COMPENSAZIONE (X, p. 1003)
Compensazione internazionale. - Di regola, il valore delle esportazioni di un paese trova compensazione nel valore delle importazioni effettuate in un certo periodo di tempo, nonostante che il valore di queste sia espresso normalmente in moneta diversa da quella usata per valutare le esportazioni.
Qualora, mediante la compensazione effettuantesi fra queste partite espresse in moneta diversa, non si pareggi il complesso dei debiti con i crediti di una nazione verso l'estero, la scorta dell'oro depositato presso l'istituto di emissione viene aumentata o diminuita della somma netta, che risulta rispettivamente a credito o a debito della nazione considerata (v. bilancia: Bilancia commerciale, VII, p. 4 segg.). Allo scopo di evitare la mobilità delle giacenze auree possedute da ciascun paese a garanzia e a fondamento della circolazione dei biglietti (siano essi valuta legale o valuta fiduciaria; v. moneta, XXIII, p. 634) gl'istituti di emissione, prima della guerra mondiale, per ristabilire l'equilibrio della bilancia del dare e dell'avere internazionale solevano ricorrere all'aumento del tasso dello sconto, nel caso di bilancia deficitaria, o alla sua diminuzione, nel caso inverso (v. sconto, XXXI, p. 204).
Come unico criterio per giudicare dell'avanzo o del disavanzo della bilancia internazionale, era assunto il corso dei cambî (vedi cambio, VIII, p. 507) della nazione considerata, rispetto ai paesi esteri. Un cambio sfavorevole è indice di disavanzo; favorevole, di avanzo. Ma sul modo con cui la modificazione del saggio dello sconto opera per equilibrare la bilancia dei pagamenti, esistono tuttora opinioni discordi. La disputa ha origine lontana ed è fra le più interessanti che si siano avute tra gli economisti e i banchieri: s'iniziò con accanimento nella Gran Bretagna fra il 1810 e il 1844, quando si discuteva sui criterî con cui regolare l'emissione dei biglietti della Banca d'Inghilterra. Si trovarono allora in contrasto il "principio monetario" o "della circolazione" (currency principle), sostenuto da D. Ricardo e dai suoi seguaci R. Torrens e il banchiere S. J. Lloyd (poi creato lord Overstone; 1796-1883), che nel 1844 trionfò grazie all'appoggio del primo minitro R. Peel; e il principio detto "bancario" (banking principle), difeso da T. Tooke, dal banchiere J. W. Gilbart (1794-1863), da J. Wilson (1805-1860), da J. Fullarton (morto nel 1849) e anche, se pure con qualche esitazione, da J. St. Mill. La disputa non era solamente espressione di un divario dottrinale, ma era fondata su un diverso apprezzamnento dei fatti.
Prevalse il criterio che unico sistema per evitare al paese i danni di una svalutazione della moneta nazionale rispetto a quelle estere, fosse quello di adeguare la quantità di biglietti emessi all'effettiva giacenza d'oro di cui la banca di emissione poteva effettivamente disporre.
Solo con questo principio si sarebbe evitata ogni perturbazione nei prezzi delle merci all'interno, cioè espressi in moneta nazionale, rispetto a quelli esteri, cioè espressi nella moneta degli stati esteri, e solo così si sarebbe assicurato il bilancio fra i debiti e i crediti internazionali di ciascun paese, in quanto ogni eccedenza nella quantità dei biglietti, oltre il limite segnato dall'effettiva giacenza di oro posseduta, avrebbe alterato i prezzi poiché la quantità di biglietti e di mezzi di scambio in genere si cambia con la quantità delle merci esistenti e se questa non aumenta quando quella cresce, i prezzi delle merci crescono, mentre diminuiscono nel caso contrario. Era la rigida formulazione del principio quantitativo fra moneta e merci che il Ricardo aveva precisato e applicato ai fenomeni del commercio internazionale, studiati sulla base dei costi comparati (v. Costo di Produzione: Teoria dei costi comparati, XI, p. 659 segg.). Solamente applicando il principio quantitativo, rigidamente formulato, il Ricardo aveva potuto affermare che gli scambî internazionali si svolgono come se la moneta metallica non esistesse, tenuto conto di un eventuale periodo intermedio di spostamento, fra l'uno e l'altro mercato, delle giacenze di metallo monetario il quale farebbe identicamente e proporzionalmente diminuire tutti i prezzi delle merci nel paese che sta esportando moneta e li aumenterebbe in quello che sta ricevendo il metallo.
La manovra di aumentare o diminuire il costo della moneta da emettere dalla banca centrale, in modo da adeguare la sua quantità alle esigenze del mercato interno considerate in rapporto a quelle dei mercati esteri, allo scopo di evitare sia un'uscita sia un'entrata di metallo, concepita secondo le idee moderne relative alla politica dello sconto, fu un'applicazione del principio quantitativo alle mutate situazioni di fatto create dallo sviluppo delle banche private. Infatti quando, con lo sviluppo dei traffici e l'evoluzione dei metodi commerciali, la moneta metallica venne sostituita, nella sua funzione d'intermediario degli scambî, dai titoli di credito creati dalle banche private senza un diretto intervento preventivo dell'istituto di emissione, si dovette escogitare un metodo indiretto di controllo che avrebbe dovuto regolare l'ammontare del medio circolante, in modo da evitare, per quanto possibile, ogni spostamento nella giacenza di metallo monetario depositato presso la banca centrale. Questa politica dello sconto, nella quale si compendia tutta una complessa e delicata manovra dell'istituto centrale tendente a conseguire un efficiente controllo preventivo del mercato monetario e finanziario della nazione, fu in sostanza un'intelligente transazione, imposta dalla forza dei fatti, fra i due principî in contrasto.
Il principio bancario, in opposizione a quello del currency, afferma che l'equilibrio della bilancia dei pagamenti di un paese con l'estero non si consegue mediante le maggiori o minori importazioni o le minori o maggiori esportazioni che l'aumento o la diminuzione nella quantità di moneta metallica esistente nel paese rende possibili; bensì mediante l'importazione o l'esportazione del risparmio in forma monetaria che sia disponibile per l'impiego. Il movimento da e per l'estero di questo risparmio, regolato dalla manovra dello sconto, permetterebbe di conseguire con maggiore rapidità e nel settore del mercato del capitale, senza bisogno che si modifichino i prezzi delle merci e dei servizî, l'equilibrio necessario.
Quando occorra, tale mutamento nel livello dei prezzi mercantili sarà conseguenza dello spostamento che si sarà verificato in precedenza nel mercato del risparmio e in tal senso darà luogo a fenomeni di ulteriore assestamento nelle correnti del traffico che permetteranno di consolidare, sulle nuove posizioni relative raggiunte, l'equilibrio economico dei paesi considerati. Così il principio bancario spostava il punto di applicazione dell'equilibrio della bilancia dei pagamenti internazionali dal settore degli scambî mercantili e dalla vendita dei servizî, cioè dalle cosiddette partite ricorrenti, a quello più importante dei movimenti dei capitali ai quali, con maggiore consapevolezza dei fatti economici, attribuiva il compito di modificare i prezzi. Il rigido principio quantitativo fra moneta e prezzi veniva così trasformato in una formulazione più comprensiva che teneva conto non solamente della quantità dei mezzi in circolazione, ma anche della loro diversa qualità economica intesa come destinazione della spesa e cioè per investimento di capitale o per consumi diretti.
Non si può negare che le tesi affermate dal principio bancario si siano dimostrate più aderenti ai recenti fenomeni verificatisi nell'intricato groviglio delle compensazioni internazionali. L'oro, universalmente e unicamente riconosciuto come metallo monetario, è divenuto non solamente strumento necessario per saldare le deficienze della bilancia dei pagamenti dei diversi paesi, ma la sua distribuzione mondiale è stata influenzata da complicati rapporti di debito e di credito fra paesi, creati con lo scopo prevalente appunto di accaparrarsi le maggiori possibili giacenze di metallo. Da strumento di libere e automatiche compensazioni l'oro è divenuto espressione di forza politica e mezzo potenziale di lotta economica.
In queste condizioni molti paesi, che non potevano disporre dell'attrezzatura bancaria e finanziaria efficiente per difendere o per negoziare le giacenze di metallo aureo necessarie a garantire la circolazione dei biglietti indispensabili per le transazioni del mercato interno, si sono trovati costretti a una duplice alternativa: o abbandonare la garanzia aurea della circolazione dei loro biglietti instaurando il corso forzoso e la circolazione inconvertibile, oppure negoziare con i paesi esteri accordi particolari mediante i quali il pagamento e il trasferimento in moneta internazionale (oro) dei debiti internazionali fosse subordinato a particolari condizioni che ne rendessero possibile l'esecuzione.
Il primo è più notevole esempio di tali accordi, sulla base del quale molti altri sono stati concordati, è quello che regola i pagamenti esteri della Germania. Una conferenza di banchieri nel luglio 1931, convocata a Berlino, fu invitata a studiare le concrete condizioni in cui si trovava l'economia tedesca, oberata da notevoli debiti verso l'estero pagabili in moneta straniera, senza avere né le giacenze auree sufficienti, né adeguate disponibilità di altre valute internazionali per eseguire i pagamenti dovuti, né la concreta possibilità di crearsi adeguate ragioni di credito verso l'estero in oro, mediante le esportazioni di merci e di servizî osteggiate dalla politica decisamente protezionistica dei principali stati creditori.
La commissione, presieduta dal banchiere americano A. H. Wiggin, in rappresentanza del paese maggiore creditore, riconobbe l'impossibilità per la Germania di trasferire le somme dovute ai paesi esteri in moneta estera e fu concordato che il pagamento di queste somme sarebbe stato effettuato dai debitori tedeschi in marchi, sulla base della parità monetaria del marco con le diverse monete estere dovute, e depositati presso una banca tedesca sotto il controllo della Reichsbank. Una metà di queste giacenze di marchi sarebbe stata trasferita immediatamente in divise estere, per il tramite della Reichsbank, l'altra metà sarebbe stata convertita in scrip (voce inglese che denomina titoli provvisorî di credito), che avrebbero potuto essere spesi in Germania, oppure venduti alla Golddiskontobank, istituto di credito controllato dalla Reichsbank, alla metà del loro capitale nominale e trasferiti all'estero. In sostanza la trasferibilità dei crediti dell'estero verso la Geimania, nascenti da esportazioni di capitali effettuate a qualsiasi titolo, era limitata e controllata dalla Reichsbank, mentre i crediti nascenti da importazioni mercantili o da servizî resi a tedeschi venivano normalmente saldati e trasferiti all'estero in moneta estera, secondo le pattuizioni dei contraenti.
Questo principio secondo il quale si discrimina il debito verso l'estero a seconda delle causali che lo hanno originato, sottoponendo alcune di esse a controllo e lasciando compensare le altre mediante le ragioni di credito verso l'estero create dalla libera attività dei singoli cittadini, ha avuto altre svariate applicazioni, relative alle particolari condizioni di ciascun mercato. Così i paesi che hanno di regola un eccesso d'importazionì rispetto alle esportazioni mercantili hanno deciso di graduare il pagamento dei debiti esteri nascenti dai traffici con ciascun paese man mano che le disponibilità dei crediti verso ogni paese si vengano a formare.
Si attua, in sostanza, una forzosa compensazione nel tempo fra i debiti e i crediti verso l'estero, eguagliando quelli a questi mediante un dilazionamento nelle scandenze dei pagamenti, senza alterare la parità monetaria legale, anzi allo scopo di non alterarla. Un simile accordo comprende di regola tutte le causali di credito di un certo paese verso l'estero, sia nascenti da rapporti mercantili (importazioni), sia da servizî resi dall'estero, sia per impegni di carattere capitalistico (rimborso di prestiti e pagamento di interessi), di regola concluso fra paesi che hanno un ammontare di debiti verso l'estero maggiore dei crediti esteri e che non posseggono un'adeguata massa di manovra aurea, la cui esportazione basti a saldare il deficit.
Finora i tentativi di cui si ha notizia sono certamente grossolani, e vanno considerati come espedienti creati dalle necessità della crisi con i quali si tenta di raggiungere, per ogni paese, la compensazione e l'equilibrio fra i debiti e i crediti verso l'estero mediante un controllo costante e concomitante, anziché, come si faceva nel periodo prebellico, mediante un sistema di regolazione agente posteriormente al turbamento dell'equilibrio e manovrato allo scopo di saldare il bilancio mediante una profonda modificazione delle posizioni proprie di ciascun mercato (politica dello sconto, interventi dell'istituto di emissione sui mercati monetari e del risparmio). L'esperienza dei fatti, da accertare in periodi di relativa normalità economica, dirà se sia possibile poggiare su queste nuove basi manovrate di compensazione l'equilibrio della bilancia internazionale dei pagamenti. Certo il sistema delle compensazioni obbligate si dimostra espediente meno perturbatore delle normali correnti economiche di quello che non siano l'abbandono della parità monetaria aurea, l'istituzione del corso forzoso e le conseguenti variazioni dei cambî con l'estero.
L'abbandono della parità aurea è indubbiamente uno dei mezzi con cui una nazione può conseguire l'equilibrio della propria bilancia dei pagamenti internazionali; ma mentre questa decisione incide su tutte le quotazioni economiche del mercato interno, alterando profondamente l'equilibrio dei redditi, delle rimunerazioni, dei prezzi delle merci e dei capitali, e affidando al giuoco automatico delle singole forze economiche in contrasto il raggiungimento dell'equilibrio; con la compensazione forzata, l'equilibrio si consegue con un intervento regolatore dello stato, che evita i gravi perturbamenti del mercato interno causati dall'abbandono della parità aurea e restringe il campo di variabilità delle quantità economiche al minimo indispensabile per raggiungere l'equilibrio Non è improbabile che questo sistema sia fra quelli che sopravviveranno alla crisi mondiale come metodo permanente di regolazione dei pagamenti internazionali. Infatti la crisi mondiale che nella primavera del 1938 poteva dirsi del tutto superata, si è trasformata in una situazione di autonomia spaziale dei prezzi, creando sistemi di quotazioni nazionali a sé stanti e diversi l'uno dall'altro. Questa situazione che trova la sua ragione nella tutela del mercato interno e nella ricerca della sua stabilità politico-economica, ha rafforzato le contingenti necessità che hanno dato luogo agli accordi di compensazione, in quanto si è definitivamente abbandonato il criterio tradizionale, che affidava l'equilibrio del bilancio dei pagamenti internazionali, alla forza automatica del sistema aureo. Ormai l'intervento dello stato in questo settore della vita economica, specie da parte dei paesi giovani e privi di adeguate riserve, può dirsi esprima una delle risultanti dominanti la fase storica odierna e fino a quando le sue componenti non siano variate, per un raggiunto equilibrio internazionale dinamico ed espansivo, le compensazioni saranno sempre effettuate.