COMUNICAZIONI TRA GLI ANIMALI
(App. IV, I, p. 503)
Negli ultimi anni gli studiosi di biologia evoluzionistica, di ecologia comportamentale e di sociobiologia si sono occupati della c. da un punto di vista evoluzionistico, hanno cioè rivolto la loro attenzione ai processi che hanno determinato la trasformazione dei segnali comunicativi nel tempo. Evidentemente la paleontologia, scienza indispensabile per lo studio dell'evoluzione delle strutture ossee delle forme fossili, non è di nessun ausilio nello studio del comportamento animale delle ere passate. Esistono tuttavia evidenze fossili indirette per alcuni casi, come per es. le strutture ossee della mandibola delle scimmie urlatrici (Alouatta palliata) che, costituendo la cassa di risonanza delle vocalizzazioni, permettono di stabilire la presenza o meno di un sistema di comunicazione. Lo studioso di evoluzione della c., tuttavia, di norma deve servirsi del metodo comparativo, ricostruendo, dal confronto fra varie specie, la possibile evoluzione di un segnale.
Un esempio al proposito ci è dato dal corteggiamento del maschio di pavone (Pavo cristatus): l'esibizione del maestoso ventaglio di piume, a prima vista, sembra unico nella sua originalità. Attraverso un attento esame di specie evolutivamente vicine al pavone (galliformi e fagiani) si può tuttavia ragionevolmente ipotizzare che l'esibizione del pavone derivi da un comportamento tuttora presente nel gallo domestico (Gallus g. domesticus) che, per condurre le galline verso il cibo, usa segnali in parte simili a quelli del pavone. Questo tipo di segnali si è a sua volta evoluto da comportamenti comuni a molti galliformi adulti nel nutrire i pulcini. È quindi possibile, attraverso una serie di stadi intermedi, stabilire che l'esibizione di corteggiamento del pavone si è evoluta attraverso una ritualizzazione dei comportamenti alimentari fra gli adulti e i piccoli nei galliformi. Le azioni ritualizzate nella c. sono molto frequenti. Gli studiosi ritengono di aver individuato alcune delle cause che portano all'evoluzione di azioni ritualizzate nella c. fra gli animali.
Secondo l'etologia classica, la c., essendo un fenomeno di cooperazione fra l'emittente che codifica e invia il segnale e il ricevente che riceve il segnale e lo decodifica, doveva evolversi, secondo precise regole, verso una sempre più precisa ed efficace trasmissione dell'informazione. Oggi gli etologi non considerano più tutti i casi di c. come fenomeni di cooperazione reciproca fra emittente e ricevente; spesso si ritiene che la c. rappresenti l'espressione di un conflitto di interessi fra colui che emette il segnale, e che vorrebbe manipolare il comportamento del ricevente, e il ricevente che vorrebbe interpretare e scoprire ciò che l'emittente cela con il segnale. Esistono casi, infatti, in cui il segnale emesso trasmette un'informazione falsa o è addirittura privo d'informazione.
Un esempio estremo è quello della rana pescatrice (Lophius piscatorius), un pesce che possiede all'estremità di una delle sue spine dorsali un'escrescenza che funziona da esca luminescente per attirare altri pesci; questi, ingannati da quella falsa luminescenza, molto simile a quella degli organismi di cui comunemente si nutrono, si avvicinano alla rana pescatrice e vengono divorati. In questo caso il segnale emesso dalla rana pescatrice è a solo beneficio dell'emittente, in quanto il ricevente, se risponde al segnale senza scoprirne il segreto, viene divorato. Altri segnali, invece, malgrado gli sforzi dell'emittente, sono a totale beneficio del ricevente. Per es., i pipistrelli localizzano e catturano le rane intercettando i loro gracidii di corteggiamento e individuandone la provenienza. In questo caso il ricevente è un predatore che sfrutta le caratteristiche di un segnale a proprio esclusivo beneficio.
A livello intraspecifico, anche se in modo meno evidente, situazioni analoghe si verificano durante il corteggiamento fra maschi e femmine. Nelle esibizioni di corteggiamento del gallo della salvia (Centrocercus urophasianus), per es., i maschi, attraverso esibizioni visive e acustiche, attirano le femmine nelle proprie arene, allo scopo di riprodursi. Ovviamente il beneficio per ciascun maschio sta nell'attirare più femmine possibile nella propria arena; per le femmine invece il maggior beneficio viene ottenuto rispondendo solo ai maschi migliori e trascurando quindi gli altri. È necessario per le femmine scegliere i maschi migliori dai segnali di corteggiamento: si stabilisce quindi un conflitto fra i maschi da un lato, che cercano con i loro segnali di 'manipolare' le femmine a ritenerli i migliori, e dall'altro le femmine che, attraverso l'osservazione dei segnali, cercano di capire chi sia veramente il migliore. Questo genere di conflitto nella c. tra gli a. è molto frequente. L'evoluzione dei segnali di c., nel caso di conflitto di interessi fra l'emittente e il ricevente, ha posto agli studiosi problemi teorici estremamente interessanti, spesso risolti usando regole matematiche provenienti dalla teoria dei giochi.
Esaminiamo per es. ciò che avviene quando due cani maschi, accingendosi a lottare, ringhiano arretrando le labbra e producendo nello stesso tempo un rantolio più o meno profondo. Un osservatore esterno, il quale conosca il comportamento dei cani, facilmente comprende che l'individuo che emette questo segnale vuol comunicare al ricevente che è pronto a combattere e gli trasmette il messaggio per convincerlo ad andarsene senza combattere ed evitare così il rischio di ferirsi. Il ricevente, dal canto suo, può andarsene intimorito dal segnale, oppure credere che l'avversario stia cercando d'ingannarlo ma che in realtà, in caso di attacco, avrebbe la peggio; in questo caso quindi l'informazione trasmessa non è completamente attendibile. Di solito anche l'avversario ringhia, e questi segnali durano per un certo tempo aumentando d'intensità, fino a che o uno dei due si ritira o si scatena la lotta.
Quali saranno i processi evolutivi che hanno portato i cani a ringhiare prima della lotta? Si può ipotizzare che gli antenati dei moderni cani prima di lottare arretrassero solo un poco le labbra e scoprissero i denti quel tanto per evitare di mordersi le labbra durante la lotta; è anche probabile che gli avversari abbiano cominciato ad associare quel leggero arretramento delle labbra con l'imminenza di una lotta; se le cose stessero così, l'arretramento delle labbra rappresenterebbe un onesto segnale di lotta. Ma cosa accade quando un cane per caso approfitta di questo segnale e lo usa anche quando non è pronto a lottare, ossia ne falsifica l'uso? Inizialmente gli avversari fuggiranno intimoriti, e quindi l'uso di falsificare il segnale in modo da avere beneficio si diffonderà rapidamente nella popolazione. Gli avversari che non crederanno più a questo segnale saranno avvantaggiati perché non si faranno più ingannare, e di conseguenza il segnale perde o perlomeno riduce la propria funzione. Il passaggio evolutivo successivo si verifica quando, di nuovo per caso, un emittente, per intensificare il messaggio del segnale, aggiunge all'arretramento delle labbra anche un rantolio sommesso. Per i cani, che si basano per lo più su segnali acustici e olfattivi dell'avversario, la profondità del rantolio è un buon indicatore delle dimensioni dell'animale e quindi delle sue capacità di lotta. Così, mentre l'arretramento delle labbra poteva essere facilmente falsificato, la profondità del rantolio, essendo una caratteristica legata alle dimensioni dell'individuo, lo è molto meno. Questo è un esempio di come sia insorto ed evoluto un segnale difficilmente falsificabile e quindi utile per valutare le effettive capacità di lotta fra contendenti, riducendo i conflitti fra gli individui di dimensioni simili. Sulla base di questo esempio potremmo ricavare alcune regole generali sui segnali di comunicazione.
Innanzitutto i segnali si originano da comportamenti che preesistono e già indicano una relazione con l'azione a cui si riferiscono (principio delle azioni derivate). Quando esiste un possibile conflitto di interessi fra l'emittente e il ricevente, il segnale normalmente dovrebbe seguire le seguenti regole. Nell'interesse dell'emittente il segnale dovrebbe avere una certa efficacia, ossia essere facilmente identificabile, per es. attraverso la sua ripetizione, ed essere estremamente caratteristico, in modo che spicchi dal cosiddetto 'rumore di fondo'. Un segnale emesso con queste modalità ha maggiori probabilità di arrivare correttamente a destinazione. Dal punto di vista del ricevente, che oltre a ricevere il segnale deve anche valutarne l'informazione contenuta, esso dovrebbe essere energeticamente faticoso e difficile da falsificare. Quindi la competizione fra gli interessi degli emittenti e quelli dei riceventi, che sono ruoli ovviamente interscambiabili, ha prodotto i cosiddetti segnali 'ritualizzati': si tratta di azioni usate come segnali che possiedono in generale molte delle caratteristiche sopra elencate. I segnali ritualizzati sono tipici del corteggiamento fra i sessi e della c. in contesti agonistici. Non tutti i segnali però sono azioni ritualizzate, e soprattutto non tutti i segnali sono vistosi, ed energeticamente costosi. Quando la c. offre un beneficio reciproco oppure avviene fra individui imparentati che, condividendo i medesimi geni, non hanno interesse a competere o ingannare, risulta molto più utile avere segnali semplici ed economici. Come abbiamo visto, infatti, c'è il rischio che i propri segnali vengano intercettati da un predatore, come nel caso dei pipistrelli con i richiami delle rane; inoltre segnali costosi da produrre richiedono energie che potrebbero essere utilizzate per altre attività, per es. il nutrirsi.
È stato calcolato che in alcune specie di rane, dopo appena due ore di richiami, il maschio ha esaurito tutte le proprie energie. Si può prevedere quindi che, laddove non vi sia conflitto di interessi fra i partecipanti alla c., i segnali debbano essere brevi, chiari, poco vistosi ed energeticamente economici. Un classico esempio in cui non vi è nessuna evidenza di falsificazione di segnali, è la c. per la ricerca del cibo e la difesa dai predatori negli imenotteri sociali (come le api e le formiche), in cui tutti i membri della colonia sono altamente imparentati fra di loro.
Tali previsioni sono state spesso prima formulate teoricamente e poi verificate in natura osservando casi idonei di comunicazione. La teoria dei giochi ha offerto situazioni molto utili per risolvere problemi relativi allo studio della c. fra gli animali. Il 'dilemma del prigioniero' è per es. un classico gioco in cui un ipotetico prigioniero ha due opportunità: collaborare con un complice per fuggire, o fare la spia alla guardia per ottenere una piccola ricompensa a danno del complice. In questo gioco ogni prigioniero ha il dilemma se fare la spia o rischiare di essere tradito da un complice che fa la spia, per cui poi nessuno è più in grado di evadere. In altre parole la menzogna, per i vantaggi che offre, si diffonde rapidamente, ma quando è diventata comune crea maggior danno che se non ci fosse. Questa situazione è quella già descritta per il ringhiare del cane o per complesse azioni ritualizzate del maschio del gallo della salvia che, a causa della sfiducia creata nelle femmine, deve perdere tempo ed energie in complesse evoluzioni di corteggiamento. Secondo la teoria dei giochi, la diffusione di un segnale fallace può essere eliminata solo se i partecipanti hanno la possibilità di ripetere le interazioni, se sono in grado di riconoscersi individualmente e se hanno buona memoria. La soluzione, che si può definire di 'complicità condizionata', consiste nel ricordarsi di chi ha mentito in precedenza e, all'occasione, mentire, e nel collaborare con chi in precedenza si è mostrato sincero. Questo è quanto avviene fra i mammiferi sociali. Nei macachi Rhesus (Macaca mulatta), come in molte altre specie di scimmie sociali, agli individui di alto rango è sufficiente un semplice sguardo per far allontanare un subordinato, o un semplice approccio per accoppiarsi con una femmina. Un altro esempio è offerto dal canto degli uccelli territoriali, per mezzo del quale i vicini di territorio si conoscono da tempo e si rispettano. In questi casi il bluff, la falsificazione del segnale, non è più un vantaggio perché si ripaga una volta scoperti.
La possibilità, anche casuale, di falsificare l'uso dei segnali nelle c. in cui esiste un conflitto di interessi, ha prodotto e continua a produrre tre tipi di segnali: il primo, caratteristico delle c. occasionali o fra individui che non si conoscono, determinato dalla competizione fra i possibili bluff dell'emittente e la sfiducia del ricevente, sarà complesso, faticoso e troppo difficile da falsificare ulteriormente. Il secondo, in cui gli animali hanno la possibilità di conoscersi e ricordarsi a vicenda, sarà un segnale semplice, rapido e sempre sincero. Nel terzo caso, in cui il ricevente non è in grado di discriminare sufficientemente un segnale vero da uno falso, sia perché è troppo faticosa la discriminazione rispetto al beneficio, sia perché il segnale falso è talmente raro che non risulta utile sviluppare delle strategie per scoprirlo, i segnali saranno sempre facilmente falsificabili e il bluff diviene una strategia stabile, come nel caso dell'esca della rana pescatrice. Per comprendere come siano comuni le differenze nei segnali fra complici rispetto a quelli fra sconosciuti, si consideri la differenza fra i toni roboanti e le espressioni vistose utilizzate da un venditore per pubblicizzare il proprio prodotto in un mercato, in confronto ai sottili ammiccamenti e scambi di sguardi brevi ma pieni di significato fra due coniugi a un pranzo noioso, quando decidono che è finalmente giunta l'ora di andarsene a casa.
Recenti studi sulla c. tra gli a. hanno contribuito a cambiare sostanzialmente la classica posizione che vigorosamente opponeva questa al linguaggio umano. Tale convinzione si era formata sulla base degli studi sulla c. dei primati non umani (scimmie proscimmie e antropomorfe), gli animali evolutivamente più vicini a noi. Si riteneva che la c. nelle scimmie fosse solo l'espressione incontrollabile di emozioni interne, mentre il linguaggio si riferisce anche a fenomeni esterni all'individuo ed è controllato volontariamente. Si riteneva inoltre che solo nel linguaggio umano esistesse la possibilità di percepire un continuum di frequenze in suoni ben definiti rappresentati dalle vocali e consonanti, e che mentre questo doveva essere appreso, la c. era esclusivamente instintiva nelle scimmie e non necessitava dell'apprendimento. Anche a livello del controllo nervoso, si pensava che il linguaggio fosse controllato dalla corteccia dell'emisfero sinistro, e le vocalizzazioni dei primati si originassero invece da strati più profondi e antichi dell'encefalo. Infine, l'assenza di sintassi, ovvero di regole nella produzione delle vocalizzazioni dei primati, impediva la creatività e la grande flessibilità tipica del linguaggio.
Attualmente è stata superata la dicotomia che divideva la c. fra i primati non umani dal linguaggio umano. Fermo restando che il linguaggio umano nella sua complessità è una caratteristica unica della nostra specie, gli studiosi della c. dei primati non umani hanno individuato caratteristiche in comune fra c. animale e linguaggio umano.
Studiando infatti i segnali di allarme nei cercopiteci (Cercopithecus aethiops), e utilizzando tecniche di registrazione e ritrasmissione dei segnali (playback), si è visto che questi animali emettono suoni diversi a seconda che il pericolo provenga da un leopardo, un'aquila o un serpente. I compagni che ricevono il segnale lo interpretano correttamente, fuggendo sugli alberi se si tratta di un leopardo, cercando riparo sul suolo, se si tratta di un'aquila; questi cercopiteci rispondono correttamente sulla base del solo segnale acustico di allarme, riprodotto da un registratore. L'informazione dei segnali è contenuta nel diverso suono prodotto, e non nel grado di emotività dell'emittente; infatti i compagni, sebbene spaventati altrettanto dal pericolo, non ripetono il segnale di allarme a loro volta, indicando che sono in grado di controllarne l'emissione. I piccoli inoltre apprendono con il tempo e l'esperienza a emettere questi segnali correttamente. Prima di un anno di età, infatti, essi emettono segnali di allarme in presenza sia di aquile che di piccoli falchi, innocue cicogne e avvoltoi; solo col tempo, osservando gli adulti, riducono la frequenza di errore e usano il segnale solo in presenza dell'aquila.
Lo studio di questi segnali ha messo in evidenza la capacità di alcuni primati di comunicarsi e descrivere stimoli esterni. Studiando con un sonografo le differenze fra i richiami di contatto emessi dai piccoli e quelli emessi dalle femmine in estro nel macaco giapponese (Macaca fuscata), si è visto che anche questi animali sono in grado di classificare in categorie discrete tutta una serie di richiami che al nostro orecchio risultano graduali; tale capacità è paragonabile a quella umana di distinguere i fonemi del linguaggio. I macachi giapponesi possiedono inoltre una spiccata preferenza nel percepire le differenze dei richiami con l'orecchio sinistro, fatto che evidenzia una lateralizzazione cerebrale, per lungo tempo invece ritenuta caratteristica esclusiva del linguaggio umano. Studiando con sistemi di playback i richiami d'isolamento dei piccoli delle scimmie scoiattolo (Saimiri sciureus), si è visto che gli individui del gruppo riconoscevano dal suono l'emittente del segnale e i parenti rispondevano selettivamente solo al suono prodotto dai propri piccoli. Risultati simili si sono avuti anche per molte altre specie di primati. Studi sui cercopiteci (Cercopithecus aethiops), inoltre, hanno dimostrato che se si espongono tre femmine, di cui una è la madre, a un richiamo registrato di un piccolo di due anni, alla percezione del richiamo le due femmine si voltano verso la madre, ancor prima che questa risponda al richiamo; questo fatto indica che tali animali possiedono una precisa conoscenza dei legami di parentela all'interno del gruppo.
Per quanto concerne le scimmie antropomorfe, poi, dopo alcuni tentativi d'insegnare loro il linguaggio parlato, necessariamente falliti per l'assenza di una struttura laringea simile a quella umana, recentemente si sono raggiunti ottimi risultati nell'insegnamento di forme di linguaggio gestuale utilizzate comunemente dai sordomuti (American Sign Language, ASL). Buoni risultati sono stati anche ottenuti nell'insegnamento del linguaggio tramite sistemi simbolici che si avvalgono di lessigrammi di plastica o rappresentati sulla tastiera di un computer. Sulla base di questi studi si è potuto stabilire che le antropomorfe sono in grado di apprendere, in opportune condizioni di allevamento, qualche centinaio di simboli o parole e di usarle in contesti appropriati. Questi simboli possono essere addirittura utilizzati nella comunicazione interindividuale e insegnati ai piccoli. Questi animali, inoltre, in alcune situazioni sono in grado d'inventare o comporre nuovi simboli per definire nuovi oggetti. Sono in grado di effettuare delle generalizzazioni, per es. classificando oggetti mai visti prima in 'cibi' o 'strumenti'. Sono in grado di mettere in relazione caratteristiche comuni fra oggetti diversi, per es. sulla base del colore o della forma. Si può dimostrare che hanno compreso esattamente la relazione biunivoca che esiste fra un simbolo e il proprio referente; in altri termini, se il simbolo di una mela rossa è un triangolo blu, alla domanda di che colore è la mela rispondono rossa, e alla domanda di che colore è il simbolo che rappresenta una mela rossa rispondono correttamente blu. Sono infine capaci di mentire volontariamente, o di utilizzare alcuni simboli con scopi offensivi, come nell'esempio dirty Roger, un'espressione della famosa Washoe, una delle prime scimpanzé (Pan troglodytes) utilizzate in questi studi, indirizzata al proprio addestratore utilizzando il simbolo di ciò che è sporco. Esistono tuttavia dei limiti di tali capacità: le scimmie antropomorfe infatti non sono in grado di produrre 'frasi' più lunghe di due o tre simboli, e non le ordinano secondo regole sequenziali come nella maggior parte delle sintassi umane.
Gli studi che utilizzano codici artificiali confermano quindi delle sorprendenti capacità di comunicare nelle scimmie antropomorfe, che fino a oggi sono sfuggite all'osservazione in condizioni naturali, più per la mancanza di studi idonei a metterle in luce che per la loro effettiva assenza. In conclusione, si può ritenere oggi che la c. fra gli a. evolutivamente più vicini all'uomo possiede in sé, anche se in forma estremamente ridotta, già una gran parte di quelle caratteristiche, sia fisiologiche che concettuali, che sviluppate durante l'evoluzione dell'uomo hanno prodotto il linguaggio. Resta da definire attraverso quali pressioni selettive e in che tempi questo processo si sia svolto.
Bibl.: P. Marler, J. G. Vanderbergh, Social behavior and communication, New York 1979; Animal behaviour, a cura di D. McFarland, Oxford 1981; T. R. Halliday, P. J. B. Slater, Communication, ivi 1983; J. Alcock, Animal behavior, Sunderland 1984; J. R. Krebs, N. D. Davies, Behavioural ecology, Oxford 1984; B. Smuts e altri, Primate societies, New York 1987.