La comunione tacita familiare si ha (ma il caso ricorre sempre più di rado) nell’esercizio dell’agricoltura quando una famiglia di coltivatori diretti del fondo mantiene indiviso un patrimonio derivante da successione ereditaria o anche da acquisti diretti, rimanendo unita sotto lo stesso tetto e alla stessa mensa, e conferendo il proprio lavoro in comunanza di perdite e di guadagni (zone tipiche: Abruzzo, Emilia, Marche, Toscana, Umbria, Veneto). Ha la caratteristica di essere insieme una famiglia e una piccola impresa. Come famiglia le si applicano le norme del codice civile (matrimonio, principi in tema di comunione di beni, collazione, successione ereditaria, ecc.), come piccola impresa le si applicano le consuetudini vigenti nelle diverse zone. Il patrimonio vecchio, costituente il nucleo originario della comunione si divide secondo il diritto comune a seconda dei casi, successioni a causa di morte, società, ecc., e il patrimonio nuovo, rappresentato dal frutto del lavoro comune e dell’investimento dei capitali originari, si divide secondo gli usi locali. Questi, tuttavia, non possono essere in contrasto con le norme di cui all’art. 230-bis c.c. La comunione tacita familiare, infatti, prima della riforma del diritto di famiglia (l. 19 maggio 1975, n. 151) era regolata dall’art. 2140 c.c., il quale è stato però abrogato dalla citata legge di riforma (art. 205) e la disciplina dell’istituto è stata rinviata a quella dell’impresa familiare.