conciante più semplice sarebbe l'aldeide formica, la quale si combina benissimo col collagene della pelle, dando un cuoio che nell'acqua resiste a 80° come il cuoio vegetale. Basta una quantità piccolissima (2%) di aldeide formica al 40% per conciare 100 kg. di pelle in trippa (100 parti di pelle in trippa corrispondono a circa 24 parti di trippa, ossia proteina della pelle secca a 105°). Basandosi su questo ed altri fatti, Povarnin ha emessa l'ipotesi che le materie concianti organiche devono contenere nella molecola un gruppo carbonile = C = O, fatto che si verifica in molti casi. Quindi = C = O sarebbe un gruppo tannoforo, e per mezzo di questo gruppo avverrebbe la combinazione coi gruppi amminici (−NH2) o imminici (= NH) del collagene della pelle. La semplicità ed il basso peso della molecola dell'aldeide formica spiegano come unendosi col collagene il cuoio risultante sia leggiero, quasi quanto la trippa secca, cioè sia un cuoio di poca resa come peso. Per contro, le sostanze concianti vegetali, o tannini, sono sostanze a molecola molto complessa e di peso molecolare elevato, per cui, mentre per conciare 100 parti di pelle in trippa basta meno dell'1% di aldeide formica pura e si ottengono circa 26 parti di cuoio secco all'aria, nel caso della concia vegetale industriale occorrono praticamente 30 parti di tannino assimilabile (ma effettivamente combinate ne restano circa 25); e 100 parti di pelle in trippa, conciate per es. al tannino della quercia, dànno circa 40-50 parti di cuoio secco all'aria.
Una prova di questa teoria l'abbiamo nel grande potere conciante del chinone, C6 H4 O2, applicato da Meunier e Seyewetz. Anche di chinone basta una percentuale piccolissima per conciare: p. es. per 100 parti di trippa s'impiega meno dell'1% di chinone. Il cuoio risultante resiste all'acqua calda a 80°-85°: è un vero cuoio somigliante al cuoio vegetale, ma non industriale perché sottile e leggiero. La concia avverrebbe per reazione dei gruppi terminali amminici primarî o secondarî della molecola proteica (gruppi terminali la cui esistenza non è certa) col conciante.
Una teoria della concia vegetale che ha la sua importanza è quella della ossidazione dei tannini fondata sulle osservazioni di Meunier e Seyewetz che, mentre i fenoli puri a funzione semplice o complessa in soluzione acquosa non insolubilizzano che in misura ridottissima la gelatina, per contro i loro prodotti di ossidazione la insolubilizzano molto più rapidamente. Per es., il benzochinone (para) non concia; mentre il suo prodotto di ossidazione, il chinone, è un conciante attivissimo; durante la concia una parte del chinone è ridotta allo stato di idrochinone. Siccome i tannini sono sostanzialmente dei fenoli non è improbabile che nella concia avvengano di questi fenomeni di ossidazione e di trasformazione dei gruppi fenolici in gruppi chinonici.
Non mancano le opinioni contrarie, secondo le quali la concia vegetale non sarebbe un fenomeno di combinazione chimica, bensì un fenomeno colloidale.
Ad ogni modo, tutte queste teorie fino ad ora sono rimaste nel campo speculativo della chimica organica e della chimica fisica, mentre la concia al cromo pare oramai un fenomeno chimico che si svolge stechiometricamente per mezzo dei sali complessi di cromo. Però le conclusioni che per ora si possono trarre sul chimismo della concia in genere sarebbero le seguenti: 1. La concia avviene in fasi che, per le varie forme di concia, sono diverse: nella concia nessun elemento della pelle è eliminato. 2. È generale a tutte le conce una fase di attrazione capillare. 3. Ci sono forme di pseudo-concia (al solfo, alla silice, ecc.) e di vera concia: nelle prime si ha un processo fisico-meccanico, nelle seconde anche un processo fisico-chimico. 4. L'adsorbimento costituisce la prima fase della concia chimica; esso è causato dalla presenza di gruppi più o meno ionizzati, oppure dalla loro mobilità. 5. Come ultima fase della concia avviene la fissazione del conciante in virtù di una reazione chimica con gruppi che non sono quelli che agiscono per adsorbimento, i quali però facilitano la reazione. 6. Questi processi possono avvenire combinati. 7. Ogni processo è più o meno reversibile. In sostanza, la concia vegetale avrebbe due momenti principali: quello colloidale e quello chimico.
Nella concia vegetale la lavorazione industriale della pelle passa per due fasi ben distinte, la concia propriamente detta e la rifinitura. Il cuoio vegetale semplicemente conciato, non rifinito, è detto in crosta, in bazzana (fr. en croûte). Da esso, con la rifinitura si ottiene poi il cuoio per suola, per cinghie, per selleria, per tomaia, per verniciato, ecc.
Prima di passare la pelle in trippa alla concia si usa pesarla; è questo l'unico modo di controllare pochi giorni dopo l'acquisto della pelle in pelo, se il peso di coda dichiarato dal venditore corrisponde alla realtà. ll peso in trippa non dà risultati esatti, però con l'approssimazione del 2-3% si può ritenere un controllo sicuro per un determinato tipo e per una determinata provenienza di pelle. Per es., una pelle vaccina regolare, pesata in trippa, non deve subire un calo superiore al 15% del peso di coda. Generalmente una pelle bovina salata deve dare in trippa il proprio peso originario salato. Per le piccole pelli il peso in trippa ha scarso valore di controllo.
Cuoio per suola. - Un tempo la concia di queste pelli durava mesi e mesi, perché la pelle rimaneva quasi sempre immota e si usavano come sostanze concianti quelle naturali, cioè scorze, frutti, legni, foglie, sminuzzati o macinati ed inzuppati di acqua. Si cominciava la concia mettendo le pelli uscite dal lavoro di calce in vasche - generalmente rotonde - dette tine, piene di liquido conciante esausto perché la pelle deve nel primo tempo assorbire lentamente il tannino e quindi deve essere immersa in liquidi poveri di tannino e ricchi di non tannini (ossia dolci). Questa regola è fondata sul fatto che quando una soluzione tannica di discreta concentrazione (4-5% di tannino) è messa in presenza della pelle in trippa, esercita una viva contrazione sulle fibre del corio (adstringimento), probabilmente superficiale, che impedisce o rende difficile l'ulteriore penetrazione del liquido conciante. Messe le pelli nelle tine, si aggiungeva un poco per volta o scorza sfruttata oppure fresca macinata di quercia povera di tannino, movendo giornalmente le pelli.
Dopo questo primo passo della concia, che si diceva colorimento e che durava 3 0 4 giorni, le pelli venivano trasportate in un'altra tina a gradazione tannica un po' più elevata, somministrando maggior quantità di scorza non sfruttata. In questa seconda tina le pelli erano lasciate 7 od 8 giorni, rimovendole una volta al giorno: seguiva una terza, una quarta tina sempre di forza tannica crescente, finché la pelle era per metà del suo spessore traversata dalla sostanza conciante.
Uscita dal tinaggio, la pelle subiva l'operazione della prima fossa che consisteva nello stenderla in una fossa profonda 3 metri circa, poi nel coprirla di scorza macinata o d'altra materia conciante, avendo cura di distribuire la quantità di materia conciante secondo lo spessore della pelle; sopra la prima pelle se ne mettevano altre, sempre coprendole di scorza finché la fossa era quasi piena. Si colmava la fossa con scorza sfruttata facendo quello che si chiama cappello, poi si lasciava colare nella fossa, fino a riempimento, una soluzione tannica proveniente dalla decozione della scorza sfruttata e si lasciava il tutto in riposo per 2 0 3 mesi. Scorso questo tempo, si levavano le pelli, si verificava se erano traversate dalla concia, se cioè, il taglio era uniforme di colore; in caso contrario si mettevano in una seconda, eventualmente in una terza fossa durante 3 o 4 mesi e a concia compiuta le pelli si mandavano alla rifinitura.
Complessivamente, la concia con questo antico processo alla fossa durava poco meno di un anno per i cuoi pesanti, immobilizzava enormi capitali e richiedeva molta mano d'opera. Quando apparvero i primi estratti concianti ben decolorati (castagno, quebracho, quercia, ecc.), rapidamente essi furono sostituiti alle sostanze concianti allo stato naturale e, quindi, il processo di concia divenne più rapido. Ormai è possibile, impiegando la botte girante ed appropriati estratti concianti di castagno, quebracho e quercia insieme mescolati, ottenere una concia completa di una bovina per suola di medio spessore in 30-40 ore. È questo il sistema celere che, però, non dà un cuoio di buona qualità: il rotolare della pelle nella botte girante, per così lungo tempo e il riscaldamento che ne consegue, non sono coefficienti per conservare nel cuoio quella saldezza di fibra che si richiede in una buona suola.
Le botti giranti o bottali (fig. 7) costituiscono il macchinario principale dell'industria della concia. La botte girante è, nella sua forma più semplice, una botte di diversa forma e dimensione (m. 2 × 2; m. 2 × 2 ½; m. 3 × 3; m. 2 ½ × 1,50) secondo gli scopi a cui è adibita. All'interno la botte porta dei piuoli di legno o di ottone che impediscono alle pelli di arrotolarsi e che, afferrando le pelli durante la rotazione, le trasportano in alto, donde ricadono: questo continuo movimento di alzata e caduta facilita la penetrazione del liquido conciante nella pelle. La botte gira su due pernî cavi, accessibili ai liquidi, e può contenere da kg. 500 a 2000 di pelli in trippa, più il liquido necessario. Questo apparecchio serve non solo per conciare, ma per rinverdire le pelli secche, dissalare, calcinare, lavare, rammollire, colorire, ingrassare, ecc. La botte ha un' apertura o sportello per l'introduzione ed estrazione delle pelli ad operazione finita. Essa fa da 1 a 18 giri per minuto primo, secondo le lavorazioni. Per es. nella calcinatura, in cui l'azione è superficiale, bastano 1-2 giri: nella concia, siccome l'azione è penetrativa, occorrono 5-8 giri: per l'ingrasso sono necessarî 16-18 giri. L'attrito di una pelle con l'altra produce un aumento di temperatura che dev'essere attentamente sorvegliato per impedire che le pelli abbiano a soffrire, o, come si dice praticamente, bruciare.
Nella grande industria si è adottato un metodo che, attraverso l'uso di decotti acquosi o estratti, riduce il bottalaggio a una ventina di ore ed anche meno, e permette di conciare in 15-20 giorni un cuoio per suola di ottima qualità. Il metodo è il seguente:
Si abbiano 12 vasche lunghe almeno 2 metri, larghe 2 m. circa e profonde m. 2 ½. Queste vasche, intercomunicanti mediante trombe, sono piene di liquido conciante di forza crescente dalla prima alla dodicesima, cioè da una gradazione di 0°-5° Bé. si va gradatamente fino a 6°-7° Bé. Le pelli in trippa sono divise in lotti di circa 1000 kg. Ciascun lotto è appeso mediante bastoni nella prima vasca più debole. Dopo un giorno è trasportato (meccanicamente o a mano) nella 2a vasca ed il suo posto è preso da un altro lotto. Il terzo giorno le pelli dalla 2ª vasca vanno nella 3ª, il quarto giorno nella 4ª e così via; alla fine del dodicesimo giorno le pelli escono dalla 12ª vasca dopo essere passate attraverso 12 bagni concianti di forza sempre crescente. La soluzione tannica a 5°-7° Bé. si fa arrivare nella 12ª vasca; il bagno della 12ª vasca si fa passare automaticamente nella 11ª e così via, sicché il liquido giunge alla prima vasca quasi esaurito di tannino, ma carico di non tannini, e quindi in condizione da non essere troppo astringente per la pelle in trippa.
Le pelli che escono dalla 12ª vasca non sono che a metà conciate. Esse sono pesate e messe nella botte girante (5-8 giri) col 70-90% in peso di estratto conciante, più o meno allungato con acqua. Dopo 15-20 ore di rotazione, secondo la stagione, la concia è completa. Però ci sono delle fabbriche le quali, dopo questa concia alla botte, mettono ancora le pelli in fossa durante 1-2 mesi, applicando così un sistema detto misto, fra quello antico e quello rapido, che dà suola di ottima qualità.
Dopo queste operazioni la pelle si può dire conciata. Le pelli completamente conciate restano in pila da 8 a 10 giorni per la maturazione della concia e poi sono molto rapidamente lavate con acqua, per togliere l'eccesso di sostanza conciante, lasciate scolare ed appese all'aria per il seccaggio, la durata del quale si può abbreviare pressando le pelli al torchio idraulico (però con perdita di peso del cuoio finito). La quantità totale di estratto a 28-30% di sostanza tannica assimilabile necessaria e sufficiente è di circa 100-110% sul peso trippa.
Per riconoscere se la pelle è completamente conciata vi sono parecchi metodi. Praticamente se ne taglia con un coltello un pezzetto; se la sezione presenta un colore bruno chiaro, uniforme, la concia è completa, se invece nel cuore della sezione appare una striscia giallastra, è segno che rimane uno strato del derma non conciato. Altra prova consiste nell'immergere il pezzetto di cuoio in una soluzione al 5% di acido acetico; se il cuoio si gonfia è segno che contiene ancora una parte del derma inattaccato; se non si gonfia la concia è completa. C'è ancora un metodo analitico quantitativo, fondato sulla determinazione dell'azoto, e il metodo della determinazione del grado di gelatinizzazione (Tg).
Rifinitura del cuoio per suola. - Generalmente si usa seccare a fondo la pelle semplicemente conciata per poterla immagazzinare e rifinirla secondo le occorrenze. Prima di passare le pelli al seccaggio si dividono in due con un coltello lungo il filo della schiena. Le due parti si chiamano mezze o schiappe. L'operazione della rifinitura s'inizia bagnando leggermente le pelli (circa 30% di umidità); dopo di che queste si mettono in una botte girante a 16-18 giri per diromperle: la durata dell'operazione varia da 1 a 3 ore, secondo lo spessore delle pelli.
Segue quindi la colatura o stiratura o messa al vento (fr. mettre au vent; sp. zurrar; ted. ausstossen; ingl. scouring), che consiste nel distendere la pelle sopra un tavolo di marmo col fiore all'aria, dopo di che, con uno strumento detto stira, di pietra speciale, l'operaio cola la schiappa rendendola piana e piatta come una tavola, e dandole la forma. L'operazione della colatura si fa oggidì con macchine speciali costituite da un rullo a segmenti lisci di ottone (stire), girante su se stesso rapidamente e nel medesimo tempo mobile con corsa di andata e ritorno. Dopo lisciate, le mezze pelli vengono oliate leggermente sul fiore o grana con olio di pesce sulfonato e poi appese ad asciugare. Quando le mezze pelli sono ad un terzo circa di seccaggio, si mettono in pila, leggermente inumidendole nelle parti asciutte e si preparano per la seconda lisciatura o ritenitura che si può fare con la medesima macchina sopra descritta. L'operazione della ritenitura, fatta sulla pelle in parte secca (appassita), ha per scopo di dare fermezza al tessuto e completare il lavoro fatto dal colatore, mentre quella della colatura fatta sulla pelle bagnata aveva solo per scopo di distenderla e spianarla.
Le mezze pelli dopo ritenute vanno nei locali del seccaggio dove sono appese a chiodi e ricevono il primo seccaggio che va fatto lentamente e con poco movimento di aria e possibilmente in una semioscurità. D'inverno e nelle stagioni umide gli essiccatoi sono convenientemente riscaldati. Le schiappe di suola non sono completamente seccate di primo colpo, ma invece, dopo un primo lento seccaggio a circa 2⅔, si mettono in pila testa e coda, cioè disponendo la parte della culatta di una schiappa sulla testa di un'altra. Il secondo seccaggio è fatto a fondo, commercialmente però la suola può contenere 16-18% di umidità.
Dopo essiccate, le mezze pelli sono messe in pila e poi, dopo alcuni giorni, subiscono l'operazione della cilindratura, cioè le schiappe dalla parte del fiore sono fatte passare sotto un rullo di acciaio alla pressione di 20.000 kg. per cmq. La cilindratura dà fermezza, lucido e levigatezza al fiore. Invece della cilindratura si usa ancora martellare le pelli, mediante martelli meccanici, sulla parte della carne. In molte concerie i martelli sono stati sostituiti dai cilindri, perché più produttivi, ma la martellatura rende la suola più ferma e compatta.
Finalmente, le mezze pelli sono fatte passare sotto una spazzola meccanica e la suola è finita. Nel magazzino, poi, si fanno le scelte secondo i difetti, gli spessori, il peso, la provenienza delle pelli gregge. Il cuoio per suola si vende a peso.
Resa. - Se la pelle è lavorata per suola a regola d'arte, 100 kg. di pelle in trippa rendono 56-58 kg. di cuoio finito. Ciò vale per una lavorazione genuina corrente: ma per il cuoio per suola militare la resa è minore, dato il rigore dei capitolati. Si dice genuina perché per le esigenze d'una speciale clientela che vuol pagare troppo poco, non manca la suola adulterata, cioè carica di sostanze estranee, glucosio, sali di bario, magnesio, alterata nelle sue qualità specifiche e resa spugnosa e permeabilissima.
Caratteri del cuoio per suola. - Un buon cuoio per suola dev'essere puntante e fermo, ben cilindrato o battuto, lucido da fiore, pulito da carne, completamente traversato dalla concia; piegato leggermente ad arco non deve screpolarsi, messo in ambiente fresco od umido non deve sensibilmente rammollirsi, né aumentare di peso più del 3-4%: deve essere compatto da poter tenere i chiodi, e messone nell'acqua un pezzetto tagliato nel cuore della pelle, e lasciato 30 minuti, messo a gocciolare e ripesato, l'aumento di peso non dev'essere superiore al 30% circa.
Qualità del cuoio per suola conciato coi sistemi antico e moderno. - Molto si è discusso sulla qualità della suola conciata col sistema antico (alla fossa) e quella conciata col sistema moderno. Esperimenti comparativi sulla permeabilità all'acqua di suola tagliate nello stesso posto di una stessa pelle, divisa in due, ed una metà conciata alla fossa e l'altra altrimenti, hanno dimostrato differenze quasi trascurabili in favore della concia alla fossa, sempre quando la lavorazione sia fatta a regola d'arte.
La durata della suola dipende dalla parte della pelle in cui è stata tagliata. Sono le parti centrali della pelle, esclusi fianchi, pance, collo, che forniscono la buona suola. Sebbene commercialmente si usi darvi grande importanza, il bel colore e la bella apparenza non sono indizî sicuri della buona lavorazione: ci sono delle suola conciate alla vallonea che sono brutte di colore ma eccellenti all'uso.
J. A. Wilson e E. J. Kern hanno dimostrato scientificamente quello che da tempo i conciatori pratici sapevano benissimo, che cioè il colore dipende dall'acidità del liquido conciante, ed hanno trovato che il pH più favorevole per un bel colore è uguale a 3,0. In America, per sbianchire (ingl. bleaching) il cuoio per suola, sia che il brutto colore provenga dalle sostanze concianti, sia che provenga da cattiva lavorazione, si usa immergere per pochi secondi le schiappe finite in una soluzione calda allungata di acido solforico (o, meglio, di acido ossalico) e poi subito dopo saturare l'eccesso di acido passandole in un tino con una soluzione calda di soda. Si ottiene innegabilmente uno sbiancamento, ma il cuoio resta deteriorato nelle sue qualità commerciali.
Siccome le suole delle calzature da donna e da bambino devono essere sottili (meno di 3 mm.) e non tanto rigide, si conciano a tale scopo pelli bovine leggiere (solette), generalmente provenienti dall'India, dalla Cina, ecc.
Cuoio per cinghie da trasmissione. - Come materia prima si usano generalmente pelli bovine del peso fresco di 35-40 kg. per pelle. La lavorazione è identica a quella delle pelli per suola fino al punto in cui le pelli escono dalla 12ª vasca di concia già descritta. Invece di andare subito alla botte girante, le pelli entrano in una seconda serie di vasche intercomunicanti a gradazione tannica crescente da 7 a 15 Baumé, e ciò allo scopo di evitare possibilmente o ridurre l'azione della botte che può indebolire la fibra del cuoio. Se, quando escono da questa seconda serie, le pelli non sono ancora conciate, sono messe in fossa con scorza di quercia macinata oppure ricevono un bottalaggio di poche ore con estratto concentrato. Compiuta la concia, le pelli sono sgropponate, cioè sono distese su di un largo tavolo e liberate delle parti inservibili per cinghie. I fianchi, i colli e le teste sono adibite ad altre lavorazioni e per cinghie rimangono i gropponi. In Inghilterra la sgropponatura si fa prima della concia ossia quando la pelle è in trippa.
Dopo breve tempo di maturazione della concia, e una sufficiente lavatura dai residui dell'estratto conciante, le pelli sono seccate e poi ingrassate. L'ingrasso si fa in diversi modi: o all'inglese col metodo al tampone usando sego fuso con dégras, come per la tomaia bianca; o più comunemente, facendo seccare a fondo i gropponi, poi rammollendoli meccanicamente e, infine, portandoli in una camera calda (30-40°) in cui un operaio, messili su di un tavolo, mediante un tampone fatto di pelle di agnello lanuto intriso nel sego di bue fuso e caldo (70°-75°), li impregna di grasso uniformemente. La pelle, asciutta a fondo, beve facilmente il grasso fuso; generalmente se ne dà circa il 15% in peso. Ci sono anche altri sistemi: nella botte, per immersione, ecc. Dopo alcuni giorni di riposo, le pelli si mettono nell'acqua fresca per 24 ore e poi si follano con acqua; così rammollite vanno alle macchine a colare.
A questo punto, siccome una buona cinghia per trasmissioni non deve allungarsi quando è in lavoro, si usa mettere i gropponi su telai di legno, su cui sono sottoposti, mediante macchine speciali, ad un tiraggio nel senso longitudinale. Poi si ritengono, sempre nel senso longitudinale, e si passano all'essiccazione. Invece della cilindratura finale, i gropponi sono passati ad una lucidatrice meccanica costituita da una grossa stira di vetro che, con movimento di va e vieni, scivola sulla parte del fiore, la spiana e fa uscire il lucido. Un buon cuoio per cinghie deve contenere circa il 10-12% di grasso, il 7-8% di lavabili (residui di concia asportabili) e al dinamometro deve dare una resistenza allo strappamento di almeno kg. 2,500 per mmq e un allungamento di circa il 20%.
Cuoio per selleria. - Il consumo del cuoio per selleria, sebbene ridotto per la graduale scomparsa del traino animale, rimane considerevole anche agli scopi militari, comprendendo la cosiddetta buffetteria: giberne, cinghie per armi, finimenti, selle, ecc. Questa lavorazione è quasi identica a quella del cuoio per cinghie, salvo che le pelli non subiscono l'operazione della sgropponatura, ma quella della divisione in schiappe, ossia mezze pelli.
Dopo la concia sono pressate, rasate e fatte seccare. Si fa allora la scelta: quelle a fiore fino e sano vanno alla lavorazione per cuoio naturale, selle, briglie, cinghie per cavalleria, valigeria, astucci, borse; le altre vanno per cuoio nero, cioè per finimenti da tiro.
Per la lavorazione in cuoio naturale, bisogna aver somma cura di non macchiare le pelli. Esse si ingrassano alla botte, col 5-6% in peso, di olio di pesce, infine ricevono, dalla parte della carne, un appretto di talco, colla e lichene per dar loro bella apparenza e finezza. Per la lavorazione in cuoio nero il processo d'ingrasso e la rifinizione sono come quelli per il cuoio da cinghie, salvo che la quantità del grasso è naturalmente maggiore e nella colatura e nella ritenitura si passa sul fiore una soluzione di pirolignite di ferro oppure di corvolina (nero di anilina) e poi sul nero si dà una leggiera mano di olio.
I cuoi naturali e neri sono venduti a peso o a metri quadrati. A tali lavorazioni sono adibite pelli bovine di medio spessore e fresche di macello o salate fresche, delle migliori provenienze nostrali, Piemonte, Toscana, ecc. a fiore fino e sano.
Condizione specialissima per il cuoio da selleria è che, piegato ad arco a breve corda dalla parte del fiore, non deve in nessun modo screpolarsi. La sua resistenza alla trazione non può essere inferiore a 2,5 kg. per mmq.
Cuoio di pelli ovine.- Si prepara impiegando estratti di quebracho o anche di foglie di sommacco, quando si tratta di articoli fini, specie colorati. Con diversi processi di rifinitura si ottengono le pelli per fodera di calzatura, i marocchini o cordovani, gli skivers (fiori di montone) per fodere di cappelli. Però ormai quasi tutte le pelli di montone e di capretto sono conciate al cromo.
Cuoio verniciato. - La preparazione del cuoio per la verniciatura è sensibilmente identica a quella delle pelli per tomaia colorata sia conciate al cromo sia alla vegetale, salvo che qui le pelli sono leggermente ingrassate con moëllon (vedi scamosceria) evitando i grassi stearinati, perché sulla pelle grassa la vernice non tiene. La vernice viene mediante certe spatole distesa in un sottilissimo strato, generalmente sul fiore. L'olio di lino è un olio essiccativo; se lo si scalda lentamente oltre a 250° con una piccola percentuale di litargirio, acetato di piombo, borato di manganese, ecc., acquista maggiore essiccatività, e mettendo insieme durante il riscaldamento certi pigmenti, p. es. blu di Berlino, ocra, cinabro, ecc., si ottiene una vernice nera colorata che, diluita con essenza di trementina, distesa sulla pelle e messa al sole, oppure nelle stufe, indurisce e secca.
Le operazioni della verniciatura sono assai numerose e delicate, perché il cuoio verniciato non deve screpolarsi se piegato, nemmeno d'inverno; messo pelle con pelle non deve essere attaccaticcio, non deve perdere il lucido, ecc. In questi ultimi tempi gli Americani hanno sostituito la vernice di olio di lino cotto con soluzioni di cellulosa nell'acetone e nell'acetato di amile unite a pigmenti colorati o stemperati in olî seccativi. Questa vernice serve specialmente per cuoi da carrozzeria automobilistica e articoli a grana fantasia. Si ottiene la grana pressando fortemente con macchine speciali la pelle su di una placca metallica riscaldata a vapore che porta in rilievo o incisa o in galvanoplastica la grana che si vuol ottenere: coccodrillo, capra, foca, ecc. Si usa oggi verniciare anche pelli conciate al cromo, specialmente capretti, e fiori di vacchette spaccate, ma queste pelli sono lisce e servono specialmente per calzature. Le pelli verniciate granite lavabili per automobili (soffietti, cuscini), che tempo fa venivano dall'America e dall'Inghilterra, sono ora fabbricate in Italia su vastissima scala.
Pelli per tomaia. - La fabbricazione a concia vegetale delle pelli destinate a formare la tomaia (v. calzatura) è andata a poco a poco in disuso, essendo sostituita dalla concia al cromo. Però, per certi tipi di calzatura popolare per operai sul lavoro, contadini e, soprattutto, per gli stivaletti delle truppe di terra, le tomaie sono lavorate ancora alla concia vegetale, perché così si ottiene un cuoio che permette la traspirazione e mantiene il piede più sano. Inoltre, siccome questo tipo di cuoio s'impiega nella calzatura dalla parte della carne, esso è meno soggetto a deteriorarsi. A questo scopo servono specialmente le pelli di vacchetta d'India della razza zebù che sono bassotte e non troppo pesanti e di ottima fibra. I pregi principali della pelle per tomaia sono la sua pieghevolezza e morbidezza e la sua poca permeabilità all'acqua, dovuta all'ingrasso. Tutta la lavorazione tende a questo scopo.
Le prerogative principali di una buona vacchetta per tomaia bianca sono grande pastosità e morbidezza; piegato in quattro il fiore non deve screpolarsi; la rasatura deve essere fina e serrata e non pelosa; il colore deve apparire quello naturale della nocciuola; l'ingrassatura dev'essere sufficiente per renderla poco permeabile all'acqua. Però nessuna tomaia bianca, per quanto perfetta sia, è impermeabile alla rugiada.
Adulterazioni del cuoio. - I cuoi che si vendono a peso sono alle volte adulterati. Sul pellame venduto a misura non è il caso di parlare di appesantimento o sofisticazioni.
L'adulterazione del cuoio, specialmente di quello per suola, è purtroppo esercitata su vasta scala in tutto il mondo, anche per colpa del compratore il quale pretende dal fabbricante dei prezzi ai quali questo non può lavorare con equo profitto. Il cuoio viene caricato di sostanze eterogenee che lo guastano, come per es. glucosio: siccome questo è molto igroscopico, appena la suola è a contatto del terreno bagnato, si inzuppa di acqua e mantiene il piede umido. Non molto diversi sono gli effetti del maltolo, che è fecola saccarificata più o meno completamente. La chimica può facilmente scoprire tale genere di adulterazione.
Non bisogna confondere il cuoio adulterato con quello genuino gravitato o superconciato cioè contenente residui solubili della concia in quantità eccessive, svelate dall'analisi. Oltre all'eccesso di sostanza conciante, in questi ultimi tempi ha preso voga per caricare il cuoio l'estratto proveniente dalla concentrazione dei liquidi residuali della fabbricazione della cellulosa. Esso non è un conciante: contiene al massimo il 7-8% di tannino; ma è un riempitivo certo migliore del glucosio e simili.
Altre materie, purtroppo largamente usate, sono gli adulteranti minerali cioè il cloruro di bario, il solfato di magnesio e il solfato di bario introdotto forzatamente nella pelle. Gli adulteranti minerali sono facilmente determinabili incenerendo il cuoio (un grammo in una capsula di platino tarata). Il cuoio non adulterato lascia circa il 2-3%, di ceneri costituite da ossidi alcalini o alcalino-terrosi. I capitolati militari italiani prescrivono il 2,5%, di ceneri sul cuoio sgrassato e secco a 105°; ma nel commercio si può ammettere anche il 3%, purché non ci siano sali di bario.
Concia vegetale elettrica. - I primi esperimenti di questo processo datano da più di 30 anni e nuovi studî si sono fatti in questi ultimi anni, però con scarso risultato. Le pelli in trippa sono appese in un bagno conciante fra due elettrodi di carbone, poi si fa passare una corrente elettrica, avendo cura di muovere superiormente l'anodo. Esperimenti fatti avrebbero dimostrato il nessun vantaggio dell'impiego della corrente elettrica in paragone dei soliti sistemi senza corrente elettrica.
Processo Nance di concia vegetale nel vuoto. - Consiste nel mettere le pelli ben declinate in grandi autoclavi internamente foderati di rame in cui mediante una pompa si può fare il vuoto. Raggiunto un grado di rarefazione sufficiente, si lascia arrivare il liquido conciante del quale si va aumentando a poco per volta la gradazione. Per le pelli leggiere bastano 5-8 giorni; per le pesanti ne occorrono 15 e più. L'acceleramento non è notevole e si può ottenere una concia anche più rapida coi soliti sistemi. Il cuoio ottenuto sarebbe ottimo. Il processo è stato applicato in Francia.
Concia minerale. - Il collagene della pelle si combina facilmente con numerosi metalli e metalloidi: il cromo, l'alluminio, il ferro, lo zinco, il tungsteno, lo stagno, il silicio, lo zolfo, ecc. Si ha, così, la concia minerale che, dal punto di vista chimico, è più facilmente spiegabile che non la concia vegetale. L'allume di cromo, sia normale sia basico, e l'allume di rocca sono le sostanze concianti minerali più usate. Ancora non hanno trovato applicazione nell'industria i sali di ferro e degli altri metalli sopra elencati.
Per ben comprendere la natura e la causa dei fenomeni della concia minerale è necessario considerare l'idrolizzazione dei sali.
Il solfato di cromo (che è la sostanza attiva dell'allume di cromo, perché il solfato alcalino non ha azione sulla concia) per azione dell'acqua si scompone:
Analogamente si scompone il solfato di alluminio:
Sappiamo che l'idrossido di alluminio può funzionare da acido e da base: cioè da idrato di alluminio e da acido alluminico. Il primo si scioglie negli acidi forti dando sali di alluminio, il secondo si scioglie nelle basi forti dando alluminati. La medesima cosa succede per l'idrossido di cromo: anch'esso è anfotero e da una parte produce sale di cromo, dall'altra dei cromiti. Ma, mentre gli alluminati sono relativamente stabili, altrettanto non succede per i cromiti. Ciò indica che la funzione basica del
è più spiccata della funzione acida, per cui in presenza dei radicali carbossilici (−COOH) del collagene della pelle si combina con questi più facilmente dell'idrossido di alluminio: ne consegue che la pelle in presenza di sali di cromo basici (tipo
li assorbe facilmente ed è conciata più profondamente che non con l'idrossido di alluminio: ciò spiega perché il cuoio conciato all'allume si altera nell'acqua già a 65°, mentre quello all'allume di cromo normale non si altera che a 90°-92° e quello all'allume di cromo basificato resiste vittoriosamente all'acqua bollente.
Concia al cromo. - Scoperta dal tedesco F. Knapp (1858) entrò nella pratica industriale solo nel 1884 in America per opera di Augusto Schulz, che inventava il processo a due bagni. Nel 1893 Martin Dennis, pure americano, brevettava un processo di concia fondato sull'impiego del cloruro basico di cromo, detto processo a un bagno, che è più semplice del precedente e lo ha sostituito quasi completamente. Il risultato definitivo dei due processi è il medesimo, salvo che nel processo a due bagni si verifica deposito di zolfo nelle fibre della pelle.
Il processo a due bagni consiste essenzialmente nell'impregnare le pelli di una determinata quantità di acido cromico, prodotto dall'azione dell'acido cloridrico sul bicromato sodico: indi nel trattarle con iposolfito sodico. Dopo una serie di passaggi, durante i quali si deposita zolfo colloidale nelle fibre della pelle, si forma del cloruro di cromo basico e poi del solfato basico di cromo, il quale è il fattore della concia. I conciatori di chevreau glacé usano ancora questo processo, perché quel po' di zolfo colloidale che rimane nelle fibre pare dia maggior finezza al fiore, mentre nel processo a un bagno non si forma zolfo.
Nella concia a due bagni avvengono molte reazioni che si possono rappresentare con un solo schema:
Sostanzialmente si forma il sale basico di cromo, che è la sostanza conciante, e si deposita zolfo, svolgendosi anidride solforosa. Praticamente l'impiego dell'iposolfito sodico (anticloro, tiosolfato) è alquanto complicato e la sua azione è influenzata da condizioni di quantità, di concentrazione, di temperatura.
Per la concia a due bagni s'impiegano il 5% sul peso in trippa di bicromato sodico fuso e il 2,5%, di acido cloridrico del commercio, e poi a suo tempo il 15-20% di iposolfito, usando le norme che sono dettate dalla pratica. La concia si fa o in botti per le pelli grosse o nei mulinetti per le piccole pelli.
Nel processo a un bagno la sostanza conciante è un solfato basico di cromo che si può ottenere trattando l'allume di cromo (oppure di solfato di cromo) con carbonato sodico.
Secondo la quantità di carbonato sodico che si usa si formano diversi sali basici, come si vede dai seguenti schemi:
La basicità di un sale basico di cromo è misurata dal numero degli OH della sua molecola. Crescendo la basicità si accentua sempre più il suo stato colloidale e quindi la sua insolubilità. La basicità delle soluzioni concianti di cromo si esprime in varî modi. Gl'Inglesi usano esprimerla sotto forma del rapporto fra il peso del cromo e il peso del residuo solforico SO4. Per esempio:
Il solfato basico
si può ottenere senza intervento di carbonato sodico per semplice idrolisi del solfato di cromo:
Al congresso dei chimici del cuoio in Barcellona, nel 1923, si è stabilito di adottare il metodo proposto da K. Schorlemmer, il quale esprime la quantità di Cr combinato con OH in percento della quantità totale di Cr fatta eguale a cento. Per esempio, in
un terzo, ossia
del Cr è legato ad OH; la basicità è quindi 33,3.
Praticamente la basicità dei liquidi concianti a un bagno varia fra 52/110 e 52/72 secondo gli articoli che si vogliono fabbricare. Per preparare i tre sali basici indicati da 52/120, 52/96, 52/72 occorrono teoricamente per 100 parti di allume di cromo parti 14,30; 28,60; 42,90 di soda cristalli, oppure 5,30; 10,60; 15,90 di soda solvay, ossia anidra.
Il conciatore o compra i solfati basici, già preparati solidi, oppure liquidi ma concentrati, oppure prepara direttamente il liquido conciante partendo dal bicromato sodico, basandosi sulla seguente reazione:
Questa reazione avviene solamente in presenza di sostanze ossidabili come zucchero, glicerina, alcool, fecola, segatura, residui della rasatura delle pelli conciate al cromo, ecc. Diminuendo la quantità di acido solforico si ottengono i sali basici:
L'allume di cromo è un basso prodotto della fabbricazione dell'alizarina, forma cristalli ottaedrici e contiene 24 molecole di acqua e il 15,2% di sesquiossido di cromo.
Questo metodo molto introdotto nelle fabbriche, è stato proposto da Procter una ventina di anni fa e si presta a fabbricare solfati basici della basicità necessaria per le diverse lavorazioni. Altro modo di preparazione dell'allume di cromo è quello di far passare una corrente di acido solforoso nella miscela di bicromato sodico ed acido solforico, ma il metodo di Procter è da preferire. Finalmente, il metodo più semplice è quello di partire dall'allume di cromo e portarlo mediante la quantità calcolata di carbonato sodico solvay, alla desiderata basicità.
La quantità di allume di cromo necessaria e sufficiente per la concia è circa del 12% sul peso trippa e può anche essere di più secondo l'articolo che s'intende produrre. Si scioglie in acqua tiepida, si basifica mediante carbonato sodico in modo da ottenere la basicità desiderata.
I solfati basici di cromo ottenuti per vie diverse dimostrano praticamente non solo diversa intensità conciante, ma anche diversa rapidità di concia. Gli studî di D. Burton li classificano secondo la velocità e l'intensità di concia nell'ordine seguente: 1. conciante ottenuto dall'allume di cromo; 2. conciante ottenuto dalla segatura; 3. conciante ottenuto con So2; 4. conciante ottenuto con glucosio. Questa diminuzione di potenzialità di concia è in rapporto con l'acidità dei liquidi e si può dire che crescendo l'acidità del liquido conciante, rallenta la rapidità della concia.
Per ottenere un prodotto sempre uguale è preferibile ricorrere all'allume di cromo. L'allume di cromo normale dà una soluzione acquosa, violetta: se però si fa bollire una soluzione di questo sale durante un'ora, essa diventa verde e pare che si formi un nuovo sale al quale si attribuisce la formula (trascurando il solfato alcalino che non entra in reazione) [Cr4O(SO4)4]SO4. Però, praticamente, allume verde e allume violetto, quando sono basificati, dànno lo stesso prodotto.
Teoria chimica della concia al cromo. - Prendendo per base di studio la concia a un bagno, che è la più semplice, la teoria chimica potrebbe riassumersi dicendo che i sali basici di cromo si uniscono ai carbossili della molecola del collagene. Secondo tale ipotesi nel cuoio conciato dovrebbero rimanere combinati radicali SO4; difatti l'analisi di un buon cuoio al cromo finito dimostra, secondo J. A. Wilson, il 5% di acido solforico, segno che la concia non sarebbe avvenuta per deposito di Cr (OH)3 che poi col seccaggio si trasforma in Cr2O3 nelle fibre, ma per una vera combinazione del collagene con un solfato basico di cromo. La presenza di carbossili liberi nella molecola del collagene non è provata, finora, che dalla facoltà di combinarsi con gli alcali formando veri sali o collagenati.
È dimostrato che, rimanendo solubile, più il sale di cromo è basico, cioè più è colloide, e più la concia è profonda, cioè più cromo contiene il cuoio. Difatti con sali fortemente basici si ottiene un cuoio che resiste a più di 120°, senza raccorciarsi.
Con solfato di cromo normale il cuoio risultante contiene il 3-4% di Cr2O3: nel cuoio conciato con solfato di cromo ultrabasificato si trova il 10-12% di Cr2O3 e anche molto di più. Queste diverse quantità di Cr2O3 corrisponderebbero ai diversi collagenati di cromo previsti dalla teoria chimica della concia a un bagno. Sarebbe pertanto il protocollagenato di cromo quello che si ottiene conciando col solfato di cromo (o allume di cromo) normale. Basificando gradatamente la soluzione di solfato normale si debbono avere il di-, tri-, tetra- e i collagenati di cromo superiori. Effettivamente, Thomas e Kelly hanno ottenuto il tetra- e l'ottocollagenato di cromo, quest'ultimo contenente 26,6 di sesquiossido di cromo, cioè quasi la quantità teorica.
Questi sarebbero gli effetti della combinazione; quanto alla causa si ammette da alcuni che sia un fenomeno elettrico, al pari della concia vegetale: ma non tutti sono d'accordo nello specificare le modalità. Però questi policollagenati, dal tricollagenato in su, non si possono ottenere partendo direttamente dal carbonato: si formano invece lentamente col tempo per trasformazione dei collagenati inferiori. Un cuoio conciato con allume violetto normale, che cedeva nell'acqua a 92°, dopo due anni resisteva benissimo all'acqua bollente.
Lavorazione industriale. - Comprende la concia propriamente detta, la neutralizzazione del cuoio, l'ingrasso e la rifinitura.
La preparazione della pelle è più o meno uguale a quella per la concia vegetale, con l'eccezione che si deve avere la massima cura nel limitare al puro necessario l'azione della calce e dei maceranti per non svuotare la pelle e non avere un fiore che si raggrinzi facilmente piegandolo all'indietro: difetto grave specialmente per le pelli destinate a tomaia.
Concia propriamente detta. - La concia avviene generalmente in botti giranti a 8 0 9 giri al minuto. La durata della concia è diversa secondo lo spessore delle pelli; da poche ore (capretti) a due giorni (grosse pelli bovine). Si possono anche tenere appese le pelli nel liquido conciante; sistema che dà ottimi risultati, ma è poco economico. La fine della concia si controlla lasciando un pezzetto del cuoio nell'acqua bollente per 5 minuti: esso non si deve sformare. Le grandi fabbriche si valgono della determinazione del punto di gelatinizzazione.
Le pelli conciate sono messe in pila, così rimangono parecchi giorni per la maturazione della concia in luogo fresco e riparato dalla ventilazione: indi sono pressate per eliminare l'eccesso di umidità, poi sono rasate alla macchina, pesate e lavate, indi neutralizzate.
Neutralizzazione del cuoio al cromo. - Il cuoio, a concia finita, ha reazione fortemente acida, specialmente nel processo a due bagni per effetto del grande impiego di acido nella riduzione mediante iposolfito. Il collagene si combina facilmente con gli acidi forti, formando dei veri sali, ecc., fortemente ionizzabili. Nel sistema a un bagno, l'acidità del cuoio risulta minore, però una parte dell'allume non è mai basificata e quindi può sempre produrre acido solforico, il quale è assorbito dal collagene. Si aggiunga che i solfati basici di cromo col tempo, durante quella che i conciatori chiamano maturazione, liberano acido solforico. Per es., un cuoio, che oggi ha reazione neutra, domani dimostra reazione acida finché, dopo lungo tempo, raggiunge uno stato definitivo di equilibrio. Se la pelle conciata fosse ancora acida quando la si ingrassa, si avrebbero depositi bianchi, untuosi e opachi, sul fiore del cuoio finito. Perciò la si neutralizza.
La neutralizzazione si pratica trattando le pelli rasate e lavate a grand'acqua, con il 2-3% del loro peso di borato di sodio. Per ragioni economiche, si impiega anche il bicarbonato sodico. Il saturante va aggiunto lentamente perché messo tutto in una volta o in eccesso può produrre la deconcia del cuoio, cioè decomporre il supposto proteinato o collagenato di cromo, formatosi nella pelle. Fu proposto anche come saturante il fosfato sodico. Ad ogni modo la saturazione deve essere completa e facendo un'incisione nella pelle conciata e provatala con carta di tornasole questa non deve più arrossare.
La saturazione è preceduta da un lavaggio nella botte girante per eliminare l'eccesso di sale di cromo non combinato: lavaggio necessario perché nella operazione dell'ingrasso la presenza di sali di cromo potrebbe produrre dei saponi di cromo che renderebbero impossibile la rifinitura. Inoltre, un cuoio mal lavato resterà secco e duro.
Lo Stiasny, applicando la legge delle masse a questo caso pratico della lavorazione, prescrive che gli alcali non debbano superare la concentrazione ionica di 10÷5 in soluzione 0,1 N. Tale condizione offre un miscuglio in quantità equivalente di ammoniaca e solfato di ammonio che si può ottenere trattando solfato di ammonio con carbonato sodico:
Dopo la concia e la neutralizzazione comincia la lavorazione speciale. secondo il prodotto che si vuole ottenere; suole, cuoio per cinghie, vitello nero e colorato (box-calf), montone, capretto glacé, vitello vellutato (veau velours), vitello verniciato, laccioli, cuoio grigio verde per buffetterie e numerosi altri articoli, della singola lavorazione dei quali essendo impossibile trattare, si dirà solo qualche poco della fabbricazione del vitello (box-calf) che è il più usato per tomaie di calzature comuni.
Ingrasso. - Le pelli conciate come fu detto, lavate, pressate, rasate alla macchina, pesate, disacidate passano all'operazione, anche questa importantissima, dell'ingrasso. Però prima si procede alla tintura, compiuta la quale, le pelli, ben lavate, sono ingrassate, per dare la morbidezza e la durata al cuoio finito. L'ingrasso (che si calcola del 2-4% di sostanza grassa sul peso rasato) avviene in una botte girante a 16-18 giri, riscaldata internamente a 70°-80° mediante vapore, nella quale per mezzo dell'asse cavo si versa l'emulsione grassa.
L'emulsione deve essere completa: cioè anche dopo parecchie ore di riposo l'olio non si deve separare alla superficie. La composizione dell'ingrasso è molto varia e vi sono impiegati l'olio di piede di bue, di pesce, l'olio di ricino, di oliva, il dégras, l'oleina, gli olî sulfonati, ecc. Come tipo di emulsione può servire il latte, oppure il giallo d'uovo; altri emulsionanti sono un sapone neutro potassico, il borace. ecc. Molto impiegato insieme ai veri grassi è il solforicinato di sodio (olio per rosso turco) che deve essere neutro o leggermente alcalino. Quest'olio si emulsiona facilmente e stabilmente con grande quantità di acqua e penetra rapidamente nel cuoio. Ottimi sono l'olio di piede di bue e quello di fegato di merluzzo, solforati.
Dopo mezz'ora di rotazione nella botte le pelli hanno assorbito tutta la sostanza grassa e spremendo una pelle con le mani ne uscirà fuori acqua perfettamente limpida. Sarà questo il segno che l'operazione è riuscita.
Questa forma d'ingrasso è dai chimici del cuoio spiegata come una vera concia: si avrebbe una combinazione del cuoio col grasso. Secondo A. F. Gallun la penetrazione del grasso avviene per la via della carne. Durante l'atto dell'operazione il grasso aderisce superficialmente al lato carne: poi quando le pelli dopo essere stirate si mettono a seccare il grasso penetra nelle fibre lubrificandole. L'assorbimento di sostanze grasse emulsionate per parte del cuoio conciato è un fenomeno che entra nella teoria chimica della concia grassa (v. più oltre).
Rifinitura. - Dopo ingrassate, le pelli subiscono una serie di operazioni, quali il colaggio, l'inchiodaggio, la messa in segatura, il primo ed il secondo palissonaggio, il primo ed il secondo appretto su fiore, la granitura, seguite da diverse lucidature alla macchina.
Le pelli di vitello, di capra, capretto, montone, canguro, ecc., conciate al cromo, sono poi rifinite per tomaie nei modi più diversi tanto in nero quanto in colorato e vengono in commercio sotto nomi speciali imposti dagli Americani, i quali furono i genialissimi perfezionatori della concia al cromo. Così: box-calf; willow-calf; ooze-calf; glacé calf; kid-calf; dongola-calf; dull calf; glacé kid; glove-kid; porpoise-kid; seal-kid, ecc.
Usi del cuoio al cromo. - Il cuoio al cromo ha ridotto al minimo l'uso nelle calzature della tomaia a concia vegetale. Ma ciò dipende più dal minor prezzo di fabbricazione e dall'apparenza più elegante e dalla maggiore leggerezza della calzatura che dalla sua praticità all'uso.
I numerosi esperimenti comparativi, specialmente quelli collettivi fatti durante la guerra, hanno dimostrato la decisa preferenza dei consumatori per la calzatura di cuoio a concia vegetale. Da un'inchiesta del Wilson è risultato che gli sportsmen preferiscono invariabilmente le calzature di cuoio vegetale e che durante la guerra i soldati preferivano le scarpe di questo tipo perché quelle al cromo erano oltremodo fastidiose e causa di dolori e malattie ai piedi. La ragione di questo fenomeno è attribuita alla sensibilità del cuoio al cromo all'umidità atmosferica molto maggiore di quella del cuoio vegetale.
Grave difetto delle tomaie al cromo è quello di ostacolare la traspirazione del piede, per cui specialmente d'estate certe persone non le possono sopportare. Per lunghe marce esse non sono poi consigliabili.
Il cuoio al cromo per tomaie si è largamente introdotto nell'uso comune perché la calzatura risulta più leggiera, morbida, elegante, lucida e facile ad essere ripulita, purché non si adoperino lucidi contenenti acidi. I lucidi o creme per tomaie al cromo sono fatti a base di cera vegetale, pigmenti, essenza di trementina, stearina, ecc. e la loro fabbricazione costituisce un ramo importante d'industria. Dalla bontà di queste creme che non devono contenere sostanze corrosive come acidi, saponi, dipende la conservazione delle calzature di cuoio al cromo.
L'uso della suola al cromo, malgrado la sua leggerezza, non ha ancora trovato applicazione che nella calzatura da sport, estiva da spiaggia, da foot-ball. Nei tempi di pioggia le suole al cromo sono da evitare perché a contatto del suolo umido fanno sdrucciolare chi le calza e inoltre sono molto permeabili. Il cuoio al cromo per la sua resistenza al calore (120°) trova largo impiego anche in applicazioni speciali; per la sua leggerezza ha sostituito molti oggetti di buffetterie militari, che prima erano fabbricati con cuoio a concia vegetale. Inoltre la sua resistenza allo strappamento è superiore a quella del cuoio vegetale. Perciò vanno introducendosi le cinghie al cromo invece di quelle a concia vegetale. Con cuoio al cromo sono oggi fabbricati i cacciatacchetti e i laccioli in genere.
Non tutte le pelli si prestano alla concia al cromo. Per articoli destinati alla calzatura di medio lusso e di lusso le pelli devono essere di ottima provenienza, possibilmente di animali giovani, ben tenuti, ricoverati in stalle e non dimoranti all'aperto, di grana e pelo fini.
Ottimo e bel cuoio al cromo per tomaia si ottiene dalle pelli di vitello (box-calf) e di capretto (chevreau glacé). Ma per calzature di medio prezzo servono ottimamente le pelli di grosso vitello che spaccate in trippa alla macchina a circa 2 mm. dal lato fiore, dànno una pelle che, conciata al cromo può sostituire fino ad un certo punto il vitello ed inoltre lasciano una crosta (parte media ed inferiore del derma) che conciata al vegetale fornisce un'ottima tomaia bianca per calzature da buon mercato.
Il cuoio al cromo è venduto a misura. Questa si pratica mediante macchine speciali che dànno la misura in piedi quadrati inglesi, o in metri quadrati per le pelli grandi. Queste macchine a misurare devono essere frequentemente controllate, facendo passare dei pezzi di pelle campione oppure un foglio di cartone dello spessore di ½ mm. circa e di superficie esattamente conosciuta.
Concia all'allume di rocca (alluda). - La concia all'allume di rocca forma un ramo importante dell'industria conciaria comprendendo la fabbricazione della pelle per guanti. Anni fa il cuoio bianco per finimenti ingrassato, detto maschereccio (fr. hongroyé), aveva un impiego abbastanza largo; ora è passato di moda. Anche i laccioli per cucire le cinghie per trasmissioni non si fanno più con maschereccio, ma al cromo. Per contro nella fabbricazione delle pelli per guanti e nella concia delle pelliccerie l'allume è materia prima conciante principale.
Gli allumi che interessano l'industria della concia sono l'allume propriamente detto (allume di rocca), l'allume di cromo e quello di ferro. I sali veramente attivi sono quelli dei metalli trivalenti e si può impiegare indifferentemente solfato di alluminio o solfato di cromo invece di allume potassico e di allume di cromo, perché il solfato alcalino non ha azione importante se pure ne ha una. La facoltà di combinazione con il collagene della pelle è diversa per i diversi allumi: e se con l'allume di cromo normale si ottiene un cuoio che, come si è detto, resiste all'acqua calda fino a 92°, nel caso dell'allume potassico o allume di rocca il cuoio ottenuto si altera già a circa 65° e aumentando la temperatura la pelle ritorna allo stato di trippa.
Lavorazione industriale. - Per la concia all'alluda per guanterie, le pelli in trippa, ben macerate e purgate, sono messe in botte con una pasta fatta di allume, sale da cucina, farina e giallo d'uovo, ed olio di oliva. Dopo che esse hanno assorbito la pasta, sono poste ad asciugare e poi a maturare durante un mese affinché la concia si fissi. Sono poi inumidite e palissonate, cioè stropicciate a macchina, indi sono stirate, tinte, seccate, ammorbidite con un ferro detto mezzaluna. Le pelli rifinite per suède (scamoscio) si smerigliano leggermente passandole su una ruota con carta o pietra smeriglio; le pelli per glacé sono lucidate con olio e cera; il vitello kid o mégissé è più o meno lavorato nel modo suddetto.
Concia al ferro. - I sali basici di ferro hanno potere conciante; però passano facilmente alla dispersione colloidale prima che abbiano avuto opportunità di combinarsi col collagene col quale, inoltre, hanno scarsa affinità.
Il cuoio al ferro si gelatinizza, ossia si restringe nell'acqua calda a circa 70°. È di colore giallastro e pare che stando a magazzino si alteri, dando luogo a processi di ossidazione che lo danneggiano. Queste incertezze sulla qualità del prodotto, nonostante il minor costo del conciante, fanno sembrare molto dubbio che il cuoio al ferro riesca a sostituire quello al cromo.
Concia all'acido silicico. - L'acido silicico colloidale è caricato negativamente e può precipitare, come il tannino, la gelatina delle sue soluzioni; si pensò perciò di applicarlo come conciante. Secondo Hough, che studiò questo tipo di concia, bisogna impiegare una soluzione cloridrica di silicato sodico. La concia avviene facilmente e pare sia impiegata unitamente alla concia vegetale. Il cuoio alla silice è bianchissimo, ma gli si rimprovera la scarsa durata, dovuta all'azione deteriorante dell'acido sulla fibra del cuoio.
Altri concianti inorganici. - Il cloro e il bromo (Meunier e Seyewetz), il solfo (Apostolo, Thuau), i sali di cerio (Garelli), i sali di zinco, di stagno, i carbonati basici di magnesio (Hell), ecc., sono concianti sia per combinazione sia per giustapposizione fra le fibre. Ma finora non hanno trovato larga applicazione nell'industria.
Concia grassa o all'olio (scamosceria). - Serve per la fabbricazione dei guanti cosiddetti scamosciati, per pelli da pianoforti, per calzature fini da signora, per le cosiddette pelli di daino, ecc. Si usano oltre alle pelli di camoscio, di capriolo, di renna, di cane, specialmente le pelli di montone spaccate in trippa, di cui non si concia all'olio che la parte della carne, mentre col fiore, conciato con sommacco o quebracho, si fanno gli skivers o montoni per fodere da cappelli, legature di libri, portafogli.
La preparazione delle pelli in calce corrisponde a quella delle pelli al cromo. La concia si compie mettendo le pelli in trippa nella gualchiera o follone in cui le pelli intrise di olio di pesce sono sbattute per ore ed ore dai due pistoni del follone. Lo scopo è quello di emulsionare l'olio con l'acqua contenuta nella pelle. L'urto continuato produce anche calore.
Quando le pelli hanno acquistato una certa temperatura si tolgono e si espongono all'aria, si dà un vento, poi si rimettono nel follone e si arieggiano ripetendo l'operazione numerose volte finché l'olio è penetrato. Indi si portano in un calorifero in cui subiscono un'ulteriore ossidazione finché ingialliscono. A questo punto si mettono nell'acqua calda, indi si pressano per far uscire l'eccesso di olio non fissato dalla pelle, detto möellon. Poscia le pelli passano alla sgrassatura che si pratica immergendole in acqua a 35° leggermente alcalina: pressando si ottiene dégras. Le pelli così sgrassate vengono sbiancate e poi lavate, insaponate, di nuovo lavate, poi pressate, seccate, finite.
La concia all'olio si può dire una vera combinazione chimica, perché l'olio durante la lavorazione subisce delle trasformazioni per cui esso si combina tenacemente col collagene e allora i soliti solventi dei grassi, come benzolo, cloroformio, ecc., agiscono sul cuoio scamosciato nel senso di asportare il solo grasso non combinato, mentre rimane quello che è passato allo stato di combinazione col collagene.
Dégras. - Non bisogna confondere il moëllon di scamosceria col dégras di scamosceria e col dégras del commercio.
Il moëllon di scamosceria è costituito, come si è visto, dall'eccesso di olio nella concia grassa e si ottiene torchiando le pelli. Quest'olio provenendo da olî animali a catena non satura è più o meno carico di ossiacidi grassi che si comprendono sotto il nome di degragene, il quale pertanto è la sostanza veramente attiva, che emulsionandosi con l'acqua è facilmente assorbita dalla pelle conciata, formando probabilmente una vera combinazione chimica. Questo moëllon è detto di prima torchiatura e serve specialmente per ingrassare il cuoio per vernice.
Il dégras di scamosceria, o dégras vero, è il prodotto della lisciviatura mediante soluzione alcalina delle pelli provenienti dalla torchiatura. Saturando con acido solforico, l'olio si separa, poi si lava per decantazione, e così è fornito al consumatore.
Tanto il moëllon quanto il dégras vero sono raramente venduti dai fabbricanti, che usano invece preparare il dégras del commercio e venderlo a basso prezzo mescolando al vero dégras, sego, olio di palma, olio di pesce, grasso di lana; questo dégras contiene poco degragene (10-12%) e circa il 20% di acqua. I dégras artificiali non contengono degragene perché sono fatti con olî ossidati, o anche semplicemente emulsionati. L'unico modo di controllare i dégras è l'analisi, ossia la determinazione del degragene.
Il chimismo della concia grassa o all'olio. - Per spiegare questo processo sarà bene ricordare alcuni fenomeni sperimentali.
Il cuoio all'olio, secondo le prime idee di W. Fahrion, fu considerato un sale, o meglio una specie di sale in cui le fibre della pelle parzialmente ossidate avrebbero funzione di base, mentre un acido grasso non saturo, eventualmente in parte ossidato, compirebbe la funzione di acido. Il Fahrion prese come base di esperimento della sua teoria il notissimo cuoio bianco giapponese, che è prodotto secondo un metodo antichissimo. La pelle in trippa viene, durante due a quattro mesi, spalmata ripetutamente di un olio vegetale (olio di colza) e messa al sole; alternando quest'operazione un grande numero di volte il cuoio finisce con l'essere conciato. Questo cuoio analizzato anni fa da J. Paessler era stato definito un cuoio senza sostanza conciante e da G. Eitner un cuoio senza tannini, una specie di pelle in trippa rifinita; cosa molto strana, perché detto cuoio è morbidissimo. Fahrion dimostrò che effettivamente questo cuoio giapponese è leggermente scamosciato e che l'olio funge da sostanza conciante. Difatti facendone l'estrazione con l'etere dal detto cuoio, Fahrion ottenne un olio ossidato, che egli considerò come olio di colza, e confrontandone le caratteristiche chimiche con l'olio di colza ordinario osservò che la sua acidità era aumentata, il numero di iodio diminuito, e notevole la quantità di ossiacidi che invece mancano quasi nell'olio di colza ordinario.
Ma nel cuoio ordinario scamosciato vi sono due sorta di ossiacidi: quelli estraibili con l'etere, ossia liberi, e quelli che Fahrion chiamava legati, estraibili solamente con la saponificazione. Sembrò dunque così accertato che era precisamente la piccola percentuale di ossiacidi combinati (circa l'1%) che produceva la concia, mentre le sostanze grasse estraibili con l'etere, cioè libere, erano quelle che davano la morbidezza.
La pratica tradizionale insegna, però, che da tempo immemorabile si conciarono le pelli per pellicceria mediante l'olio di pesce, forse anche perché quelle popolazioni primitive non avevano altro materiale disponibile e che più l'olio è rancido, cioè acidificato, e meglio lavora. Sostanzialmente il chimismo della concia all'olio sarebbe: 1. saponificazione del gliceride; 2. autossidazione dell'acido grasso a catena con almeno due doppî legami; 3. messa in libertà dell'ossiacido che sarebbe quello che concia. Difatti scamosciando una pelle con l'acido grasso dell'olio di lino, Fahrion ottenne un bellissimo cuoio scamosciato. Il Fahrion crede che l'agente attivo della concia scamosciata comune sia un. acido grasso non saturo detto acido tarpinico, che ha la formula C17H26O2 (Heyerdall) oppure C18H28O2 (Tsujimoto), il quale esiste sia come acido libero sia sotto forma di gliceride nell'olio di pesce marino.
Ora sulla base di queste cognizioni teoriche trasportiamoci nel campo della pratica. Il conciatore all'olio prende le pelli in trippa, le mette nella follatrice o gualchiera insieme con olio di pesce; le folla alquanto tempo producendo imbibizione dell'olio e saponificazione del gliceride; poi espone ripetutamente all'aria ottenendo la trasformazione dell'acido grasso non saturo in ossiacido e perossiacido; in seguito mette le pelli in ambiente temperato. Le pelli scaldano per causa della combinazione del perossiacido con la molecola proteica. Il calore infine produce la lattonizzazione; avvenuta questa, la concia è finita. Allora il conciatore torchia le pelli eliminando l'eccesso di olio non combinato; poi le tratta con soluzioni allungate di carbonati alcalini, tiepide; torchia, ed elimina così gli ossi- e i perossiacidi non combinati (dégras) lasciando intatto il lattone che è combinato con la molecola proteica.
Ma accanto a questa teoria della concia grassa, la quale è suffragata da solidi argomenti sperimentali, come si è visto dalle ricerche di Fahrion, ci sono altre teorie fra cui quella che la concia scamosciata sia prodotta dalla presenza di aldeidi di acidi grassi (Procter), entrando così a far parte della concia all'aldeide.
Queste sarebbero le teorie chimiche della concia all'olio, a cui fa contrapposto la teoria colloidale, secondo la quale la concia all'olio non sarebbe che un fenomeno di adsorbimento. L'olio di pesce si autossida; i prodotti amorfi colloidali risultanti sono adsorbiti dalla pelle formandosi così il cuoio. Il processo chimico serve dunque unicamente per produrre certe speciali sostanze concianti, e quindi il vero processo di concia all'olio si ridurrebbe a un fenomeno fisico).
I cascami.
Il pelo. - Questo che è, si può dire, il prodotto principale nelle pelli ovine, nelle pelli bovine è un vero basso prodotto. Quando non era conosciuto o almeno poco applicato il monosolfuro di sodio come depilatorio nei calcinai, il pelo rimaneva intatto nell'operazione della depilazione, veniva poi raccolto, lavato, seccato e impiegato in cuscini, materassi, coperte, ecc. Ora, invece, coi calcinai al solfuro, il pelo è quasi distrutto, e nell'atto della depilazione è mandato alle fogne.
Carniccio. - È quel residuo di tessuto adiposo che viene dopo il corio e che è levato per mezzo delle macchine a scarnare, o, in qualche caso speciale, dalla mano dell'operaio. Nel carniccio il conciatore usa gettare muso, orecchie, tendini, unghie, nervo della coda e simili. Tutto questo prodotto, ben incalcinato, è consegnato alle fabbriche di colla, le quali fanno la scelta dei diversi materiali. Così con le orecchie, unghie, code, ecc. si preparano le cosiddette gelatine alimentari, mentre col vero tessuto adiposo si fabbrica la colla da falegname o di carniccio.
Residui di scorza, legni e foglie sfruttati. - Sono generalmente utilizzati come combustibile.
Residui della rasatura del cuoio vegetale. - Servono come concime, specialmente per le viti.
Residui della rasatura del cuoio vegetale ingrassato. - Sono sfruttati dai fabbricanti di sapone, che ne estraggono il grasso.
Bibl.: J. Borgman, Die Feinlederfabrikation, Berlino 1901; J. Jettmar, Die Ledererzeugung, Berlino 1901; Puget, Cuirs et Peaux, Parigi 1908; H. G. Bennett, The Manufacture of Leather, Londra 1909; A. M. Villon e Thuau, Fabrication des cuirs, Parigi 1912; V. Casaburi, Concia e tintura delle pelli, Milano 1913; A. Gansser, Manuale del conciatore, Milano 1913; J. Dekker, Die Gerbstoffe, Berlino 1913; J. Jettmar, Kombinationsgerbungen, Berlino 1914; W. Fahrion, Neuere Gerbmethoden und Gerbtheorien, Brunswick 1915; J. Borgman, Die Chromgerbung, Berlino 1920; Harvey, Tanning Materials, Londra 1921; H. Cr. Crockett, Practical Leather Manufacture, Londra 1921; H. R. Procter, Taschenbuch für Gerbereichemiker, Dresda 1921; id., Principles of Leather Manufacture, Londra 1922; A. Rogers, Practical Tanning, Londra 1922; L. Meunier e Vaney, La Tannerie, Parigi 1923; M. C. Lamb, The Manufacture of Chrome Leather, Londra 1923; A. Wagner e J. Paessler, Handbuch für die gesamte Gerberei und Lederindustrie, Lipsia 1924; M. C. Lamb, Leather dressing, Londra 1925; S. A. Wilson, Chemistry of Leather Manufacture, Londra 1928.
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Sviluppo dell'industria.
Col progresso della tecnica e l'introduzione delle macchine nel secolo scorso, l'industria conciaria, già costituita da piccole aziende d'importanza locale, si è andata organizzando sulla base della grande impresa, sviluppandosi in modo particolare in Germania, Francia, Belgio, Inghilterra. Una posizione di primato in Europa acquistava soprattutto l'industria tedesca che, sorta nel centro della zona di produzione chimica, poteva disporre di prodotti tannici e coloranti a buon mercato, utilizzando come materia prima la pelle di vitello, abbondantemente fornita dal mercato interno e da quelli circostanti.
La guerra esercitò una grandissima influenza sull'industria conciaria mondiale. Essa, infatti, provocò sia un accrescimento di capacità produttiva nei maggiori centri manifatturieri, sia lo sviluppo dell'industria in quei paesi già importatori che non potevano più rifornirsi per la difficoltà stessa dei traffici marittimi. L'attività dell'industria conciaria continuò intensa nel periodo immediatamente successivo alla guerra, ma dopo qualche tempo, con la sistemazione dei mercati e col ripiegamento delle esportazioni verso quei paesi che avevano sviluppato un'industria propria, i grandi centri produttori si trovarono ad avere stocks eccessivamente elevati, spesso tali da coprire il fabbisogno di qualche anno. Le difficoltà furono particolarmente gravi negli Stati Uniti, dove a partire dal 1919 si erano andate accumulando enormi quantità di pelli, per la riduzione del numero dei capi allevati, cui andava procedendo appunto allora l'industria del bestiame. Ad aggravare ancor più la situazione, erano intervenute, nella domanda del cuoio, modificazioni veramente notevoli. Il cuoio pesante da suola cedeva in confronto ai cuoi per tipi di calzature molto leggiere; d'altra parte si diffondeva l'uso di tacchi e delle suole di gomma e di altro materiale. Lo sviluppo degli autoveicoli, come si è già detto, riduceva la domanda di finimenti di cuoio, e quello dei motori elettrici, la richiesta di cinghie per trasmissioni. Infine, il nuovo uso di portare scarpe basse sì d'inverno come d'estate e di utilizzare anche tessuti per le tomaie riduceva la domanda dello stesso cuoio per tomaia. Solo nel campo del cuoio per guanti si manifestava già dall'immediato dopoguerra un notevole aumento di consumo. Tutte queste circostanze, di cui alcune transitorie, la maggiore variabilità dei gusti e della moda manifestatasi nel dopoguerra, uno spostamento nelle correnti del traffico, costrinsero l'industria a profonde innovazioni tecniche ed economiche.
Nel campo tecnico, l'industria si è perfezionata per quanto riguarda soprattutto la qualità del prodotto. Circa l'80% del cuoio fabbricato viene oggi assorbito dall'industria delle calzature. La rimanenza è ripartita tra varî usi, principalmente rivestimento di mobili e sedili, finimenti, cinghie di trasmissione, valigerie, guanti ed oggetti fantasia. Le pelli bovine vengono usate principalmente per cuoi da suola, cinghie ed altri prodotti pesanti del genere; le pelli di vitella vengono usate quasi esclusivamente per cuoio di tomaie. Guanti, fodere da scarpe, indumenti di cuoio e molti altri oggetti vengono ottenuti da cuoio di agnello, mentre il capretto viene usato quasi esclusivamente per tomaie da scarpe con una parte piuttosto limitata per guanti e cuoi fantasia.
Nel campo economico, l'industria ha cercato soprattutto di tutelarsi contro la formazione di stocks pesanti, in causa di un cambiamento di moda. Tipica di alcuni paesi, e più specialmente degli Stati Uniti, è stata la partecipazione recente delle grandi case mattatorie e dei fabbricanti di calzature all'industria: la partecipazione delle prime ha avuto scarso successo, forse perché l'abitudine a trattare grandi masse di produzione le rende inadatte a conformarsi ai rapidi spostamenti della domanda; la partecipazione dei secondi è valsa invece spesso a realizzare notevoli economie di gestione e a ridurre l'alea dei repentini mutamenti di prezzo. In Europa, e specialmente in Germania, si sono anche diffusi gli accordi e le combinazioni industriali per l'acquisto delle materie prime e qualche volta per le vendíte. Attualmente gli Stati Uniti, la Germania, l'Inghilterra, la Francia accentrano la maggior parte della produzione mondiale del cuoio (solo gli Stati Uniti circa il 50%), ma l'industria si è anche andata sviluppando nel Belgio, in Italia, in Cecoslovacchia, nel Canada. Il commercio internazionale, che si calcola ammonti a 4 miliardi e 800 milioni di lire circa, è praticato per il 70% circa dai primi quattro paesi produttori:
Gli Stati Uniti importano dagli altri tre paesi soprattutto cuoio per tomaia, foderame, e cuoio conciato greggio, esportano cuoio per tomaia e cuoio verniciato.
Le materie prime per l'industria del cuoio provengono principalmente: pelli di bovini, dall'India, Stati Uniti, Argentina, Cina, Germania, Australia, Inghilterra; pelli di vitello, dalla Germania, Italia, Francia, Australia, Danimarca: pelli di capra e capretto, dalla Danimarca, India, Unione Sudafricana, Argentina, Italia; pelli di pecora e agnello, dagli Stati Uniti, Australia, Inghilterra, Spagna, Danimarca, Cina, Nuova Zelanda, Italia.
L'industria in Italia. - L'industria conciaria italiana, che ha tradizioni remotissime, conta circa 900 stabilimenti con più di 15 mila operai. Le concerie con più di 100 operai sono però solo 27.
L'industria è raggruppata prevalentemente nell'Italia settentrionale. Infatti su 15 mila operai, 11 mila lavorano nelle concerie del Piemonte (Torino, Biella, Bra), della Lombardia (Milano, Varese, Brescia), Liguria (Genova, Savona), Veneto (Verona e Vicenza). Centri conciarî importanti si hanno anche in Toscana (S. Croce sull'Arno, Ponte a Egola, Firenze, Pescia); in Campania (Napoli, Salerno, Avellino); in Sicilia (Acireale, Catania).
Gli stabilimenti producono ogni sorta di tipi di cuoio. La maggior parte (500 circa) produce però cuoio da suola; una quarantina, gropponi per cinghie, cinghie finite, e qualche altro articolo tecnico per tessitura (vacchetta, laccioli), ecc.; una settantina, vacche, vacchette, vitelli e cavalli al cromo per tomaia; un'altra ventina, pelli per carrozzeria e per valigeria, e una sessantina cuoi per selleria; una cinquantina di ditte tratta pelli ovine e caprine; cinquanta, pelli per guanti; venticinque, pelli per pelletterie, e altri oggetti di fantasia. La produzione conciaria, presa nel suo complesso, supera il valore di un miliardo e mezzo di lire all'anno. L'articolo che raggiunge i più alti quantitativi è il cuoio da suole, la cui produzione si può calcolare in quintali 450 mila, con un valore di circa 700 milioni di lire.
Nei riguardi della materia prima, l'Italia ha disponibilità deficienti di pelli di bue, di vacca (produzione nazionale 1 milione di pelli; potenzialità di lavorazione 3 milioni) e di agnello; disponibilità in eccesso di pelli di vitello, di pelli ovine e caprine; il bilancio fra importazione ed esportazione di pelli gregge si chiude però con un deficit di circa 150 milioni di lire annue. Nel campo del conciato, si esportano pelli per guanti e cuoio da suole, per circa 100 milioni di lire annue; si importano però pelliccerie e cuoio fine (verniciato, box-calf, chevreau, marocchini, ecc.) per circa 400 milioni di lire, anche qui con uno sbilancio non indifferente. L'industria nazionale tuttavia cerca di provvedere direttamente alle necessità del mercato interno, ed essa già domina il mercato del conciato per calzature per circa l'85%.
L'esportazione italiana più notevole, quella di cuoio da suole, si dirige verso il vicino Oriente, dove recentemente però ha incontrato qualche ostacolo per il sorgere di industrie locali protette da dazî.
Sostanze concianti vegetali.
Quantunque le specie vegetali che o nelle foglie o nella scorza o nel legno o nelle radici contengono tannino siano numerosissime, tuttavia l'industria ne utilizza non più di una cinquantina. La composizione chimica delle diverse sostanze concianti, a eccezione di pochissime che si sono potute ottenere cristallizzate e quindi pure, è ancora assai incerta. Dal punto di vista industriale, la classificazione chimica delle sostanze concianti più usate, che ha veramente un'applicazione pratica, è quella che divide i tannini in pirogallici e catechici.
I primi, fusi con la potassa, dànno acido pirogallico (pirogallolo) o fluoro glucina
e gli altri invece producono catecolo o pirocatechina
Ma ci sono pure quelli che dànno pirogallolo e catecolo insieme, sicché è possibile formare una lista di tannini, che comincia con un tannino pirogallico tipico (tannino della galla) e finisce con uno catechico anche tipico (quebracho) passando per i tannini misti, cioè che appartengono ad ambedue le serie; classificazione che ha la sua ragione nella pratica della concia vegetale.
Accanto ai tannini vanno considerati i non tannini (sostanze zuccherine, acido gallico, materie coloranti, flobafeni, ecc.) i quali, tutti presenti nelle sostanze concianti gregge naturali, benché non concianti, hanno una funzione nei fenomeni della concia, sia direttamente sia indirettamente, grazie ai prodotti della loro scomposizione idrolitica o biologica.
La nomenclatura, i caratteri fisici e chimici, la struttura della molecola, la preparazione industriale dei tannini saranno trattati a suo luogo. Considerandoli secondo il loro diverso comportamento nel processo di concia, la classificazione più logica dei tannini è ancora quella di Trimble:
Tannini pirogallici: escrescenza Noce di galla; frutti di Dividivi (8% di sostanze zuccherine); frutti di Vallonea (2% di sostanze zuccherine); frutti di Mirabolano; frutti di Algarobilla (8% di sostanze zuccherine); foglie di Sommacco (poche sostanze zuccherine); legno di Castagno (2-3% di sostanze zuccherine).
Questi tannini coi sali ferrici dànno precipitato nero bluastro; con l'acqua di bromo non dànno precipitato; all'ebollizione con acidi diluiti, e anche senza, dànno precipitato pallido di acido ellagico, il cosiddetto fioretto (bloom); alla luce di Wood dànno fluorescenza violetta; non dànno la reazione di Stiasny.
Tannini catechici: scorza di Pino (3-4% di sostanze zuccherine); scorza di Quercia (2-3% di sostanze zuccherine); scorza di Mangrove (molte sostanze zuccherine); scorza di Mimosa (1% di sostanze zuccherine); foglie di Gambier; radici di Canaigre (7% di sostanze zuccherine).
Questi tannini coi sali ferrici dànno precipitato nero verdastro: con l'acqua di bromo in eccesso dànno precipitato; all'ebollizione con acidi diluiti e anche soli, dànno precipitato di sostanze rosse dette flobafeni; alla luce di Wood dànno fluorescenza gialla; trattati con formaldeide ed eccesso di acido cloridrico all'ebollizione dànno, col raffreddamento, un precipitato (reazione di Stiasny).
Le sostanze concianti naturali trattate con acidi diluiti, presentano la reazione al liquido di Fehling, caratteristica per le sostanze zuccherine, prodotte probabilmente dalla saccarificazione delle sostanze amidacee. Per cui, se non tutte, almeno una parte delle sostanze concianti pare esista in natura sotto forma di glucosidi o anche di eteri del glucosio ed E. Fischer è riuscito ad ottenere per sintesi l'acido gallo-tannico, che sarebbe un pentadigalloilglucosio. Si osservi però che certi concianti non contengono quasi sostanze zuccherine. Ma queste cose interessano per ora solamente la chimica organica pura, per quanto la presenza di maggiore o minore quantità di sostanze zuccherine nelle sostanze concianti abbia importanza nel processo di concia, da essa dipendendo la scelta della sostanza conciante da usare per ottenere determinati risultati.
Così per cuoio da suole sono indicati i concianti che contengono sostanze zuccherine o amidacee capaci di trasformarsi per fermentazione in presenza della pelle in acidi organici, lattico, butirrico, acetico. Tali la scorza di pino e di quercia, i frutti di mirabolano, mangrove, dividivi, ecc. Questi acidi producono il gonfiamento della pelle, e quindi aprono la via alle vere sostanze concianti.
Carattere organolettico delle sostanze concianti è l'azione astringente sul palato e secondo essa i vecchi conciatori le avevano empiricamente classificate e destinate ai diversi stadî della concia.
L'effetto astringente sul palato è probabilmente un fenomeno di ionizzazione. Una classificazione in tal senso non esiste; però considerando che le sostanze concianti più astringenti sono quelle che non contengono sostanze zuccherine (il quebracho, tipo dei tannini catechici), e le meno astringenti quelle ricche di sostanze zuccherine (il mirabolano o tannino delle galee, tipo dei tannini pirogallici), Wilson e Kern hanno dato una loro classificazione.
La funzione dei non tannini è ancora oscura. Quantunque essi teoricamente non dovrebbero averne alcuna, pure praticamente hanno la loro importanza e probabilmente molta. È un fatto che col tempo e nell'interno del cuoio parte dei non tannini si trasforma in tannino che è irreversibilmente trattenuto dalle fibre del cuoio, e in questo caso non sarebbero esclusi fenomeni di ossidazione come nel caso del chinone. Questo fatto potrebbe spiegare la ragione della concia del cuoio per suole nelle fosse, e la funzione del tempo, o come si dice della maturazione, nei fenomeni della concia, che, secondo U.-J. Thuau, avverrebbe per opera di zimasi. Qualcuno credette di venire alla conclusione che tutti i tannini devono avere il medesimo potere conciante e che le differenze che si notano nella rapidità di diffusione, nel colore, nell'intensità della concia per opera delle sostanze concianti, provengono dai non tannini, i quali darebbero quindi i caratteri tecnici commerciali del cuoio.
Difatti il cuoio conciato all'acido tannico puro della noce di galla, se chimicamente è cuoio, praticamente non lo è; così pure il cuoio al puro estratto di quebracho, poverissimo di non tannini, che è spugnoso, non industriale. La sostanza conciante o tannino vegetale, viene somministrata alla pelle o quale si trova in natura, cioè come scorza, fruttifoglie, legna, radici, sminuzzati o macinati e poi messi in fusione nell'acqua (concia sistema antico), oppure sotto forma di estratto acquoso più o meno concentrato (sistema moderno). Oramai la concia agli estratti ha soppresso quasi dappertutto l'impiego diretto della scorza, foglie, legni, ecc., tagliuzzati. Qualche conciatore si fabbrica i propri estratti concianti: ma la maggior parte ricorre direttamente ai fabbricanti di estratti.
Estratti concianti.
Verso il 1830 erano stati introdotti nella conceria il pegù e il gambier, estratti preparati da secoli nelle Indie. Nel 1870 si cominciarono a fabbricare in Francia i primi estratti di legno di quercia e di castagno. Nel 1878 venivano introdotti nell'industria gli estratti di quebracho per opera di Dubose, industriale di Le Havre.
Tali estratti assunsero però vera importanza e divennero d'uso generale in seguito ai processi di decolorazione con sangue, dovuti a Gondolo nel 1879, e a quelli di decolorazione e solubilizzazione delle parti resinose in essi contenute, dovuti a Lepetit nel 1896. Più tardi, verso il 1898, s'introdussero per le pelli leggiere i cosiddetti estratti al cromo e nel 1911 (Stiasny) vennero in commercio gli estratti sintetici come il Neradol, l'Ordoval, ecc.
Le piante che forniscono le materie prime per i varî estratti sono: estratti di quercia: Quercus sessiflora Sm., Q. peduncolata Ehrh.; Q. cerris L., Q. pubescens Willd., Q. suber L., Q. coccifero L., Q. ilex L., Q. prinus L., Q. valonea Kotschy; di conifere: Tsuga canadensis Carr. ("hemlock"), Larix decidua Mill., Pinus laricio Poir., P. strobus L., P. halepensis Mill., P. austriaca Tratt.; di castagno: Castanea vesca Gärt; di quebracho: Loxopterygium Lorentzii Griesb.; di acacie (mimosa): Acacia dealbata Link, A. decurrens Willd; di maletto; Eucalyptus occidentalis Endl.; di sommacco: Rhus coriaria L., Rh. cotinus L., Coriaria myrtifolia L.; di mangrove: Rhizophora mangle L.; Rh. mucronata Lam.; di tisera: Rhus pentaphyllum Desf.; di dividivi: Caesalpinia coriaria Willd.; di mirabolani; Terminalia chebula Roxb.; di gambier: Uncaria gambir Roxb.; di pegù: Acacia catechu Willd.; di palmetto: Sabal palmetto R et S.; di lentisco: Pistacia lentiscus L.
Anche le galle, escrescenze che le punture di alcuni cinipidi producono sulla Quercus pedunculHta Ehrh., e la vallonea, cioè le cupole delle ghiande della Quercus aegilops Lin., dànno ottimi estratti.
La preparazione degli estratti per concia ha luogo sminuzzando la materia prima con macchine speciali ed estraendola sistematicamente con acqua bollente in grandi tini di legno o in caldaie cilindriche chiuse disposte verticalmente in serie, chiamate batterie di estrazione. La decozione subisce poi in generale una depurazione chimica, viene evaporata in apparecchi di concentrazione nel vuoto simili a quelli usati nell'industria dello zucchero e ridotta a consistenza sciropposa (25-30° Bé); oppure la concentrazione si spinge fino ad ottenere un estratto molto denso a caldo e che diventa solido col raffreddamento, il cosiddetto estratto secco.
Il valore degli estratti è determinato in base al contenuto in sostanza tannica o tannino assorbito dalla pelle, e dal grado di decolorazione.
La determinazione del tannino ha dato luogo a numerosissimi studî e sin dal 1884 si riunì a Berlino una commissione che elaborava le norme per un metodo internazionale di analisi (Councler, Kathreiner, Löwenthal) basato su una prima titolazione delle soluzioni ottenute da un certo peso delle materie prime, per estrazione mediante permanganato di potassio in presenza di soluzione di carminio e di indaco, e su una seconda titolazione fatta dopo avere messo nella predetta soluzione una certa quantità di polvere di pelle; dalla differenza fra le due titolazioni si desume la quantità di tannino assorbito dalla pelle.
Il metodo venne modificato da una commissione internazionale a Londra, nel 1898, e sostituito col metodo di Procter o del filtro (filter-bell method); esso è basato sulla determinazione del residuo secco di una parte della soluzione conciante tale quale, del peso del residuo della stessa quantità di soluzione filtrata per carta e del peso del residuo di egual quantità di soluzione al quale si fa attraversare uno strato di polvere di pelle posto in un tubo speciale fatto a forma di campana. Queste diverse determinazioni di peso permettono di accertare il quantitativo insolubile, il tannino effettivo assorbito dalla pelle, il non tannino e l'acqua contenuta nella sostanza conciante.
Una modificazione ulteriore del suddetto metodo del filtro, che prese il nome di metodo dello scuotimento (shake method), costituisce ora il sistema d'analisi di carattere ufficiale internazionale. Esso differisce dal precedente, inquantoché invece di far passare un dato numero di centimetri cubi di soluzione conciante attraverso un determinato strato di polvere di pelle, si scuote la soluzione con una certa quantità di polvere di pelle, seguendo norme rigorosamente stabilite.
L'industria degli estratti è localizzata in prossimità delle materie prime: in Italia, Francia e Spagna per gli estratti di castagno, in Iugoslavia per quelli di quercia e castagno, in Argentina per quelli da legno di quebracho, nel Sud Africa per gli estratti di scorza di mimosa.