comitato etico
Struttura istituzionale che valuta la congruità dell’azione sanitaria e la fattibilità di protocolli sperimentali per le implicazioni che ne derivano sul piano etico. In senso più specifico, il c. e. è l’organo preposto alla valutazione degli studi clinici sperimentali da svolgersi all’interno delle diverse strutture sanitarie.
L’attività che regola i c. e. in Italia parte dal d.m. del 18 marzo 1998 e viene costantemente aggiornata con varie normative che hanno valenza nazionale o regionale. Il compito che debbono svolgere riguarda in particolare gli aspetti della buona pratica clinica da adottare nella sperimentazione di medicinali. I membri dei c. e. valutano la razionalità dei protocolli sperimentali, nell’ambito dell’adeguatezza finalizzata agli obiettivi che lo studio in esame manifesta. In particolare viene analizzata l’impostazione dello studio e la modalità di conduzione, con verifica della competenza del personale impegnato nella sperimentazione, e la capacità di condurre l’indagine da parte delle strutture coinvolte (congruità di mezzi e fini). In base alle normative emanate esistono alcuni criteri minimi per la costituzione di un c. e. i cui membri devono includere il direttore sanitario dell’azienda, un medico di medicina generale, un pediatra, vari clinici (in genere fino a cinque) che abbiano competenza in varie aree di ricerca, un biostatistico, uno o due farmacologi, un farmacista, un esperto in materie giuridiche e un medico legale, un esperto in materia bioetica, un rappresentante dell’area infermieristica, un rappresentante delle diverse associazioni di volontariato. In alcune circostanze è previsto il ricorso a esperti esterni. Particolare attenzione viene data all’esclusione dei membri del c. e. per eventuali conflitti di interesse (ruolo delle case farmaceutiche e varie forme di sponsorizzazione).
Nell’ambito della sperimentazione clinica i vari c. e. hanno la finalità di tutelare diritti, dignità, benessere fisico e integrità dei cittadini che vengono arruolati nella ricerca biomedica come soggetti della sperimentazione. L’adozione e l’accettazione dei vari protocolli debbono fornire pubblica garanzia di una tutela generale nell’attuazione delle diverse fasi di sperimentazione. Per razionalizzare la validazione delle ricerche mediche esistono criteri condivisi a livello internazionale che includono, di solito, la Dichiarazione di Helsinki dell’Associazione medica mondiale (1964 e successive revisioni), la Convenzione sui diritti umani e la biomedicina (Oviedo, 1997 - Consiglio d’Europa), norme per la buona pratica clinica emanate nel 1996 dall’Unione europea. La complessità dei problemi trattati, le lacune esistenti nella normativa per la sperimentazione in età pediatrica e per la donna (gravidanza, rischio per il feto), i nuovi sviluppi della farmacogenomica e gli altri progressi medici rendono necessario un costante aggiornamento sia delle conoscenze scientifiche sia dei rischi che emanano dall’adozione di protocolli sperimentali non adeguatamente formulati. Pertanto i vari riferimenti normativi e i principi presenti nelle raccomandazioni dei diversi organismi internazionali (Organizzazione mondiale della sanità, Consiglio d’Europa, Parlamento d’Europa, vari comitati consultivi di bioetica, ecc.) devono essere costantemente integrati con emanazioni tempestive di legge finalizzati a limitare l’arbitrarietà delle decisioni.