Abstract
I Comitati di liberazione nazionale nella fase di transizione dall’8 settembre 1943 alla nascita della Repubblica, e alcune questioni che posero alla cultura e alla storiografia giuridica, anche in tema di rapporto fra continuità e fratture.
In Italia, i Comitati di liberazione nazionale (da qui in poi CLN) furono le strutture attraverso cui i principali movimenti e partiti antifascisti si organizzarono e coordinarono sia fra loro, sia con gli altri soggetti istituzionali, durante la lotta di liberazione.
Immediatamente dopo l’armistizio dell’8 settembre, i sei principali partiti antifascisti – Democrazia cristiana, Partito comunista, Partito socialista di unità proletaria, Partito d’azione, Partito liberale, Democrazia del lavoro – costituiscono a Roma il Comitato di liberazione nazionale (destinato ad assumere il ruolo di Comitato centrale; Calamandrei, P., Cenni introduttivi sulla Costituente e sui suoi lavori, in Opere giuridiche, 3, Napoli 1968, 288-336, 294). Quest’organismo, la cui denominazione richiama l’esperienza francese del Comité de Libération Nationale (Sessi, F., Comitato di liberazione nazionale, Comitato centrale di liberazione nazionale, in Collotti, E.-Sandri, R.-Sessi, F., Dizionario della Resistenza, II, Torino, 2001, 186-187) acquisterà sempre più rilievo nel quadro delle relazioni col governo monarchico e i suoi organi nell’Italia liberata, mentre nell’Italia occupata sempre maggior rilievo acquisterà il Comitato di liberazione Alta Italia (CLNAI). In questo modo, si saldano comitati della più diversa natura ed estensione, «regionali, provinciali, comunali, rionali, aziendali» (Abbamonte, G., Comitato di liberazione nazionale, Novissimo Digesto it., III, Torino, 1959, 597-599, 597).
Dal punto di vista della storia costituzionale (e del diritto costituzionale), la ricostruzione del ruolo dei CLN si è andata consolidando negli anni, specie in relazione al tema delle diverse fasi del periodo costituzionale provvisorio, succedutesi dal 25 luglio 1943, data del crollo del regime mussoliniano, al 1° gennaio 1948, data dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana (Caretti, P., Forme di governo e diritti di libertà nel periodo costituzionale provvisorio, in Cheli, E., La fondazione della Repubblica – Dalla costituzione provvisoria alla Assemblea Costituente, Bologna, 1979, 31- 127, 36 ss.; Onida, V., Costituzione provvisoria, Digesto delle discipline pubblicistiche, 4, Torino, 1989, 339-348).
Il 28 e 29 gennaio 1944 si riunisce a Bari un congresso dei CLN, da cui appare evidente la centralità da loro assunta nei processi di formazione del governo e di ridefinizione dell’assetto costituzionale (insiste su questo momento Mortati, C., La Costituente, ora in Mortati, C., Raccolta di scritti, 1, Milano, 1972, 3-343, 213 ss.; ma è stato anche scritto che, «condotto sotto l’egida di Benedetto Croce», il congresso di Bari ebbe «una soluzione equivoca», La Malfa, U., La battaglia istituzionale, in Fascismo e antifascismo - 1936-1948 - Lezioni e testimonianze, Milano, 1962,627-634, 630; e si è detto che il congresso si concluse «con una soluzione di compromesso tra le istanze politiche più radicali […] e quelle più moderate», Fiorillo, M., La nascita della Repubblica italiana e i problemi giuridici della continuità, Milano, 2000, 137-138; sul punto anche Collotti, E., Natura e funzione storica dei Comitati di liberazione, in Collotti, E.-Sandri, R.-Sessi, F., Dizionario della Resistenza, 1, Torino, 2000, 229-241, 233 ss.).
Nell’aprile 1944 Togliatti, con la cosiddetta “svolta di Salerno”, apre alla possibilità di una partecipazione al governo. Intanto, il 12 aprile 1944, Vittorio Emanuele III annuncia di «ritirarsi dalla vita pubblica, nominando luogotenente generale del Regno» il principe di Piemonte, e che «tale nomina si attuerà mediante il passaggio ufficiale dei poteri lo stesso giorno in cui le truppe alleate entreranno in Roma». Dunque, sempre in aprile, al nuovo ministero Badoglio partecipano i partiti riuniti nel CLN: prende vita così «il primo governo di coalizione antifascista» (Calamandrei, P., Cenni introduttivi, cit., 299. Per una ricostruzione recente di questa fase, si veda Dogliani, M., Convenzioni costituenti e forma di governo nella Resistenza e nella transizione costituzionale, in Cortese, F., Resistenza e diritto pubblico, Firenze, 2016, 133-161, 140 ss.). Con R.d. 5 giugno 1944, n. 140, Umberto di Savoia è nominato Luogotenente generale e poco dopo (8 giugno 1944) viene nominato capo del governo Ivanoe Bonomi, presidente del CLN centrale (ed è stato scritto che «il ruolo svolto dal CLN nell’ambito dell’ordinamento provvisorio consentì la reciproca legittimazione dei soggetti politici che in esso operavano: i partiti antifascisti da un lato, la monarchia dall’altro»: Pinelli, C., Comitati di liberazione nazionale, in Enc. Giur. Treccani, 1988, 1; per una ricostruzione della vicenda si veda Ricci, A.G. Introduzione, in Verbali del Consiglio dei ministri, 3, Governo Bonomi: 18 giugno 1944-12 dicembre 1944, Roma 1995, VII-XLIX, VII ss.; De Siervo, U., La transizione costituzionale - 1943-1946, in Dir. pubb., 1996, 543-581, 565 ss.; Dogliani, M., Convenzioni costituenti, cit., 142 ss.; sui rapporti fra CLN, governo e luogotenenza si veda Caretti, P., Forme di governo, cit., 47 ss., 50 ss.).
Così i CLN si trovano in pochi mesi ad operare nel quadro tracciato col d.-l. lgt. del 25 giugno 1944, n. 151, dove com’è noto si prendeva atto dell’impossibilità di un recupero sic et simpliciter degli ordinamenti statutari; si stabiliva (art. 1) che «dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali saranno scelte dal popolo italiano che a tal fine eleggerà, a suffragio universale diretto e segreto, una Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione della Stato»; si precisava (art. 3) che «i Ministri e Sottosegretari di Stato giurano sul loro onore […] di non compiere, fino alla convocazione dell'Assemblea costituente, atti che comunque pregiudichino la soluzione della questione istituzionale».
Il decreto del 25 luglio 1944 è stato inteso come un atto di «frattura costituzionale», col quale viene «lasciato alle spalle, e a grande distanza, lo statuto albertino» (Calamandrei, P., Nel limbo istituzionale, “Il ponte”, 1, 1945, 4-19, ora in Id., Opere giuridiche, 3, cit., 135-150, 140 ss.). La proclamazione della Costituente a venire sarebbe stata «un atto rivoluzionario: la consacrazione legislativa di una rivoluzione in corso, la chiusura della fase distruttiva e insieme l’apertura della fase ricostruttiva di essa» (ivi, 137; sul punto anche De Siervo, U., La transizione, cit., 567 ss.; Caretti, P., Forme di governo, cit., 47 ss.).
Sempre nell’estate del ’44, le condizioni politiche sono ormai tali da spingere il CLNAI «a concludere la discussione sulla unificazione delle forse partigiane già in atto da alcuni mesi» (Sessi, F.-Sandri, R., Corpo volontari della libertà, comando generale per l'Alta Italia occupata, in Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sassi (a cura di), Dizionario della Resistenza, cit., 191-194, 191). Nell’agosto ’44 il generale Raffaele Cadorna raggiunge Milano come comandante generale del Corpo volontari della libertà (CVL). Il Comando generale del CVL è destinato a sciogliersi nel giugno 1945: sebbene non riesca a «condurre a compimento la fusione reale di tutte le forze partigiane in un unico corpo», tuttavia la sua azione porta la Resistenza alla pace dotata di «un comando rappresentativo di tutte le forze protagoniste della lotta. Cosa che non accade in nessun altro paese europeo» (ivi, 194).
Inoltre, sempre nell’agosto 1944, a Firenze il CLN toscano, forte del ruolo avuto dalle forze partigiane nella liberazione della città, si insedia «con pieno poteri nel palazzo della prefettura, nominando i consigli comunali e provinciali» (Labanca, N., Firenze, in Collotti, E., Sandri, R., Sessi, F., Dizionario della Resistenza, 1, cit., 465-469, 468).
Nel dicembre 1944, in seguito alla trattativa con le forze alleate conclusasi il 7 dicembre (su cui si veda Ricci, A.G., Introduzione, in Verbali, III, Governo Bonomi, cit., XLIII ss., dove fra l’altro si rileva come «nel corso delle discussioni giunse anche la notizia che era precipitata la situazione in Grecia per l’offensiva lanciata dalle formazioni comuniste di Marcos», notizia che «contribuì evidentemente a rendere anche più difficile e drammatica l’atmosfera dei colloqui», ivi, XLIII; sull’importanza dei fatti di Grecia insiste anche Chabod, F., L’Italia contemporanea 1918-1948, Torino, 2002, 134; si veda pure Ellwood, D., Gli alleati e la Resistenza, in Collotti, E.-Sandri, R.-Sessi, F., Dizionario della Resistenza, 1, cit., 242-253, 249 ss.) il governo Bonomi riconosce il CLNAI «organo dei partiti antifascisti nel territorio ancora occupato» e lo «delega» a «rappresentarlo nella lotta che i patrioti hanno impegnato contro i fascisti e i tedeschi nell’Italia non ancora liberata» (Verbali del Consiglio dei ministri, 4, Governo Bonomi: 12 dicembre 1944-21 giugno 1945, Roma 1995, Seduta del 30 dicembre 1944, 70; si veda pure la Seduta del 20 dicembre 1944, ivi, 11 e, sulla vicenda, le osservazioni di Ricci, A. G. in Introduzione, ivi, XLVIII ss.. Sul punto si vedano pure Abbamonte, G., Comitato di liberazione nazionale, cit., 599; Chabod, F., L’Italia contemporanea, cit., 136; Collotti, E., Natura e funzione, cit., 236 ss.; Grassi, G.-Legnani, M., Il governo dei CLN, in Legnani, M., a cura di, Regioni e Stato dalla Resistenza alla Costituzione, Bologna, 1975, 69-85, 75-76; Lavagna, C., Comitati di liberazione, Enciclopedia del diritto, 7, Milano, 1960, 778-786, 781; Milano, M. – ovvero Ferruccio Parri –, Il movimento di liberazione e gli Alleati, in “Il movimento di liberazione in Italia”, 1, luglio 1949, 7-27; Pichierri, A., La costituzione provvisoria: l’ordinamento dello Stato tra fascismo e Repubblica, Taranto, 1996, 210 ss.; Quazza, G., Resistenza e storia d’Italia: problemi e ipotesi di ricerca, Milano, 1976, 296 ss.; Volterra, E., Il carattere giuridico dei C.L.N., in Quazza, G.-Valiani, L.-Volterra, E., Il governo dei CLN : atti del convegno dei Comitati di liberazione nazionale, Torino, 9-10 ottobre 1965, Torino, 1966, 125-145, 139 ss.).
Tale quadro appare precisato dal decreto lgt. del 28.2.1945, n. 73 (Lavagna, C., Comitati di liberazione, cit., 781), sull’ordinamento del Ministero dell’Italia occupata, dove si dispone che (art. 1) «detto Ministero, tramite il Comando delle Forze Alleate, mantiene il collegamento tra il Governo e il Comitato di liberazione nazionale dell'Alta Italia, cui è delegata la rappresentanza del Governo nella lotta contro il nemico» (ma per Lavagna «è inesatto parlare di delega rispetto a poteri che già erano stati legittimamente ed autonomamente esercitati. Si può parlare, piuttosto, dopo l’accordo di Roma, di un riconoscimento reciproco del CLNAI e del Governo», ivi, 786; in proposito si veda pure Fiorillo, M., La nascita della Repubblica, cit., 152). L'Ufficio per gli affari generali dello stesso ministero (art. 3) «per il tramite ed in collaborazione con la Commissione Alleata e il Comando delle Forze Alleate» fra l’altro «mantiene i rapporti tra il Governo ed i Comitati di liberazione nazionale, costituiti nelle regioni occupate, al fine di garantire l'unità nazionale e predisporre il pieno ritorno alla vita civile e politica dei territori invasi».
Nel frattempo però, sempre nel dicembre 1944, col passaggio dal primo al secondo governo Bonomi (tali naturalmente se non si considera il governo Bonomi del ’21-’22) si verifica, come è stato scritto, una «sterzata a destra» (Pavone, C., La continuità dello Stato. Istituzioni e uomini, in Piscitelli, E. et al., Italia 1945-48. Le origini della Repubblica, Torino, 1974, 1391-289, ora in Pavone, C., Alle origini della Repubblica, Torino, 1995, 70-159, 113; si vedano pure Carocci, G., Storia d’Italia dall’unità ad oggi, Milano, 1989, 319; Ricci, A. G., Introduzione, in Verbali, 4, cit., IX ss.). Bonomi peraltro rassegna le sue dimissioni «non al CLN, dal quale egli aveva tratto la sua investitura, ma al luogotenente», e da questi accetta il nuovo incarico: verrà sottolineato «l’allarme» che ne derivò all’«opinione pubblica» (Calamandrei, P., Nel limbo, cit., 146; sulla vicenda, e sull’ingresso del PCI nel «secondo ministero Bonomi, nonostante l’opposizione degli altri due partiti di sinistra», anche Valiani, L., Calamandrei e la battaglia per la sovranità della Costituente, in Id., Dall’antifascismo alla Resistenza, Milano, 1959, 175-193, 179-182). Proprio in questa fase è stata indicata una svolta significativa, a partire dalla stessa interpretazione del d.-l. lgt. 25 giugno 1944 n. 151 che ne usciva vincente: se Partito d’azione e Partito socialista avevano interpretato quel provvedimento «come sospensione della monarchia e riconoscimento del CLN quale unica fonte del potere», i liberali, i democristiani e lo stesso Bonomi avevano assunto una posizione molto diversa (Pavone, C., Alle origini, cit., 113). Ed è stato rilevato che «un punto molto importante del decreto del 25 giugno […] fu il conferimento al governo dei poteri legislativi. In teoria, il governo avrebbe potuto in quei mesi far tutto: dalla riforma dei codici alla riforma agraria, all’abolizione dei prefetti. Se il CLN fosse stato davvero un compatto e nuovo organo di potere, non avrebbe certo lesinato l’uso di un così formidabile strumento riformatore […]. Nella pratica invece quell’arma si rivelò assai poco incisiva, anche perché il CLN era frenato dalla regola dell’unanimità, che si ripercuoteva ovviamente in sede governativa» (ivi, 113-114. Sulla regola dell’unanimità Guarino, G., Due anni di esperienze costituzionali, in Rassegna di diritto pubblico, 1, 1946, 61-76, 69 e n.; Fiorillo, M., La nascita della Repubblica, cit., 146; Pinelli, C., Comitati di liberazione, cit., 2).
Sempre in questa fase, cioè durante il secondo ministero Bonomi (12 dicembre 1944 – 21 giugno 1945) prende forma definitiva un contrasto fra governo di Roma e CLN dell’Italia settentrionale che appare esemplare: nelle zone liberate infatti si andava affermando un «modello di governo CLN» per cui «i poteri erano stati affidati provvisoriamente dagli Alleati a prefetti ‘politici’, designati dai CLN» (Melis, G., Storia dell’amministrazione italiana, Bologna, 1996, 408-409; sulla questione Chabod, F., L’Italia contemporanea, cit., 142-143; Ellwood, D. W:, L’occupazione alleata e la restaurazione istituzionale: il problema delle Regioni, in Legnani, M., a cura di, Regioni e Stato, cit., 167-196, 176 ss.; Melis. G., L’amministrazione, in Romanelli, R., Storia dello Stato italiano dall’Unità a oggi, Roma, 1995, 187-251, 223-225; Parri, F., Dalla Resistenza alla Repubblica, alla Costituzione, in Fascismo e antifascismo, cit., 611-627, 622; Pavone, C., La continuità, cit., specie 146 ss.; Rotelli, E., L’avvento della regione, Milano, 1967, specie 187 ss.; Id., La restaurazione post-fascista degli ordinamenti locali, “Italia contemporanea”, 31, 1979, 45 - 72, ora in Id., Costituzione e amministrazione dell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1981, 257-307). L’atteggiamento del governo centrale può essere a sua volta esemplificato dalla lettera che Bonomi indirizzò ai comandi alleati il 24 aprile 1945 (Melis. G., Storia dell’amministrazione, cit., 409), dove si legge che «il sistema di attribuire la carica di prefetto o di questore a persone designate, nelle singole Province, da Comitati o da partiti politici locali è incompatibile con la legislazione democratica dello stato italiano, e può essere cagione di imprevedibili conseguenze nel campo politico, giacché, in definitiva, esso può anche essere interpretato come un audace tentativo di anticipare, nella pratica, l’esperimento di riforme che, in uno stato democratico, devono essere attuate soltanto quando la volontà popolare, liberamente espressa, le abbia sancite» (riportato in Rotelli, E., La restaurazione, cit., 274, e in Pichierri, A., La costituzione provvisoria, 376; si veda pure sul punto ivi, 228 ss.).
Proprio a partire dalla centralità della vicenda dei “prefetti politici” – vicenda tutta istituzionale e amministrativa, prima che costituzionale – è stato scritto che «il dualismo tra poteri derivanti dalla Resistenza e poteri derivanti dalla continuità dello Stato si sarebbe dovuto risolvere al più presto, e a vantaggio dei secondi» (Melis, G., Storia dell’amministrazione, cit., 409; Id. L’amministrazione, cit., 223 ss.). Del resto, il tema del rapporto fra “rottura” e “continuità” con «l’antico ordine delle cose» è stato indicato, da Riccardo Lombardi, come «il vero problema della Resistenza, il problema politico della Resistenza», il «solo» (Lombardi, R., I problemi politici della Resistenza, in Fascismo e antifascismo, cit., 519-547, 526-527). Mentre la questione dei «prefetti politici» e, più in generale, di un «modello di governo dei CLN» può – e forse deve – essere inscritta nel quadro efficacemente rappresentato dalla celebre lettera aperta che nel novembre 1944 il Partito d’azione indirizza «a tutti i partiti aderenti al CLN» (Mercuri, L., Antologia della stampa clandestina, Roma 1982, 180 ss.; su questo testo si sofferma in particolare Rotelli, E., L’avvento della regione, cit., 48 ss.; si vedano pure Collotti, E., Natura e funzione, cit., 239 ss.; Grassi, G., Legnani, M., Il governo dei CLN, cit., 74, dove, peraltro, le «divergenze tra i partiti sul ruolo dei CLN» emerse in quell’occasione sono lette anche tenendo conto della vicenda dei CLN aziendali, ivi, 74 ss.; Lombardi, R., I problemi politici, cit., 529 e 538 ss.; Pinelli, C., Comitati di liberazione nazionale, cit., 2; sul tema della «continuità dell'amministrazione» anche De Siervo, U., La transizione, cit., 571 ss., nonché Collotti, E., Natura e funzione, cit., 231 ss.).
Com’è noto il testo – redatto da Riccardo Lombardi, Vittorio Foa e Altiero Spinelli, e condiviso da Leo Valiani (Quazza, G., Resistenza, cit., 300) – afferma con chiarezza che «l’antica linea di divisione fra sinistra e destra in seno all’antifascismo ha oggi perso quasi ogni significato, e la futura è a malapena delineata, e non corre comunque fra partito e partito, ma nell’interno di ogni partito», fra quelli che «veramente credono alla possibilità di una democrazia progressiva che con i suoi istituti popolari esautori ed elimini il vecchio stato autoritario italiano», e quelli che, al contrario, «si preparano semplicemente a correre all’arrembaggio di questo vecchio stato autoritario, o anche solo dei suoi rottami».
Il documento prosegue poi affermando che l’Italia settentrionale «non ha più un apparato politico od amministrativo legittimo», ed «esso non può sorgere che dal Comitato di Liberazione nazionale. Il governo di Roma lo ha già investito di una delega ad esercitare poteri di governo e di amministrazione nell’Italia occupata; di fatto non esiste accanto ad esso alcun altro organo capace di assumersi questa funzione. Se il CLN dovesse rivelarsi incapace di assolverle non vi sarebbe per l’Italia settentrionale altra alternativa che l’accettazione passiva di una pura amministrazione militare anglo-americana, fino al momento in cui anche queste regioni verranno sottoposte di nuovo ai prefetti nominati da Roma».
Tuttavia «il CLN è rimasto una pura e semplice coalizione di partiti […] non possiede i mezzi per controllare l’effettiva esecuzione dei decreti che va via via promulgando; […] non ha ancora pensato a determinare con una serie d’ordinanze d’emergenza i compiti fondamentali politici ed amministrativi che spetteranno ai Comuni, alle Provincie ed alle Regioni». Mentre «la preoccupazione preminente dei singoli partiti sembra limitarsi a garantire l’equilibrio delle rispettive rappresentanze», il CLN «sembra non essersi reso sufficientemente conto che le forze armate partigiane non rappresentano un passeggero fenomeno, ma devono diventare la forza armata della nuova democrazia italiana con cui si dovrà provvedere, oltre che ad attaccare i tedeschi ed a eliminare le eventuali resistenze armate dei fascisti, anche a costituire i quadri fondamentali della polizia e del futuro esercito popolare».
Perciò «il CLNAI, richiamandosi alla delega ricevuta dal governo di Roma, che lo autorizza ad esercitare poteri di governo e di amministrazione […] dichiara di essere sin d’ora il governo segreto straordinario dell’alta Italia, ed ordina a tutto il popolo di riconoscere come soli organi pubblici quelli che esso ha investiti o investirà». Nella «legislazione straordinaria» che il CLN, «in virtù della delega dei poteri governativi conferitagli da Roma, deve procedere ad elaborare finché duri l’illegalità», una «particolare attenzione andrà data alla formazione delle autonomie della regione, che nel vecchio Stato italiano non esisteva più, ma che è il nucleo centrale della rinascita democratica italiana». Gli stessi CLN devono acquistare una fisionomia istituzionale propria, separata da quelle dei partiti che li compongono: «ogni CLN investito di poteri amministrativi deve cessare di essere, come spesso è stato sinora, una testa senza corpo o meglio con cinque corpi. I partiti politici daranno tutta la loro opera per rafforzare l’autorità del CLN nel paese, ma la rete dell’amministrazione non va confusa con quella dei partiti. Il CLN deve stabilire fin d’ora, e sviluppare non appena si passi alla legalità, rapporti diretti, mediante suoi funzionari con i CLN da lui dipendenti e con i cittadini».
Dunque, fra le «linee essenziali» della politica che il CLNAI deve far accettare al governo di Roma, si legge che «nel campo della politica interna il processo di creazione di uno stato veramente democratico avviato dal CLNAI, deve essere proseguito ed esteso a tutto il paese. Al Ministero degli Interni spetta il compito, grave e di importanza cruciale per il futuro del nostro paese, di guidare il popolo alla costruzione di organi di autogoverno regionali e comunali che non siano semplici strumenti decentralizzati del governo di Roma, ma centri di forte vita autonoma, e perciò garanzia di libertà per tutto il paese» (Mercuri, L., Antologia, cit., 180-191).
Dal testo azionista emerge la piena consapevolezza di quanto centrale e urgente fosse la questione del tessuto istituzionale su cui fondare la «democrazia progressiva» a venire. Il percorso indicato si basa su almeno tre caposaldi: i CLN come istituzione rappresentativa indipendente dai singoli partiti che ne fanno parte; le «organizzazioni di massa (sindacali, femminili, professionistiche, giovanili, ecc.)», più volte richiamate nel documento, come «strumenti straordinari dell’inquadramento del popolo italiano nella vita pubblica» (ivi, 183); l’ordinamento di forti poteri locali di natura comunale, provinciale e regionale come basi della riorganizzazione istituzionale in chiave anticentralistica.
La replica comunista appare in definitiva interlocutoria (Mercuri, L., Antologia, cit., 192 ss., 204 ss.; Quazza, G., Resistenza, cit., 302 ss.), quella socialista più critica (Collotti, E., Natura e funzione, cit., 240). Invece la replica democristiana, apparsa su “Il Popolo” del 28 febbraio 1945, esprime una posizione di netta chiusura: è stato «particolarmente gradito […] l’accenno dell’esecutivo del P.d’A. circa l’autonomia della regione, la quale è felicemente definita ‘nucleo essenziale della rinascita democratica italiana’»; inoltre, di certo «il P.D.C. non condivide né lo spirito informatore del vecchio Stato liberale italiano, né vari[e] delle sue forme»; ma «da questo riconoscimento della necessità di riforme anche radicali del vecchio istituto statale italiano all’abbandono improvviso, totale ed immediato di esso, vi è un’immensa distanza che il P.D.C., conscio di rappresentare una forza di equilibrio nella vita nazionale e di far valere l’esigenza di rivoluzione progressiva entro un ordine evolutivo che è la esigenza che esso ritiene propria alla grande maggioranza del popolo italiano, non varcherà mai. Questo soprattutto perché il P.D.C. si sente anzitutto Partito democratico e, come tale, vuole che sia il popolo a decidere, con la maggioranza dei suoi voti, il proprio aspetto statale». Se «coloro i quali si sono riuniti, ormai da lungo tempo, nei C.L.N. costituiscono le forze più vive e operanti del popolo italiano», qualora «si impadronissero della sovranità nazionale senza che nessuno li abbia designati all’infuori della loro coscienza e del loro coraggio», in realtà «imporrebbero al popolo italiano un’altra dittatura, certo infinitamente migliore, ma sempre dittatura» (Mercuri, L., Antologia, cit., 211-215; per la replica liberale, chiaramente altrettanto ostile, si veda ivi, 217 ss.).
In questo modo, vengono messe in luce le «divergenze tra i partiti sul ruolo dei CLN nella costruzione del nuovo Stato» (Grassi, G.-Legnani, M., Il governo dei CLN, cit., 74). Ma l’idea di fare dei CLN la matrice del nuovo Stato sembra, in definitiva, già tra la fine del 1944 e i primi mesi del 1945 del tutto inattuale.
Com’è noto, con d.lgs. lgt. 5.4.1945, n. 146 viene istituita la Consulta Nazionale. Già il d.lgs. lgt. 30.4.1945, n. 168 prevede (art. 1) che «centocinquantasei consultori» siano «designati dai sei Partiti che costituiscono il CLN» (per l’art. 2 «ciascuno dei sei Partiti del CLN designerà ventisei consultori»). Inoltre, liberata l’alt’Italia, per il d. lgs. lgt. 12.7.1945, n. 422 «ciascuno dei Partiti che costituiscono il CLN designerà undici Consultori, su proposta dei propri organi locali, sentiti i Comitati provinciali di liberazione della regione». Infine, per il d. lgs. lgt. 31.8.1945, n. 527 (art. 5) «le direzioni centrali dei Partiti che costituiscono il CLNAI designeranno inoltre, in ragione di uno per Partito, cinque Consultori scelti tra coloro che fecero parte del Comitato predetto nel periodo in cui esso fu delegato a rappresentare il Governo nel territorio occupato dal nemico. Faranno altresì parte della Consulta coloro che in tale periodo hanno diretto il CLNAI» (sul punto Mortati, C., La Costituente, cit., 235 ss.; Caretti, P., Forme di governo, cit., 53 ss.). Nel frattempo, nel giugno 1945, al secondo governo Bonomi succede il governo Parri, «lacerato dai dissensi tra gli elementi moderati, che volevano salvaguardare la continuità dello Stato e garantire la permanenza dell’Italia nel novero delle nazioni legate ai tradizionali ordinamenti democratico-liberali di stile occidentale, e quelli ispirati invece da una visione radicalmente innovativa delle strutture da dare al paese sulla base di esperienze socialiste di tipo rivoluzionario o di un riformismo assai spinto» (Ghisalberti, C., Storia costituzionale d’Italia. 1848/1948, Bari, 19833, 401; ora si veda pure Dogliani, M., Convenzioni costituenti, cit., 146 ss.). Ma già in questa fase è stato indicato il raggiungimento dell’obbiettivo di impedire che il governo legiferasse «in merito alla composizione dei CLN […] ritenendo che ciò, a ragione, avrebbe significato il loro riconoscimento giuridico e, quindi, la loro immissione nella struttura dello Stato» (Pichierri, A., La fine dei CLN e la formazione del primo governo dell’Italia libera, in Agosti, A., a cura di, Togliatti e la fondazione dello Stato democratico, Milano, 1986, 202-256, 206). Infatti il 2 giugno 1945 «i leader dell’antifascismo, a Roma, si accordarono per dichiarare cessata l’attività (e dunque anche l’autorità) dei CLN» (Melis. G., L’amministrazione, cit., 225; per Pichierri «la fine dei CC. LL. NN. si avrà nella riunione dei sei partiti, il 4 giugno 1945, effettuata nel contesto delle riunioni dei sei segretari per la crisi di governo conclusasi con la chiamata di Parri […]. Così finì il potere di fatto sorto spontaneamente nel corso delle vicende belliche e politiche. Gli stessi partiti antifascisti, che avevano dato vita ad esso spinti dalla guerra e dalla difesa nazionale, ora ne decretano la scomparsa», Pichierri, A. La costituzione provvisoria, cit., 232-233). A quel punto, la vitalità dei CLN come istituzione autonoma appare avviata a spegnersi. Nel novembre 1945 il governo Parri cade («per i contrasti interni ai partiti del CLN di cui era l’espressione», Ghisalberti, C., Storia costituzionale, cit., 402), ed è stato scritto che questo momento «rappresenta il più evidente punto di svolta involutiva dopo l’alta marea della Resistenza» (Pavone, C., La continuità, cit., 114). Con la formazione, il 10 dicembre 1945, del primo governo De Gasperi la fase politica cambia definitivamente, ed è ormai ispirata all’«opera di normalizzazione della vita pubblica» (Ghisalberti, C., Storia costituzionale, cit., 404; in proposito si vedano pure le osservazioni di Chabod, F., L’Italia contemporanea, cit., 142). Così il ruolo dei CLN nella costruzione del nuovo Stato si esaurisce, per fare spazio ad altri soggetti collettivi e, infine, all’Assemblea Costituente (le date indicate come conclusive dell'esperienza dei CLN vanno dal 21 giugno 1946, giorno dell’ultima riunione a Milano, al 19 luglio successivo: Abbamonte, G., Comitato di liberazione, cit., 598; Fiorillo, M., La nascita della Repubblica, 153). Ma il lavoro di inquadramento dottrinale di quell’esperienza, intesa evidentemente come centrale nel processo di legittimazione del nuovo ordinamento democratico, comincia rapidamente (Delle Piane, M., Funzione storica dei comitati di liberazione nazionale, Firenze, 1946, ma il saggio che precede l’appendice documentaria è datato in calce «23 settembre 1945», ivi, 78; Abbamonte, G., Comitato di liberazione nazionale, cit., 599; una ricostruzione recente del dibattito in Tropea, G., La funzione pubblicistica del partigiano, in Resistenza e diritto pubblico, cit., 163-190, specie 170 ss., 173 ss.). Con riferimento al quadro ordinamentale tracciato col d.-l. lgt. 25 giugno 1944 n. 151, già nel 1945 Costantino Mortati offre una prima ricostruzione della condizione giuridica dei CLN. Interrogandosi sul “limite” posto, in quella situazione, alla «azione della corona nella scelta dell’indirizzo politico, da imprimere allo Stato, attraverso la nomina ed il licenziamento dei ministri», Mortati lo indica sostanzialmente nei CLN (ma, sembrerebbe, nel CLN centrale in particolare): «la interpretazione più adeguata alla realtà dei rapporti venutisi a determinare sembra essere quella che affida al comitato di liberazione nazionale un compito analogo […] a quello prima spettante al parlamento, e che quindi attribuisce alle decisioni di questo comitato, in ordine all’indirizzo politico da imprimere all’azione statale ed alla scelta delle persone destinate a realizzarlo, valore vincolante di fronte al luogotenente generale» (su questo punto si vedano le osservazioni in De Siervo, U., La transizione, cit., 568). Ecco dunque che il CLN si configura come «organo dello Stato in via di fatto», che ha in primo luogo svolto la funzione di «provocare la decisione costituente e determinare la formazione del governo provvisorio destinato a realizzarla» (Mortati, C., La Costituente, cit., 232-234. Va comunque notato che, nella terza edizione delle sue Istituzioni di diritto pubblico, Padova, 1955, Mortati descrive la fase che va dall’8 settembre 1943 al giugno 1944 come «caratterizzata dal conflitto fra il re, che, pur cedendo alla spinta della pubblica opinione per una radicale trasformazione dell’assetto statale, avrebbe voluto affidare tale compito agli ordinari organi costituzionali, e le forze politiche antifasciste, riunite nei ‘comitati di liberazione nazionale’, veri organi della comunità statale autorganizzatasi, che invece richiedevano l’abbandono del potere da parte del re […] e la convocazione di un’apposita assemblea costituente» – ivi, 91-92; il riferimento quindi è chiaramente ai CLN nel loro complesso, non al CLN centrale in particolare. Curiosamente, nell’edizione precedente, Padova, 19522, il brano è identico, salvo per la definizione «veri organi della comunità statale autorganizzatasi», che manca; ivi, 85). Per Mortati i CLN sono dunque stati «formazioni spontanee […] che si collegarono fra loro in un organismo unitario»: «così, nell’unico modo reso possibile dalle circostanze, nel modo che s’è visto caratteristico di tutte le nuove instaurazioni, cioè mediante autoassunzione di potere ed in via di fatto, si veniva a costituire un organo, il quale sollevava la pretesa ad intervenire nella direzione dello Stato e quindi ad assumere nell’organizzazione di questo un proprio rilievo giuridico» (Mortati, C., La costituente, cit., 207-208). Le riflessioni di Mortati sono riprese a breve distanza di tempo da Giuseppe Guarino, che accoglie in pieno l’analogia fra CLN e Parlamento, (Guarino, G., Due anni di esperienze costituzionali, cit., 66 ss.), ma insiste sulla loro caratteristica di «organo complesso» («la caratteristica strutturale dei CLN è che essi sono composti non da singoli, ma da partiti, con la conseguenza che le persone che partecipano alle sedute […] possono cambiare», ivi, 68), da tenere tuttavia ben «distinto dai singoli partiti» che li compongono (perché «1- i partiti che indirettamente hanno attribuzioni costituzionali sono solo quelli facenti parte dei CLN; 2- le decisioni degli esponenti di questi partiti hanno rilevanza solo quando essi sono in riunione di Comitato», ivi, 69); ne suddivide la storia in tre fasi (ivi, 67 ss.); ne inquadra la posizione nell’ordinamento soprattutto in rapporto al ruolo del primo ministro e all’ordinamento del governo e della Consulta nazionale (ivi, 72 ss.). A queste seguiranno, naturalmente, riflessioni numerose e diverse. Solo ad esempio, e senza pretesa di completezza, si può ricordare quella di Ferruccio Pergolesi, per cui i CLN sono stati «organi straordinari politici», che «hanno preparato in larga misura il nuovo ordinamento governativo e per lungo periodo, con fasi alterne di efficienza, lo hanno fiancheggiato e controllato». La loro rilevanza è stata politica, «ma anche, in qualche misura, giuridica in ordine ad esempio alla formazione della Consulta nazionale, alla scelta dei giudici popolari e degli incaricati all’ufficio di pubblico ministero nelle corti d’assise straordinarie», in considerazione anche della delega a rappresentare il governo nelle zone occupate conferita al CLNAI (Pergolesi, F., Diritto costituzionale, Bologna, 19485, 9-11). Mentre, di lì a pochi anni, Vincenzo Gueli sembra ridimensionare il peso dei CLN a vantaggio di quello dei partiti, di cui appaiono sostanzialmente un’emanazione: «si costituirono, infatti, per fini per i quali i partiti stessi si impegnavano alla collaborazione, organi direttivi locali comuni (comitati di liberazione nazionale) facenti capo ad un comitato, che ebbe clandestinamente sede in Roma occupata dai Tedeschi. Quest’organizzazione ‘interpartitica’ […] era assistita da una presunzione di rappresentatività delle più cospicue e vive correnti dell’opinione pubblica», ma in definitiva non ebbe «alcuna parte diretta nell’esercizio della potestà sovrana dello Stato» (Gueli, V., Diritto costituzionale provvisorio e transitorio, Roma, 1950, 66-67). In esplicita polemica con Mortati, Gueli nega al CLN la natura di «organo costituzionale», come pure che «abbia direttamente esercitato una funzione di indirizzo politico» (ivi, 66 e n.). Giuseppe Abbamonte distingue nettamente i profili dei CLN del Sud e dell'Alta Italia (Abbamonte, G., Comitato di liberazione, cit., 597-599) e, nel complesso, li definisce non organi, ma «associazioni politiche di secondo grado perché composte di altre associazioni, quali erano i partiti politici e gli altri raggruppamenti che in essi convenivano» (ma insiste pure sulla costante autonomia della loro azione, ivi, 599). Forse più attento a valorizzare l’esperienza dei CLN nella loro autonomia istituzionale è Paolo Barile che, riferendosi alla formazione del governo del 18 giugno 1944, parla di «importante innovazione costituzionale, perché il Comitato centrale di liberazione nazionale volle attribuirsi e ottenne di assumere l’incarico, di rilievo eminentemente costituzionale, di designazione del governo alla corona: così il C.C.L.N. si poneva come l’organo provvisoriamente destinato a sostituire le Camere», assumendo così «fino al momento della elezione della assemblea costituente, la funzione di organismo rappresentativo della opinione pubblica italiana» (Barile, P., Corso di diritto costituzionale, Padova, 19642, 42-43; il passo è peraltro citato in Maranini, G., Storia del potere in Italia 1848-1967, Firenze, 1967, 334 n.). Per Carlo Lavagna i CLN «costituitisi dopo l’8 settembre acquistarono immediatamente la veste di istituzioni pubbliche originarie, a vero e proprio carattere governativo», e si arrivò ad una loro «autoattribuzione, sia pure virtuale, di una vera e propria potestà costituente, oltre che delle altre potestà di governo» (Lavagna, C., Comitati di liberazione, cit., 784-785; Ridolfi, A., La giurisdizione durante il regime costituzionale provvisorio e la sua valutazione nella giurisprudenza successiva, in Nomos, 2017, 2, 14). Mentre, per i CLN operanti nell’Italia occupata, «si è parlato, in genere, di istituzioni (in senso lato) agenti nell’àmbito dell’ordinamento giuridico italiano per la esplicazione, necessitate cogente, di funzioni pubbliche indifferibili» (Lavagna, C., Comitati di liberazione, cit., 785). Anche Vezio Crisafulli attribuisce ai CLN – come pure, così distinguendo, ai partiti – un «ruolo decisivo»: in particolare, il CLN centrale «svolse dopo la liberazione di Roma compiti analoghi a quelli indirettamente esplicati dalle assemblee parlamentari nelle forme di governo ‘parlamentari’»; mentre il CLNAI e i CLN «dell’Italia occupata dai tedeschi esercitarono – nella clandestinità – veri poteri di governo, esplicantisi in atti normativi e provvedimenti concreti di vario contenuto» (Crisafulli, V., Diritto costituzionale, 1, Padova, 19702, 124-125). Inoltre, già dai primi anni del dopoguerra non mancò un’intensa attività giurisprudenziale, «in tema, ad esempio, di oltraggio a pubblico ufficiale ‘partigiano’, di imposizione di contribuzioni di guerra, di potere di compiere rappresaglie e prelevare ostaggi, di confisca, di trattamento degli ‘indesiderabili’, nonché di responsabilità connessa all’eccidio delle Fosse Ardeatine e al precedente attentato di via Rasella» (Tropea, G., La funzione pubblicistica, cit., 176): circa la quale, è stato scritto che per lo più «esprime un’impostazione di fondo […] che potremmo definire ‘realistica’: l’idea è che l’origine dei CLN e l’attività da essi svolta non possano essere valutate secondo i canoni del formalismo giuridico, poiché esse si sono svolte al di fuori del diritto positivo, come prodotto di un mutato equilibrio di forze sociali» (ivi, 177; per un esame approfondito si veda ivi, 178 ss., nonché Ridolfi, A., La giurisdizione durante il regime costituzionale provvisorio, cit., 16 ss.; Lavagna, C., Comitati di liberazione, cit., 784 ss.).
Tuttavia, a dare la misura di quanto profonda fosse la frattura che l’esperienza dei CLN produceva rispetto alla cultura giuridica precedente sono, forse, alcune pagine di Santi Romano, datate in calce “settembre 1944” (quindi più o meno all’epoca del suo deferimento «all’Alta corte di giustizia in quanto ex senatore, nonché alla commissione di epurazione del Consiglio di Stato»: Melis, G., Romano, Santi, in Diz. biografico degli Italiani Treccani, 88, Roma, 2017, 276-281, 279). Si tratta della voce Rivoluzione e diritto, contenuta nei celebri Frammenti del giurista siciliano (Romano, S., Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1983, 220-233, ora in L’ultimo Santi Romano, Milano 2013, 813-825; le citazioni che seguono sono tratte dall’edizione del 1983). Vi si legge che «una rivoluzione che sia veramente tale, e non un semplice disordine, una rivolta o sedizione occasionale, è sempre un movimento organizzato […] un’organizzazione statale in embrione». Ci sono però, continua Romano, «dei casi molto frequenti e di cui si hanno esempi anche recentissimi, anzi attuali, in cui l’organizzazione rivoluzionaria si appoggia ad alcune delle istituzioni dello Stato che volenti o nolenti hanno aderito al movimento rivoluzionario e continuano a funzionare, conformandosi ad esso […]. In tali casi, l’organizzazione rivoluzionaria viene a confondersi, almeno in parte, con quella stessa dello Stato, assumendo la figura d’un governo provvisorio di esso» (Romano, S., Frammenti, cit., 224-225). Ma se una rivoluzione «è da considerarsi un ordinamento giuridico», si può tuttavia ricondurre alla «categoria dei ‘diritti non giusti’» (con riferimento non al «diritto che da una rivoluzione può scaturire», ma a «quello che regola un movimento rivoluzionario in atto»). Anzi: «esso riesce molte volte (si intende che non è il caso di generalizzare troppo) ancora più ingiusto degli ordinamenti delittuosi e immorali del tipo […] delle cd. ‘società dei ladroni’». L’ordinamento di una rivoluzione, più che i rapporti interni, riguarda «l’azione da essi rivolta a distruggere l’ordinamento statale contro cui il movimento è diretto. Il che vuol dire che nessuna o scarsa considerazione è accordata a quella relativa giustizia interna che viceversa costituisce il contenuto più importante delle società delittuose di cui si è fatto cenno. Le intese fra i diversi gruppi o partiti rivoluzionari, che pure possono aver luogo, come dimostra la coalizione di partiti che si è stabilita nella rivoluzione che, mentre scrivo, si svolge in Italia, hanno carattere essenzialmente politico, possono contribuire a far assumere questo o quell’aspetto all’ordinamento della rivoluzione, ma in sé e per sé non sono che impegni d’onore, regolati da norme di correttezza, di lealtà etc., non da norme giuridiche» (ivi, 226-227).
Inoltre, anche se il suo fine è «intrinsecamente giusto [...] ogni rivoluzione, che è violenza e violenza di masse, è attuata da violenti che i capi stentano a mantenere entro linee prestabilite. Essi, in buona o mala fede, affermano che sono atti di giustizia le uccisioni degli avversari o di chi ritengono avversario», così «gli uccisi si dicono ‘giustiziati’; le sostituzioni nelle cariche pubbliche degli uomini del regime che si vuole abbattere, non importa se onesti e competenti, con uomini della rivoluzione, si dicono ‘epurazioni’; le espropriazioni sono sanzioni di illeciti profitti etc.» (ivi, 227-228).
Il carattere distruttivo di ogni rivoluzione è rimarcato da uno dei tratti fondamentali delle costituzioni nate dopo la Rivoluzione francese: infatti esse sono «costituzioni scritte, alle quali non ha posto mano una lunga storia». Anziché poggiare su «uno sviluppo lento e progressivo, naturale e spontaneo», i popoli «hanno dovuto creare quasi ex nihilo, disegnandole con pochi e inespressivi tratti sulle carte o statuti costituzionali, le loro istituzioni politiche». Ma «quando si manifesta la necessità o l’opportunità di modificare in qualche parte una costituzione scritta, tutte le altre parti di essa rimangono come sconnesse e crollanti, in modo che spesso si preferisce rinnovarla per intero». Così, prende corpo un «circolo vizioso, per cui le costituzioni che hanno un’origine rivoluzionaria determinano altre rivoluzioni» (ivi, 228-229).
Gli ordinamenti rivoluzionari sono caratterizzati da «estrema instabilità» e «deteriorità tecnica», in quanto «non possono non essere, almeno in gran parte, improvvisati», senza precedenti, «giacché ogni moto rivoluzionario ha caratteri suoi propri». Infine «le autorità, le assemblee, i comitati, da cui emanano, il più delle volte non hanno la necessaria competenza ed esperienza; per giunta diffidano della collaborazione di tutti coloro che trovano inquadrati negli organi del regime che intendono abolire, anche quando si tratta di persone aliene dalla politica, imparziali ed esperte; e non è certo raro il caso che della propria ignoranza essi si vantino» (ivi, 231-232).
Le parole di Romano vanno certamente lette nel quadro della sua vicenda personale e istituzionale. Ma sono anche parole del grande giurista che era stato, fra l’altro, figura intellettuale di primo piano nella transizione dallo Stato liberale al regime fascista: il suo disagio verso le prospettive di rinnovamento istituzionale emerse nel corso della lotta di liberazione non possono non indicare anche un più profondo disagio di una cultura giuridica, per molti esponenti della quale l’approdo degasperiano dovette apparire salvifico.
Ciò che il giurista siciliano sembra rifiutare, è il valore giuridico di una prospettiva prima di tutto abrogativa, e solo in un secondo momento, quasi per necessità, costituente, che appare dissonante rispetto al Leitmotiv della permanenza e stabilità degli ordinamenti. Un valore che, al contrario, è ragionevole non sfugga a Mortati, giurista altresì attentissimo ad inquadrare giuridicamente l’azione delle forze che storicamente determinano i processi di formazione del diritto (e che col pensiero di Romano aveva certamente un legame, segnalato ad esempio in Lanchester, F., Mortati, Costantino Napoleone, in Diz. Biografico degli Italiani Treccani, 77, Roma, 2012, 245-249). L’attenzione alle questioni istituzionali, in realtà, come si è avuto modo di vedere appare vivissima in molte delle forze rappresentate nei CLN (si è parlato di una prospettiva «legale/razionale ad un tempo», con cui «i CLN si promuovono come canale attraverso il quale deve passare la costruzione del futuro potere», Piretti, M. S., Continuità e rottura alla nascita del sistema dei partiti, in Franceschini, C.-Guerrieri, S.-Monina, G., a cura di, Le idee costituzionali della Resistenza: atti del Convegno di studi: Roma 19, 20 e 21 ottobre 1995, Roma, 1997, 206-212, 211). Tuttavia è un’attenzione che a sua volta matura in un solco di assoluta discontinuità con le trascorse vicende istituzionali e giuridiche. Un solco che già in Assemblea Costituente si cercherà di colmare, grazie ad equilibri politici ormai lontanissimi da quelli che avevano caratterizzato la vita dei CLN.
R.d. 5.6.1944, n. 140; d.l. lgt. 25.6.1944, n. 151; d. lgt. 28.2.1945, n. 73; d.lgs. lgt. 5.4.1945, n. 146; d.lgs. lgt. 30.4.1945, n. 168; d.lgs. lgt. 12.7.1945, n. 422; d.lgs. lgt. 31.8.1945, n. 527.
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