compartire
. Il verbo compare in sei luoghi della Commedia; una volta è intransitivo, negli altri casi è transitivo, sempre con l'oggetto espresso, tranne che in If XIX 12, in cui l'oggetto è sottinteso. Tre volte è in rima, sempre nella terza persona del presente, ‛ comparte ': If XIX 12, Pd II 76 e XXVII 16.
Com'è attestato nella lingua due-trecentesca (v. per es. Chiaro Volete udire 14 " Così l'ore del giorno ho compartute ", originariamente il termine vale " distribuire ", " suddividere ", come è evidente in Pd XXVII 16 La provedenza, che quivi comparte / vice e officio (" distribuisce... assegnando... secondo il suo impenetrabile consiglio " [Sapegno] " l'officio che ciascuno beato debbe esercitare, e l'avvicendamento che debbe fare l'uno all'altro ", Buti); da notare, fra parentesi, che vice e officio è considerata da molti commentatori un'endiadi, per cui la provvidenza " distribuirebbe a vicenda " gli offici alle anime beate (cfr. Venturi, Cesari).
L'espressione, assai sintetica, di If XIX 12 O somma sapïenza... / quanto giusto tua virtù comparte!, è così interpretata dal Momigliano: " quanto giustamente la tua virtù distribuisce (premi e castighi) "; il Sapegno aggiunge: " Secondo i meriti e le colpe di ciascuno ". Appare chiaro dunque il valore più preciso del verbo, in cui è presente, in questo luogo e nel precedente, un'idea di giustizia superiore, distributiva, rimunerativa, ovviamente in senso teologico.
Anche in Pg XXIII 6 'l tempo che n'è imposto / più utilmente compartir si vuole (per il testo cfr. Petrocchi, Introduzione 426), è riscontrabile un uso morale del termine, che ben s'accorda col tono della pacata esortazione di Virgilio; commenta il Landino: " non una sola cosa è quella che si richiede nella vita umana, ma molte: el perché è necessario che a ciascuna compartiamo tanto tempo quanto si richiede "; e il Vellutello: " compartire... spendere il tempo più utilmente che dietro a le vanità ".
Dal senso di " distribuire " si è giunti, nell'italiano dei secoli successivi, al valore di " assegnare ", " consegnare ", " dare ", " attribuire ", che invece è del tutto assente in Dante. Un altro valore ha piuttosto in D. il verbo, ed è quello di " alternare ", che riscontriamo in Pg XXV 126 e Pd II 76. Nel primo caso, tuttavia, l'idea dell' ‛ alternare ' è data più dalla locuzione a quando a quando, che dal verbo stesso (Serravalle: " modo respiciebam ad illas animas et ad ignem, aliquando respiciebam ad pedes ne caderem ").
In Pd II 76, infine (si come comparte / lo grasso e 'l magro un corpo), le parti grasse e le magre " si alternano " nel corpo di un animale (o nel corpo umano), sì che il corpo non è omogeneo ma eterogeneo. Il Lombardi preferisce spiegare c. con " sovrapporre ": " a quel modo che un corpo d'animale sovrappone il grasso al magro ", ma probabilmente il commento aggiunge un'idea accessoria che manca nel testo dantesco.
Notevole infine il passo di Pg XXX 95 intesi ne le dolci tempre / lor [gli angeli] compartire a me: è la lezione del Petrocchi (cfr. ad l.), che intende qui il verbo nel senso di " esser parte ", " esser partecipe " (cfr. Chiaro Io porto ciò 4 " di lunga parte comparto la via, / e chi mi mena, vo co'llui parlando "). La lezione comunemente seguita è compatire.