COMMENTARÎ
. Questo nome è proprio di alcuni monumenti della prima letteratura latina, come i Commentarii pontificum (v. qui sotto), che conservavano la memoria di casi e questioni speciali perché avessero valore di tradizione per il ripetersi di casi analoghi. Anche altri collegi avevano i loro Commentarii. Oltre a questo significato originario del termine, si dissero commentarî presso i Romani quelle memorie che chi era mescolato ad avvenimenti d'importanza redigeva intorno alle proprie azioni giornaliere. È questa la genesi di un tipo di storiografia, di cui Cesare lasciò un modello insuperato coi suoi famosi Commentarii de bello gallico e con gli incompiuti Commentarii de bello civili. Resta così fissato un nuovo tipo di storiografia, dove i fatti si snodano attorno alla persona dell'autore che ne è il protagonista, o ai quali almeno partecipa come attore o spettatore, e che, con dissimulato fine apologetico, ha un segreto pensiero da tramandare ai posteri. L'esempio di Cesare fruttificò specialmente nella storiografia erudita del Quattrocento, quando, sviluppandosi il senso della personalità umana, vien meno quel sentimento civico impersonale che caratterizza il cronista del Medioevo. Del resto, già la Cronica del Compagni, così appassionato della dolorosa vicenda delle parti fiorentine, ha qualcosa del commentario. Il titolo classico, tornato in onore, conviene ad opere che narrano gli avvenimenti di un breve periodo, e specialmente quelli a cui l'autore è stato presente, spettatore o attore, o di cui abbia avuto notizia da testimoni oculari. Così i commentarî costituiscono la specie più modesta della storiografia erudita: meno restii delle narrazioni foggiate su Livio ad accogliere particolari anche di minor conto; più di quelle dimessi nello stile, in quanto hanno a modello la semplicità cesariana. Attraverso opere siffatte, dove il latino corretto ed elegante degli umanisti si distende sopra un'ossatura rudimentale che è quasi sempre lo schema cronologico, la storiografia erudita viene a riannodarsi all'umile letteratura delle cronache. I migliori esempî del genere furono offerti da Enea Silvio Piccolomini con i commentarî De gestis Basiliensis Concilii e con i Commentarii rerum memorabilium, nei quali scrisse la sua autobiografia fino al 1463. Fu ventura che Giannantonio Campano, a cui la revisione dei secondi commentarî fu commessa dall'autore, si astenesse dal soddisfarne il desiderio quanto a infiorarli di ricercate eleganze, preservando il tipo classico del commentario. Il quale, rispetto alla semplicità stilistica del modello cesariano, è meno bene conservato nei Commentarii di Giannantonio Porcellio de' Pandoni; laddove la differenza fra il tono solenne della storia aulica e quello più dimesso del commentario appare evidente a chi istituisca un confronto tra le due opere di Leonardo Bruni: l'Historia Florentina e i Commentarii rerum suo tempore gestarum. Il tipo continua anche nella letteratura cinquecentesca con estensione alla storia delle scoperte e alla geografia: così i Commentarii sulla geografia del veneziano Domenico Maria Negri e i primi dodici dei Commentariorum urbanorum libri XXXVIII di Raffaello Maffei detto il Volterrano. Sul cadere del sec. XVIII, l'abate G. C. Cordara compose in 15 libri De suis ac suarum rebus usque ad occasum Societatis Iesu commentarii, saggi dei quali alcuni furono pubblicati dal Döllinger (Beiträge zur pol., kirchlich. und Cultur-Geschichte der sechs letzten Iahrhunderte, Vienna 1882, pp. 1-74) e dall'Albertotti (Modena 912, Padova 1923 e 1925). È in corso di stampa la pubblicazione integrale.
I commentarii pontificum. - I collegi dei sacerdoti romani, i cui membri erano nominati a vita e che svolgevano quindi un'attività più continuata e più coerente dei collegi annui dei magistrati, e avevano uffici permanenti, tenevano con cura i loro commentarii, cioè atti, nei quali notavano le regole rituali, le decisioni del collegio (decreta, responsa) accompagnate dai verbali delle discussioni relative (cfr. Cicerone, Brutus, 55) e relazioni delle cerimonie compiute. Sono citati dalle fonti i commentarii pontificum (anche sacrorum pontificalium) e libri (che erano probabilmente la stessa cosa dei comm.) pontificum (pontificii, pontificales), commentarii e libri augurum o augurales e comm. XV virum sacris faciundis. Sono giunti a noi in iscrizioni frammenti di questi ultimi come il commentarium ludorum saecularium fatti celebrare da Augusto nel 17 a. C. (Corp. Inscr. Lat., VI, 877 e 32.323) e da Settimio severo (ib., 32.327), e dei comm. dei fratres Arvales per i secoli I-III dell'impero (ib., 3261 segg.).
I commentarî dei magistrati. - Era pratica antichissima negli stati civili dell'Oriente classico che i re e i loro funzionarî tenessero ricordo scritto dei loro atti ufficiali; così in Egitto, ove, da tempi remoti, si scriveva e si protocollava larghissimamente, in Babilonia e Assiria, presso gli Hittiti e poi nelle monarchie ellenistiche, nelle quali tutti i capi di un ufficio annotavano in registri giornalieri (ὑπομνηματισμοί) gli atti compiuti e tenevano copia delle comunicazioni ricevute e fatte, in modo da poter sapere ad ogni momento che cosa si era deciso e fatto in un dato caso e regolarsi secondo i precedenti. La stessa usanza troviamo in Roma. Come ogni buon cittadino teneva il suo libro domestico di note e conti, così i magistrati da tempo antichissimo tenevano i loro libri di note, e poiché questi libri avevano lo scopo di richiamare alla memoria gli atti compiuti, si chiamavano commentarii. Essi erano però ritenuti cosa privata del magistrato, che li conservava nell'archivio della sua famiglia, perché non esisteva in Roma un ufficio permanente dei consoli, dei pretori, ecc. solo i decreti dei magistrati erano conservati nei registri delle deliberazioni ufficiali (in tabulas publicas deferre). I commentarii consulares citati da Varrone, de ling. lat., VI, 88, erano, come le tabulae censoriae, schemi regolamentari, e se ne conservava forse copia nei locali destinati a ufficio dei magistrati, p. es. nella villa publica; per lo scopo al quale servivano erano detti anch'essi commentarii. Ancora Cicerone esprimeva il desiderio che i commentarii dei magistrati fossero depositati presso i censori (de leg., III, 47); e un protocollo regolare degli atti del Senato fu istituito solo da Cesare nel 59. L'impero disciplinò meglio la tenuta dei commentarii e la loro conservazione negli archivî pubblici (nell'erario per i magistrati senatorî, nel tabularium principis per i funzionarî imperiali).
Bibl.: U. Wilcken, ‛Υπομνηματισμοί, in Philologus, LIII (1894), p. 80 seg. e Grundzüge der Papyrusk., I, Lipsia 1912; Th. Mommsen, Röm. Staatsrecht, I, 3ª ed., Lipsia 1887, p. 5 e Gesamm. Schriften, V, Berlino 1908, p. 343; A. von Premerstein, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., IV; E. De Ruggiero, Dizionario epigrafico, II, Roma 1900; A. Rosenberg, Einleitung und Quellenkunde zur röm. Geschichte, Berlino 1921; M. Schanz-C. Hosius, Gesch. der röm. Literatur, I, 4ª ed., Monaco 1927.