concedere [pass. rem. concedette; partic. pass. anche conceduto; concesso solo in rima]
Dal punto di vista semantico si può affermare che il verbo ha quasi esclusivamente usi che riscontriamo nel latino concedere.
Il rapporto con il verbo latino (che originariamente valeva " allontanarsi ", " andarsene ", e più tardi venne a significare " cedere " anche nel discorso, ossia " assentire ", " ammettere ", " concedere un'opinione ") è più evidente in luoghi come Pd XXX 22 Da questo passo vinto mi concedo (per il testo, cfr. Petrocchi, ad l.), e Cv I v 14 concedesi esser più bello [il sermone], più virtuoso e più nobile: " riconosco " di essere vinto da questo passo, nel primo caso, e " si è d'accordo " nell'ammettere che il discorso sia più bello; nel secondo. E così in Pd XXIX 44 la ragione... / non concederebbe che ' motori / sanza sua perfezion fosser cotanto (per il testo, cfr. Petrocchi, Introduzione 248).
Un altro significato del latino concedo ha il verbo in D.: quello di " accordare ", " dare ", " lasciare ". In questo caso esso è più frequente al passivo che all'attivo: cfr. If XXIX 11 (lo tempo è poco omai che n'è concesso), Cv III XIII 8 (grande parte del suo [della filosofia] bene a l'umana natura è conceduto). In Pd XVI 143 il verbo è attivo, ma l'oggetto non è rappresentato da una cosa, come di regola, ma da una persona: se Dio t'avesse conceduto ad Ema / la prima volta ch'a città venisti (per il testo, cfr. Petrocchi, ad l., e Introduzione 276): così esclama Cacciaguida, riferendosi a Buondelmonte, e vuol dire: se Iddio ti avesse fatto cosa del fiume Ema, se fossi annegato in esso, allorché primamente venisti a Firenze. In If XVII 42, infine, più che " accordare ", il termine varrà, " prestare ", " offrire "; Gerione infatti è pregato che ne conceda i suoi omeri forti.
Un interessante trapasso semantico si ha dal senso di " accordare " a quello di " affidare ", che troviamo in Pd XXVII 49 le chiavi che mi fuor concesse: le chiavi, simbolo della potestà papale, furono non solo " assegnate " a s. Pietro, ma " affidate " a lui, perché le custodisse e ne fosse garante. Questa occorrenza ci presenta l'unico uso del verbo estraneo al latino classico concedo, ma che nel latino medievale non era impossibile.
Molto più numerose sono le occorrenze in cui il verbo significa " permettere ", " lasciare ", alternando, come in altri casi, il costrutto attivo a quello passivo; all'attivo reggerà una frase oggettiva, o un congiuntivo, o un infinito sostantivato, o anche un nome di cosa; analogamente, al passivo potrà avere come soggetto un nome, una frase soggettiva o un infinito. Esempi del verbo seguito dal congiuntivo sono in If III 72, V 119, Pd XXV 55; in Pd V 116 e VI 89, invece, è seguito da una frase oggettiva; in Pd XXI 54 (colei che 'l chieder mi concede) l'infinito è adoperato come sostantivo; in If II 31 (Ma io, perché venirvi? o chi 'l concede?) ‛ il concede ' equivale a " concede ciò ", e dunque " concede il venirvi " più che " di venirvi ". In Cv I V 10 quasi un ablativo assoluto, Dio concedente, che ha valore ipotetico: " se Iddio me lo concede " (e cfr. la nota del Busnelli). In due passi consecutivi della Vita Nuova si hanno tre esempi del verbo usato con questo significato, ma al passivo, e con soggetti rappresentati da sostantivi: con ciò sia cosa che a li poete sia conceduta maggiore licenza (XXV 7), e se alcuna figura o colore rettorico è conceduto a li poete, conceduto è a li rimatori (§ 7). Più spesso, quando il verbo è usato al passivo, ha come soggetto una frase complementare diretta, sia essa al congiuntivo (come in Cv I XII 11, e in Fiore CXV 6) o all'infinito (come in Cv I II 3 e 13). In Cv I II 12 infine (per necessarie cagioni lo parlare di sé è conceduto) abbiamo un uso corrispondente a quello di Pd XXI 54, perché soggetto del verbo è un infinito sostantivato.