francoprovenzale, comunità
Sul versante italiano, la comunità alloglotta francoprovenzale interessa tre regioni, la Valle d’Aosta e il Piemonte, provincia di Torino (cfr. fig. 1), e la Puglia (due comuni in provincia di Foggia), per un totale di circa 187.000 abitanti. La popolazione della zona francoprovenzale valdostana consta di 118.000 abitanti circa, distribuita in 71 comuni sul totale di 74 della regione, che comprende anche tre comuni walser (➔ walser, comunità). In provincia di Torino, l’area francoprovenzale comprende 43 comuni di otto vallate alpine: Val Sangone, Val di Susa (media e bassa valle), Val Cenischia, Valle di Viù, Valle di Ala, Val Grande, Val Locana, Val Soana, per un totale di poco più di 68.000 abitanti.
Va precisato che i dati qui riportati per il Piemonte (Allasino et al. 2007: 5-6) provengono dall’elenco ufficiale dei comuni riconosciuti come appartenenti alla minoranza francoprovenzale l’11 aprile 2005, in base alla legge 482 del 1999 (altri potrebbero essersi aggiunti in tempi successivi). Di fatto, i comuni appartenenti storicamente all’area francoprovenzale sono 52, mentre quelli che hanno deliberato l’appartenenza alla minoranza in questione sono 43, di cui 5 non appartenenti all’area linguistica francoprovenzale. È forse legittimo ipotizzare che, essendo il francoprovenzale ormai scomparso in diverse realtà, alcuni comuni (14 per la precisione, tutti concentrati nella bassa Valle di Susa) non vi si riconoscano più e non siano stati motivati a dichiararsi come appartenenti a una minoranza linguistica. Un calcolo approssimativo della consistenza numerica della popolazione dei 52 comuni (escludendo quelli che non ne avrebbero titolo) determinerebbe un totale di poco meno di 80.000 abitanti, risultato che non si discosta in maniera sensibile dai 77.250 abitanti riportati in Telmon (1982: 34).
Mentre per la Valle d’Aosta la delimitazione territoriale risulta essere netta, per il Piemonte non è sempre facile individuarne i confini meridionali e orientali, soprattutto all’imbocco delle valli. Il territorio francoprovenzale si estende sulle due regioni senza soluzione di continuità, se non quella derivante dai confini amministrativi. In provincia di Foggia, il francoprovenzale sopravvive in due ➔ isole linguistiche: i comuni di Faeto (700 abitanti circa) e di Celle di San Vito (200 abitanti circa). La comunità alloglotta francoprovenzale consterebbe quindi in totale di circa 200.000 abitanti.
Nelle Alpi, la latinizzazione delle Gallie oltrepassò lo spartiacque che separa il bacino del Rodano da quello del Po e dei suoi affluenti, facendo sì che le parlate del territorio montano compreso tra il colle di Tenda e il Monte Rosa non si ricollegassero alla latinizzazione che dette luogo al piemontese ma a quella che originò la lingua d’oc e il francoprovenzale. La tracimazione delle varietà galloromanze sul versante orientale delle Alpi determinò un continuum geolinguistico che accomuna popolazioni al di qua e al di là della catena montuosa di confine.
L’origine di questa situazione risale al periodo stesso in cui si formarono le varietà neolatine. Una data significativa è il 575, quando Gontranno, re merovingio di Borgogna e d’Orléans, dopo aver respinto i Longobardi dalla Provenza, stava preparando una nuova offensiva militare. Giunti a una negoziazione, i Longobardi riconobbero l’autorità dei Franchi sulla Valle d’Aosta, sulla Valle di Susa e su tutte le alte valli del Po e dei suoi affluenti fino al colle di Tenda. La feudalità sancì l’esistenza di questo stato di cose, e Casa Savoia, sin dall’inizio della sua dinastia, gettò le basi di uno Stato regnante sui due versanti delle Alpi.
Tale situazione si protrasse fino al 1860-1861, con l’annessione della Savoia alla Francia e la successiva Unità d’Italia, quando la barriera delle Alpi occidentali, considerata come frontiera naturale, divenne confine di Stato. L’esistenza del francoprovenzale in Valle d’Aosta e nelle valli del Piemonte alpino fino a quella più meridionale, la Val Sangone, a ovest di Torino, è dunque il risultato di un lungo percorso storico e si inserisce in un contesto più ampio di regioni appartenenti storicamente allo stesso gruppo linguistico sotto il tetto del francese, prime fra tutte quelle limitrofe: Savoia, Alta Savoia e Vallese romando.
Diversa è la situazione di Faeto e Celle. Secondo l’ipotesi più accreditata, l’origine di queste due colonie sarebbe da ricondurre allo stanziamento di truppe francesi da parte degli Angioini. Nel 1269, Carlo I d’Angiò inviò un distaccamento di soldati a presidiare il centro fortificato di Crepacore e concesse poi loro di insediarsi nel vicino Casale di Crepacore e nel territorio circostante. Verso il 1340, in concomitanza con la ripresa delle ostilità interne alla casata degli Angioini e in seguito contro gli Aragonesi, una parte cospicua degli abitanti del casale si trasferì nella località dove sorge oggi Faeto, mentre i rimanenti occuparono il territorio dell’attuale Celle.
La patria d’origine di questi coloni è stata collocata sulla base dell’analisi comparata dei tratti linguistici, prima da Melillo (1959) con dati sincronici e successivamente da Schüle (1978) con dati diacronici, a est di Lione, in una zona che comprende la parte occidentale del Delfinato e del dipartimento dell’Ain.
Il francoprovenzale può essere definito come un proto-francese, cioè un francese molto arcaico e primitivo, che si è separato dalla lingua d’oïl verso la fine dell’epoca merovingia o l’inizio di quella carolingia, e si è localizzato lungo l’asse Lione-Ginevra. Esso presenta una notevole frammentazione e differenziazione locale.
Ciononostante, si possono individuare tratti che consentono di ricondurre le numerose varietà dialettali a una matrice comune, come mostrano due esempi che trovano puntuale riscontro nei dati a disposizione. Il primo riguarda la palatalizzazione di ‹c› del latino seguito da ‹a›, come nel caso dei continuatori di campu «campo»: [ʦã] (alta Valle d’Aosta), [ʧamp] (bassa Valle d’Aosta e Val Soana), [ʧam / ʧamp] (alta Valle dell’Orco), [ʧantə] (Faeto). Il secondo tratto riguarda le designazioni dei giorni della settimana: contrariamente all’italiano che fa riferimento, per «venerdì» ad es., al latino veneris dies «il giorno di Venere», il francoprovenzale presuppone un costrutto dies veneris: [dəˈvɛ̃dro] (Valle d’Aosta); [diˈvendo] (Val Soana); [diˈvɛndru] (Noasca e Ceresole); [dəˈvɛndrə] (Faeto e Celle). La Valle d’Aosta può essere divisa in due macro-aree linguistiche, coincidenti rispettivamente con il settore occidentale e quello orientale della regione, separate da una zona di transizione. L’alta Valle, confinante con la Savoia e il Vallese romando, presenta tracce rilevanti dell’influenza dei patois savoiardi e vallesani. Anche il capoluogo Aosta è stato centro di irradiazione linguistica per il francese, lingua di cultura che oggi gode dei crismi dell’ufficialità (➔ francese, comunità). La bassa Valle, che si trova all’estremità orientale dell’intero territorio francoprovenzale, da un lato si presenta come l’area più conservatrice, con i tratti più arcaici, e dall’altro, per ragioni di contiguità territoriale e per i più fitti rapporti commerciali, ha risentito dell’influenza del piemontese. Un esempio che rispecchia in modo evidente questa situazione è rappresentato dalle designazioni della volpe. Il francese antico conosceva il tipo lessicale goupil (< lat. pop. vulpiculus), che venne soppiantato a partire dal XIII secolo da renard, grazie ovviamente al successo del Roman de Renart, il cui protagonista è una volpe particolarmente astuta. Attualmente, l’alta Valle presenta il tipo [rɛiˈnar], sul modello francese, mentre la bassa Valle ha conservato l’antico [gorˈpøj]. Il mirtillo nero, per es., è chiamato [ˈlufjə] nell’alta Valle, [brəˈvako] nella bassa Valle e [ãbroˈkalːə] nella zona intermedia.
Sul versante piemontese, è da notare la compresenza di aspetti morfologici che rispecchiano tratti propri del francoprovenzale ed elementi peculiari, perlomeno nel territorio al di qua delle Alpi, che trovano riscontro in area occitana o provenzale alpina. Il francoprovenzale prevede una doppia desinenza per i verbi continuatori della coniugazione latina in -are, a seconda che il tema presenti un contesto palatalizzante oppure no: questa opposizione, pressoché regolare nelle regioni d’Oltralpe, sopravvive nelle valli piemontesi in alcuni comuni, mentre negli altri si è generalmente neutralizzata. Nelle parlate dell’alta Valle dell’Orco e della Val Soana, si ha [ʧanˈtaʀ] «cantare» che si oppone a [minˈʤiʀ] «mangiare» (< lat. manducare); la doppia serie riguarda anche altri comuni più conservatori, per es., quelli della Val Cenischia. Il fenomeno è ancora presente in aree della Valle d’Aosta e a Faeto e Celle ([ʧanˈta] opposto a [mənˈʤijə]). Nei dialetti della Valle dell’Orco, ma non solo, si sono conservate certe consonanti in finale di parola, sia nella flessione verbale che nella formazione del plurale di sostantivi ed aggettivi. È il caso di s nelle desinenze verbali della seconda persona sia singolare che plurale: [ˈʧantes] «tu canti», [ʧanˈtades] «voi cantate»; s è anche la marca del femminile plurale: [fjur] «fiore», plur. [fjurs]; [ˈʧivra] «capra», plur. [ʧiˈvres].
Per quanto attiene alle isole linguistiche di Faeto e Celle, è interessante evidenziare i fenomeni linguistici che le collegano alla zona d’origine. Tra gli esempi citati da Schüle (1978: 137-138) per Faeto, tratti da antiche attestazioni, si hanno:
(a) [lej] o [leje] «latte»: lo stesso tipo lessicale, dal latino lacte, si trova nella parte occidentale dell’area francoprovenzale, mentre in quella orientale si attestano i derivati di *lacticellu [laˈsːe] o [liˈʦe];
(b) [arːuˈtːa] «cullare», continuatore di *crottare, ha un corrispondente in [groˈta] attestato a est di Lione;
(c) [ˈtrerə] «mungere»: la zona di traire occupa la parte centrale dell’area francoprovenzale, a nord della linea che delimita il territorio dove sono sopravvissuti i derivati di mulgere.
Tratti lessicali di questo genere hanno permesso di isolare, con relativa precisione, il luogo di provenienza delle due colonie del foggiano.
Dal punto di vista sociolinguistico, la comunità francoprovenzale valdostana è caratterizzata, perlomeno dopo l’Unità d’Italia, da una situazione di quadrilinguismo. Il francoprovenzale, come si è detto, ha risentito nell’alta Valle dell’influenza delle parlate d’Oltralpe e nella bassa Valle di quella del piemontese, che in alcune località del fondovalle, come Pont-Saint-Martin e Verrès, ha soppiantato quasi completamente il patois nel gradino basso del ➔ repertorio linguistico.
Il piemontese, essenzialmente nella sua varietà canavesana ma anche torinese, si è affermato in Valle d’Aosta, oltre che per ovvie ragioni di contatto linguistico lungo il confine con il Canavese, attraverso il piccolo commercio, mercati, fiere e l’industria. Se verso fine Ottocento e inizio Novecento il piemontese aveva acquistato prestigio in Valle a tal punto che qualcuno, con un certo allarmismo, iniziava a parlare di vera e propria invasione, le dinamiche sono via via mutate, e l’italiano ha guadagnato sempre più terreno.
Francese e italiano sono lingue di cultura, entrambe ufficiali, anche se il predominio del secondo sugli altri codici è evidente: esso viene anche usato come koinè tra parlanti patois qualora sorgano problemi di intercomprensione. Le situazioni di diglossia più frequenti si verificano tra francoprovenzale e italiano, e l’italiano è la lingua che determina il maggior numero di interferenze, sia a livello lessicale che morfosintattico, mentre solamente i parlanti più colti attingono al francese per quanto riguarda ad es. la sfera dei neologismi. Relativamente alla ripartizione dei domini, l’italiano risulta godere di una posizione predominante ed è presente in tutte le situazioni comunicative, con preponderanza in quelle formali e ufficiali, mentre quelle informali vedono la prevalenza del francoprovenzale; quest’ultimo tuttavia riesce a ricavarsi spazi anche a livello politico-amministrativo, per es., in diversi consigli comunali e in altri contesti più o meno ufficiali a livello di comunità sia locale che regionale. Il francese è relegato ad ambiti limitati, mentre il piemontese si pone nella bassa Valle come diretto concorrente del patois. Va poi considerata come a sé stante la città di Aosta, con circa 35.000 abitanti, che fa registrare una forte dominanza dell’italiano e una relativa marginalità del patois.
Nelle valli francoprovenzali del Piemonte sono compresenti tre diversi sistemi linguistici, con prevalenza oggi dell’italiano e del piemontese, che per secoli ha esercitato la sua influenza come lingua di prestigio legata alla città di Torino e ai centri commerciali della pianura, e che in molti casi ha soppiantato le parlate preesistenti. La neutralizzazione del doppio esito dei verbi latini in -are (cfr. § 3) si sarebbe prodotta, secondo Tuaillon (2003: 16), sul modello del torinese o del canavesano in -e o in -a toniche. Si possono anche notare influssi provenzali nell’area francoprovenzale meridionale limitrofa all’area occitana. Per quanto riguarda la sopravvivenza dei patois, le zone più compromesse risultano essere gli imbocchi delle valli e i fondovalli, in modo particolare della Valle di Susa e della Val Sangone, sedi di traffici commerciali e di intensa industrializzazione, e meta di consistenti ondate immigratorie. L’utilizzazione del francoprovenzale è favorita nei piccoli paesi delle medie e alte valli con una popolazione relativamente sedentaria e lontani dagli afflussi turistici di massa. Anche per le isole alloglotte del foggiano, che conservano un francoprovenzale ‘pietrificato’, rimasto per sette secoli senza contatti con la madrepatria, e in parte contaminato dalle parlate meridionali limitrofe, si può parlare di una forma di trilinguismo. L’italiano è la lingua dei domini formali e dei rapporti istituzionali; il dialetto pugliese è riservato alla comunicazione con gli italofoni della provincia; il francoprovenzale è la lingua quotidiana dei parlanti, utilizzata in contesti informali nei rapporti interpersonali tra gli indigeni.
La vitalità del francoprovenzale in Italia è un dato non facile da valutare, perlomeno sulla base della documentazione disponibile, e varia a seconda delle aree. Si tratta di una lingua minacciata, come le lingue minoritarie in generale, ma non a rischio di estinzione, e che riesce ancora a manifestare una discreta vitalità.
In Valle d’Aosta, come risulta da un’indagine condotta dalla Fondazione Chanoux (Une Vallée 2003: 123), il francoprovenzale è conosciuto in una delle sue diverse varietà dal 67% degli informatori, è capito dall’82% e parlato dal 46%. Queste percentuali diminuiscono drasticamente nella città di Aosta, mentre aumentano nei comuni più piccoli, soprattutto nelle alte valli. La trasmissione intergenerazionale del patois rimane buona (Berruto 2008). In base ai parametri UNESCO, il francoprovenzale valdostano è dunque abbastanza vitale. In Piemonte, in base ai dati di Allasino et al. (2007: 63, 71), da valutare con cautela (cfr. § 1), la conoscenza del francoprovenzale riguarderebbe il 29% degli abitanti: 14.000 adulti lo parlerebbero e altri 7-8000 lo capirebbero. Nel 1974 (Telmon 1982: 34) gli abitanti che parlavano ancora un patois francoprovenzale erano stimati in circa 22.000, ossia il 28% del totale della popolazione dei comuni interessati.
Le comunità francoprovenzali del Piemonte risentono inoltre in modo particolare di fenomeni immigratori e di esogamia, e il francoprovenzale ha perduto e sta perdendo diversi ambiti di impiego, a vantaggio del piemontese. Una valutazione approssimativa del francoprovenzale piemontese lo classificherebbe quindi come lingua in pericolo nel territorio piemontese. La situazione delle colonie alloglotte del foggiano sembrerebbe invece incoraggiante: secondo i pochi dati disponibili per Celle, ad es., due terzi dei parlanti avrebbero competenza attiva del francoprovenzale e tutti competenza passiva. Si tratta però di comunità piccole e isolate, in cui parecchi domini di impiego sono ormai appannaggio dell’italiano o dei dialetti limitrofi.
La produzione letteraria in francoprovenzale valdostano, che nasce alla metà dell’Ottocento ad opera di J.B. Cerlogne, primo poeta dialettale, è oggi relativamente ricca.
Il genere letterario prediletto dagli autori locali è la poesia, che conta numerose raccolte pubblicate; ma anche il teatro ha una buona vitalità, testimoniata dall’esistenza di oltre venti compagnie che recitano nelle diverse varietà di patois. Sono stati pubblicati anche racconti, alcuni romanzi, traduzioni e testi per l’infanzia.
I primi dizionari risalgono alla fine dell’Ottocento e sono quello di J.B. Cerlogne, preceduto da una piccola grammatica, e quello del canonico E. Bérard, mentre nel 1997 è stata pubblicata la seconda edizione del grande dizionario di A. Chenal e R. Vautherin; altri dizionari relativi a singole parlate hanno visto la luce o sono in fase di elaborazione.
Tra le grammatiche, citiamo ancora quella di Chenal del 1986, quella di P.J. Alliod, pubblicata nel 1998 ma il cui manoscritto originale risale alla fine dell’Ottocento, e Patois à petits pas, manuale per l’insegnamento del patois, pubblicato dall’Assessorato regionale istruzione e cultura nel 1999. Va ricordata inoltre la serie di 8 volumi di Noutro dzen patoué (1963-1974), raccolta di testi presentati da R. Willien.
Meno fiorente è la letteratura francoprovenzale in Piemonte, che annovera tuttavia alcune raccolte di poesie, come quelle di L. Vayr nel patois di Venaus e di M. Perino-Bert nel patois di Usseglio. Descrizioni recenti delle parlate della Val Soana e dell’alta Valle dell’Orco sono state pubblicate da L. Zörner (per es. Zörner 2003). Anche il francoprovenzale di Puglia è oggi discretamente documentato, grazie al Dizionario francoprovenzale di Celle di San Vito e Faeto di V. Minichelli, del 1994, e al dizionario e alla grammatica del francoprovenzale di Faeto curati nel 2007 dallo Sportello linguistico locale. Oltre al notiziario «Il Provenzale» (1978-2005), si possono annoverare diverse raccolte di racconti e alcune di poesie, proverbi e modi di dire.
Allasino, Enrico et al. (2007), Le lingue del Piemonte, Torino, Istituto di ricerche economico sociali del Piemonte.
Berruto, Gaetano (2008), Sulla vitalità sociolinguistica del dialetto, oggi, in La dialectologie aujourd’hui. Atti del Convegno internazionale “Dove va la dialettologia?” (Saint-Vincent - Aosta - Cogne, 21-24 settembre 2006), a cura di G. Raimondi & L. Revelli, Alessandria, Edizioni dell’Orso, pp. 133-148.
Melillo, Michele (1959), Intorno alle probabili sedi originarie delle colonie franco-provenzali di Celle e Faeto, «Revue de linguistique romane» 23, pp. 1-34.
Schüle, Ernest (1978), Histoire et évolution des parlers francoprovençaux d’Italie, in Lingue e dialetti nell’arco alpino occidentale. Atti del Convegno internazionale (Torino, 12-14 aprile 1976), a cura di G.P. Clivio & G. Gasca Queirazza, Torino, Centro Studi Piemontesi, pp. 127-140.
Telmon, Tullio (1982), La minoranza di parlata francoprovenzale, «Sociologia della comunicazione» 2, pp. 33-45.
Tuaillon, Gaston (2003), Le francoprovençal dans le bassin du Pô, «Nouvelles du Centre d’études francoprovençales René Willien» 48, pp. 6-17.
Une Vallée 2003 = Une Vallée d’Aoste bilingue dans une Europe plurilingue. Una Valle d’Aosta bilingue in un’Europa plurilingue. Actes du Colloque tenu à l’Université de la Vallée d’Aoste (novembre 2002), Aosta, Fondation Émile Chanoux.
Zörner, Lotte (2003), I dialetti francoprovenzali dell’alta Valle dell’Orco. Le parlate di Noasca e Ceresole, Cuorgnè, Edizioni Corsac.