greca, comunità
La comunità greca italiana (➔ minoranze linguistiche) è distinta in due aree: quella salentina (nella provincia di Lecce) e quella calabrese (nella provincia di Reggio Calabria). Le zone geografiche in cui queste comunità sono stanziate sono note come Grecìa Salentina e, rispettivamente, Bovesìa. La Grecìa Salentina consiste (2010) di nove comuni: Calimera, Castrignano dei Greci, Corigliano d’Otranto, Martano, Martignano, Sternatìa e Zollino (dove la varietà alloglotta è ancora piuttosto vitale), Melpignano e Soleto (dove invece ha sofferto di un’irrimediabile riduzione del numero di parlanti). La Bovesìa comprende le località aspromontane di Bova, Condofuri, Gallicianò di Condofuri, Roccaforte e Roghudi (ma, un tempo, anche altri paesi), le cui comunità grecofone sono oggi in parte migrate nei centri di Bova Marina e Reggio Calabria.
Le denominazioni tradizionali delle varietà di greco parlate da queste comunità sono, rispettivamente, greco-otrantina (o greco-salentina) e greco-calabrese (o greco-calabra, spesso anche bovese). Entrambe sono chiamate anche grecaniche, romaiche o greco-italiote. Tali ultime denominazioni sono però oggi in disuso: il termine grecanico si usa più specificamente in riferimento all’area calabrese, mentre per le varietà salentine ha preso piede la designazione locale di griko (o grico), oggi la più conosciuta e la più usata.
Le più antiche testimonianze sulle colonie greche d’Italia sono costituite da notizie frammentarie risalenti alla fine del XIII e del XIV secolo. La questione dell’origine delle comunità grecofone d’Italia si pose tuttavia nella prima metà dell’Ottocento divenendo rapidamente molto dibattuta e controversa.
Negli stessi anni in cui venivano pubblicati i primi studi sul greco-calabro (Pellegrini 1880), Giuseppe Morosi, curando una raccolta di canti in griko (Morosi 1870), concludeva sostenendo un’affinità tra queste parlate e il greco moderno e proponendo così un’ipotesi che fu poi ripresa da molti studiosi. Tra questi in particolare Oronzo Parlangeli (1953), in risposta all’opera di Gerhard Rohlfs (Rohlfs 1933), riproponeva l’ipotesi di un’origine magno-greca (su tutta la questione cfr. P. Parlangeli 2007).
Considerando le diverse condizioni in cui dev’essersi svolta la colonizzazione di queste aree, altri hanno invece ipotizzato che elementi bizantini si siano innestati su una preesistente matrice magno-greca, in un’Italia meridionale interessata da forme di antico bilinguismo. È oggi generalmente accettato che, almeno nell’area salentina (ma probabilmente anche in quella calabrese), il greco fu introdotto solo in epoca bizantina.
Mancano quasi del tutto studi fonetici sulle attuali condizioni di ➔ variazione diatopica delle varietà greche (limitatamente al sistema fonetico del griko, si veda Romano & Marra 2008, che contiene anche considerazioni sul greco-calabrese).
Il consonantismo delle parlate greche italiane si discosta talvolta considerevolmente da quello del greco moderno (e, naturalmente, del greco antico). In alcune varietà, come quella di Calimera, il griko si caratterizza per una doppia serie di occlusive /p t k/ e /b d g/, soggette a neutralizzazione di sonorità se scempie e intervocaliche (tranne /b/ che è quasi sempre lunga). Le occlusive sorde in posizione forte (geminate o in nessi di liquida + consonante), soprattutto nelle varietà calabresi, sono soggette ad ➔ aspirazione, mentre pronunce del tipo [ð] e [ɣ] esistono in Bovesìa per /d/ e /g/ (a Bova la desinenza verbale greca -éuo presenta la resa alternativa -éo/-éggo contro quella tipica di Gallicianò, -é[ɣ]o). A queste si aggiunge la cacuminale /ɖ/, tipico contrassegno dei dialetti italo-romanzi meridionali estremi (➔ meridionali, dialetti; ➔ siciliani, calabresi e salentini, dialetti), che compare sempre geminata, ad es. nei suffissi diminutivi trascritti usualmente -èddha, -ùddhi.
Un’opposizione stabile è quella tra due coppie di affricate, le dentali /ʦ ʣ/ (intrinsecamente lunghe tra vocali) e le postalveolari /ʧ ʤ/ (scempie o geminate). I salentini che ne imparano la pronuncia dallo scritto confondono tuttavia /ʦ/ e /ʣ/ e realizzano talvolta con [ʦ] le desinenze verbali in -izzo (per es., realizzo). Queste ultime hanno invece una pronuncia variabile in Bovesìa (con una resa fricativa [z] a Roghudi), dove sono presenti non solo le fricative sorde /f s ʃ/ e la fricativa sonora /v/, ma, sia pure con una distribuzione ristretta e in opposizioni soggette a neutralizzazione, anche la velare sorda /x/. La fricativa interdentale sorda greca /θ/, conservata soprattutto nel bovese settentrionale, ha avuto più esiti: si è confusa con /f/ nei nessi con altra consonante, oppure si è evoluta dando /t/ o /s/ a seconda delle parole e del dialetto; per es., ha dato spesso /t/ a Bova e Martignano e /s/ a Gallicianò e Calimera, come in lisàri / litàri / lithàri «pietra».
In tutte le varietà si ritrovano infine /r l/ e /m n ɲ/, con varianti combinatorie davanti a consonante. È però attestata anche una laterale palatale /ʎ/ (che ha diffusione limitata e si alterna con /j/, come in ìglio / ìjo «sole»).
Altre caratteristiche da segnalare sono: la geminazione consonantica (interna, come nella coppia minima kanò «(io) basto» - kannò «fumo», o iniziale, come in ttèni «pettine») e la diffusione, in alcune varietà, di nessi come /kl/ o /fʧ/ (ad es., bovese às[kl]a «scheggia», è[fʧ]ero «vuoto»).
Il sistema vocalico a cinque elementi /i ɛ a ɔ u/ corrisponde ai sistemi del greco moderno e delle varietà romanze circonvicine, e presenta restrizioni per le vocali di media apertura in posizione non accentata.
Quanto alle caratteristiche lessicali, si possono osservare le seguenti corrispondenze: gr. mod. adelfós / aderfós «fratello», augó «uovo», kerós «tempo (meteorologico)», chimónas «inverno» contro griko aderfò / adreffò, agguò, cerò, scimòna e bovese aderfò, agguò, k(i)erò, chimòna. Oltre che in qualche suggestivo fossile linguistico, tracce di greco classico (presenti tra l’altro in alcune radici arcaiche) sono visibili (secondo Rohlfs 1933) nel mantenimento dei nessi -mp- e -nt- come in griko pente «cinque» (gr. mod. pénte [ˈpɛndɛ]) e nei termini per «sì» e «no» (gr. mod. óchi [ˈɔçi] e ne [nɛ]), in griko rispettivamente ùmme e deje / dènghie.
Per il lessico comune a queste parlate e ai dialetti romanzi sono state segnalate voci di antica origine (diretta o mediata dal latino) presenti in tutta l’area, come griko (a)rùddha «aiuola», feddha «fetta», pila «vasca di pietra, truogolo». D’altra parte sono numerose le voci dei dialetti romanzi circostanti che mostrano un’origine greca, ad es., caùra «granchio», cuccuàscia «civetta», malòta «scarafaggio», sita «melagrana» (griko rudi), cotrubbo «contenitore per aridi». Infine, c’è da dire che numerosi prestiti romanzi sono presenti nei racconti e nei dialoghi in griko raccolti da vari autori: tristo «cattivo (di persona)» o fiakko «cattivo (di cibo)», eskiamèo «gemo (di animale)», kùkkio «vicino» (agg.), sordu «soldo»; e riguardano anche parole funzionali o segnali discorsivi: (se)kundu «come», puru «pure», pròbbio «proprio».
Riguardo alla morfologia, queste varietà conservano in genere quattro casi e un numero ridotto di desinenze (vista anche la perdita delle consonanti finali) di una declinazione in cui sono marcati il genere maschile, femminile e neutro, e il numero singolare e plurale (non duale).
Mentre l’articolo mantiene forme diverse solo per alcuni dei quattro casi residui, gli aggettivi si raggruppano in due classi, evidenti solo in pochi casi, ma che talvolta permettono di distinguere le due macroaree linguistiche, come nel caso di griko varèo / bovese varìo «pesante». Nella morfologia verbale è notevole la diversa uscita di alcuni verbi, come griko agapò / agapào ~ bovese gapào «amo» (O. Parlangeli 1953: 44).
Nella sintassi sono da notare l’assenza dell’➔infinito (comune alle lingue dell’area balcanica) e le modalità di resa del ➔ futuro, del ➔ periodo ipotetico e della perifrasi incoativa.
A titolo d’esempio, si osservi la differenza tra, da una parte, il bovese [ˈiçɛ tɛˈɖːaðɛ mu], con forma verbale impersonale, il calabrese (nd)avìva li mi sòru e il gr. mod. ítan i adélfes-mu (tutti significano «aveva le mie sorelle») e, dall’altra, l’italiano c’erano le mie sorelle; oppure tra il bovese [ˈɛxɔ na plaˈtɛsːɔ], il calabrese aju mi parru e il gr. mod. prépi na milíso (tutti significano all’incirca «ho che parlo»), contro l’italiano devo parlare.
La conclusione cui giunge Katsoyannou (1995), in base a esempi come questi, è che il greco d’Italia è molto più vicino alle varietà romanze che al greco moderno, così come le varietà romanze di queste aree sono più vicine alle varietà alloglotte che alle altre varietà italo-romanze. Si profila in questo modo un’unità areale del patrimonio linguistico e culturale di questi territori, al di là delle rivendicazioni ideologiche di pochi entusiasti.
Indagini condotte negli anni Settanta del Novecento (cfr. Albano Leoni 1979) descrivono comunità che, a differenza del passato, si presentano schiettamente plurilingui e sono spesso caratterizzate da una commistione di codici, tra i quali dominano le varietà romanze, mentre sono scarsi i riferimenti al greco moderno (cfr. Sobrero & Miglietta 2005).
Infatti, se all’inizio del Novecento molte di queste comunità erano ancora a maggioranza grecofona, negli anni Cinquanta-Sessanta un numero crescente di famiglie è passato all’uso delle varietà romanze o dell’italiano. Nel 1964 (Spano 1965: 162) in Grecìa si registravano circa 20.000 parlanti di greco, pari al 52% della popolazione. Invece, in Bovesìa, su un totale di circa 4000 parlanti, a Bova e a Roghudi parlava grecanico il 56% della popolazione, a Roccaforte e a Condofuri meno del 30% e nel nuovo nucleo di Bova Marina, già meta di migrazioni dalle altre località, la percentuale di grecofoni raggiungeva appena il 13%.
Pertanto, le parlate greche d’Italia sono oggi tra le lingue che, nelle stime dell’UNESCO, risultano seriamente minacciate di estinzione. Il numero dei parlanti, secondo varie fonti, si è infatti ridotto a circa 13.000. Per la Grecìa i risultati dell’unico censimento disponibile (2009) confermano queste cifre. Indagini condotte nella Bovesìa restringono complessivamente al 9% della popolazione il numero dei parlanti potenziali. Se questi dati sono attendibili, almeno per quanto attiene alla conoscenza passiva, è verosimile che riguardo alla competenza attiva e all’uso reale le cifre siano anche più basse.
In risposta a questo scenario di progressivo declino, negli ultimi anni si vanno costituendo vaste basi di dati linguistici: un’iniziativa meritoria in quest’ambito è quella dell’Università di Patrasso, che ha portato alla realizzazione della base di dati sonori The graecanic lexicon (con registrazioni raccolte per lo più in Bovesìa; cfr. Romano & Marra 2008).
D’altro canto, Profili (1996) sottolinea come la situazione delle due aree sia piuttosto differenziata. In Bovesìa, infatti, molti paesi già grecofoni sono stati abbandonati per nuovi insediamenti o comunque hanno registrato una forte emigrazione da parte delle giovani generazioni. La Grecìa Salentina invece, trovandosi in un’area pianeggiante, intensamente popolata e collegata relativamente bene con il capoluogo e i comuni circostanti, è stata al centro di un notevole sviluppo economico, turistico e culturale: si sono così create le condizioni per un rilancio della trasmissione del griko da una generazione all’altra.
Nell’ultimo decennio, grazie anche alla legge di tutela delle minoranze 482/1999 (➔ legislazione linguistica), il patrimonio linguistico e culturale di queste aree è stato oggetto sia di campagne di recupero condotte da operatori e associazioni culturali locali sia di sforzi di sensibilizzazione delle comunità locali da parte delle amministrazioni e di istituzioni di governo.
Queste iniziative hanno effettivamente giovato al rinvigorimento delle parlate alloglotte in alcune famiglie: queste parlate, marchiate per decenni come stigma d’inferiorità culturale e di sottosviluppo, hanno cominciato a essere sentite, almeno da una parte della popolazione, come foriere di importanti elementi identitari per l’innanzi latenti o repressi (Romano & Marra 2008).
Anche le scuole della Grecìa Salentina si adoperano per l’insegnamento del griko e per il recupero del patrimonio culturale connesso. Tuttavia, come effetto dell’opinione diffusa secondo cui è ormai inutile rianimare il griko, ed è invece più importante recuperarne la cultura, nelle ore previste per l’insegnamento della lingua si trattano in realtà per lo più argomenti legati alla poesia, alla musica, alla danza e alle tradizioni popolari.
Sebbene l’opera di rivalutazione comprenda iniziative di una certa risonanza, le opinioni degli abitanti circa la vitalità delle varietà alloglotte sono negative (Romano & Marra 2008). I considerevoli sforzi di valorizzazione del greco in queste comunità non paiono, per varie ragioni, aver raggiunto i risultati desiderati. Restano inoltre irrisolti alcuni problemi tecnici, come la scelta della grafia e, soprattutto, della varietà da standardizzare: una koinè o una variante più prestigiosa? Dato l’arroccamento localistico delle singole comunità, non è facile individuare uno standard che si possa impiegare a livello sovralocale. Quanto alla grafia, sin dalle prime raccolte di testi di fine Ottocento ne è stata usata una a base latina che, con l’estensione di poche convenzioni concordate, si adatterebbe senza difficoltà a tutti gli usi; ma anche in quest’ambito non si è ancora trovato un accordo.
Morosi, Giuseppe (1870), Studi sui dialetti greci della Terra d’Otranto, Lecce, Editrice Salentina (rist. anast. 1969).
Pellegrini, Astorre (1880), Il dialetto greco-calabro di Bova, Torino, Loescher (rist. anast. Bologna, Forni, 1970).
Albano Leoni, Federico (a cura di) (1979), I dialetti e le lingue delle minoranze di fronte all’italiano. Atti dell’XI congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Cagliari, 27-30 maggio 1977), Roma, Bulzoni.
Katsoyannou, Marianne (1995), Le parler grico de Gallicianò (Italie): description d’une langue en voie de disparition (Thèse de doctorat), Paris, Université de Paris VII.
Parlangeli, Oronzo (1953), Sui dialetti romanzi e romaici del Salento, Milano, Hoepli, pp. 93-118 (rist. anast. Galatina, Congedo, 1989).
Parlangeli, Paola (2007), Note per la storia del griko, «Studi linguistici salentini» 31, pp. 5-89.
Profili, Olga (1996), Programme d’études de cas concernant la prise en compte des minorités au plan des politiques et actions cuturelles. La situation des communautés linguistiques grécophones en Italie (Calabria et Salento), Strasbourg, Conseil de l’Europe.
Rohlfs, Gerhard (1933), Scavi linguistici nella Magna Grecia, Roma, Collezione Meridionale.
Romano, Antonio & Marra, Piersaverio (2008), Il griko nel terzo millennio. ‘Speculazioni’ su una lingua in agonia, Parabita, Il Laboratorio.
Sobrero, Alberto A. & Miglietta, Annarita (2005), Politica linguistica e presenza del grico in Salento, oggi, in Lingue, istituzioni, territori. Riflessioni teoriche, proposte metodologiche ed esperienze di politica linguistica. Atti del XXXVIII congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana (Modena, 23-25 settembre 2004), a cura di C. Guardiano et al., Roma, Bulzoni, pp. 209-226.
Spano, Benito (1965). La grecità bizantina e i suoi riflessi geografici nell’Italia meridionale e insulare, Pisa, Libreria Goliardica.