COMINAZZO (Cominazzi, Cominassi, di Cominaci fino alla prima metà del XVI secolo)
Celebre dinastia legata alla produzione delle canne per le armi da fuoco portatili, attiva sopratutto a Gardone Val Trompia dal XV al XIX secolo. Un ramo si stabilì a Brescia e, presumibilmente, si dedicò alla finitura e alla vendita di armi civili.
Il continuo ripetuto impiego degli stessi nomi e la informale ma tenace patronimizzazione dei più comuni fra questi (Lazzaro, Lazarino), ha reso per ora assai difficile sia l'attribuzione delle canne conosciute (presenti a centinaia in tutti i musei e collezioni del mondo), sia una attendibile differenziazione dei vari membri della famiglia, nonché della loro specifica attività. Va infatti tenuto presente che, a partire dal XVI secolo, l'organizzazione produttivadi Gardone - centro che, per particolare privilegio conferito dalla Repubblica veneta, deteneva il monopolio della fabbricazione delle canne - prevedeva l'opera dei "maestri bollitori" (maestri da canne verie propri), dei "maestri trivellatori", dei "maestri livellatori", dei "maestri da vitoni", dei "maestri moladori", talvolta dei "maestri camuzzatori" (di coloro, cioè, che decoravano in rilievo le canne) e dei maestri "fornidori" (coloro che applicavano traguardo, mirino e, sulle canne perarchibugi o moschetti a miccia, lo scodellino).
A differenza di quanto comunemente creduto, solo pochi dei C. furono "maestri bollitori" (tra questi vanno ricordati: Vincenzo di Andrea, attivo nel 1673; Vincenzo fu Francesco, che nell'anno 1688 aveva prodotto e venduto 1904 canne civili; Andrea, attivo nel 1689; Pietro, attivo nel 1724, e Bartolomeo, attivo nel 1744). La maggior parte degli altri furono "moladori" o "camuzzatori" e come tali rifinirono e firmarono numerosissime canne in realtà fabbricate da altri.
Resta il fatto che almeno per due secoli - dal Cinquecento al Settecento avanzato - "Lazarino Cominazzo" è stato sinonimo di fabbricante di canne di alta qualità, come è attestato dai trattatisti contemporanei, qualunque ne sia la loro serietà scientifica (per es. L'Arte fabrile di A. Petrini, ms., 1642: vedi ediz. a cura di A. Gaibi, Un manoscritto del 600..., in Armi antiche, 1962, p. 129), e che il termine "canne lazzarine", già impiegato nei primi del Seicento (Bonaventura Pistofilo, L'Oplomachia, Siena 1621: vedi Angelucci, 1890, p. 426) si trova, falsificato, su canne dell'Ottocento (Schedelmann, 1972, p. 286). Il termine "Lazarina" è addirittura impiegato ancora oggi, nei paesi di lingua portoghese, per indicare uno schioppo da caccia (C. Gaier, Quarre siècles d'armurerie liègeoise, Liège 1977, p. 56).
Inoltre, la presenza e l'operosità di alcuni C. in Brescia anziché a Gardone (da cui però si vantavano sempre di provenire) sono attestate, oltre che da numerose "polizze d'estimo" redatte in Brescia in varie epoche (Gaibi, 1962), dai diari di viaggiatori contemporanei: si veda, oltre al citatissimo John Evelyn (The Diary of John Evelyn [1646], a cura di E. S. de Beer, Oxford 1955, II, pp. 489, 528), Richard Lassels (The Voyage of Italy, Paris 1670, II, p. 439).
Sul ramo bresciano dei C. si è appuntata, l'attenzione di A. Gaibi (1960 e 1962), che cercò appunto di ricostruirne la genealogia; ma sia le conclusioni del Gaibi, sia quanto pubblicato in opere successive deve essere accettato con cautela e con riserva di verifica; poco attendibile appare, in particolare, Der neue Stockel, I, Schwäbisch Hall 1978, pp. 233 ss.
I C. di cui abbiamo documentate notizie (oltre a quelle desunte dalle polizze d'estimo citate sopra; le notizie non seguite da indicazioni bibliografiche sono dovute alle ricerche di M. Morin) sono i seguenti: Giovanni Angelo (1538); Anselmo (154C; Lazzaro (detto Lazarino), già defunto quando il figlio Bernardino sposò nel 1588 Ginevra Guerrini; Francesco, già defunto quando il figlio Giacomo sposò nel 1595 Veronica Chinelli; il "Lazarino Cominazo de Gardò" che il 19 luglio 1583 scriveva al cancelliere e segretario del conte N. Gambara una lettera in cui si parla di "canne dritte" che doveva mandare a Verolanuova (R. Guerrini, in Antologia Gardonese, 1969, p. 302); un "Lazari da Gardò" (non si sa se lo stesso), che il 7 sett. 1593 firma una ricevuta per canne fornite al duca di Mantova (riprodotta in Angelucci, 1890, p. 427); un "Lazarino" non meglio identificato (forse sempre lo stesso), di cui si parla in un documento del 1595 (A. Bertolotti, Le arti minori alla corte di Mantova, Milano 1889, p. 160); Andrea, già defunto quando il figlio Vincenzo sposò nel 1603 Cecilia Zambonetto; Bernardo, vivente quando nel 1606 la figlia Camilla sposò Pietro Piccinardi; Giacomo, defunto quando la figlia Giacomina sposò nel 1607 Francesco Moretti.
Questa elencazione, oggi come oggi, può solo giovare a ricostruire un attendibile albero genealogico della dinastia, ma nulla si sa sulle reali vicende dei singoli membri di essa, né sulla loro operosità. Maggiori notizie abbiamo di Giovanni Angelo "Lazarino" del fu Lazaro, condannato al bando insieme con Lodovico Tempini e con Hieronimo Ferrai (Ferraglio), entrambi maestri di canne di Gardone, nel 1614; ma a confondere le idee stanno le firme esistenti su alcune armi da fuoco databili genericamente alla prima metà del sec. XVII e che suonano "Angelo Lazarino Cominazzo" o, al contrario "Gio Lazarino Cominazzo" (Carpegna, 1982, ad vocem).
Quando, il 23 apr. 1632, il provveditore generale in Terraferma Alvise Zorzi revocò i bandi che avevano colpito tutti i maestri coinvolti in assassini e violenze, fra i graziati figurava un Lazzaro Corminazzo (Morin-Held, 1980, pp. 83 s.) che nello stesso anno sposò Camilla Chinetti. Nello stesso periodo visse e operò un altro Lazaro, celebrato dai contemporanei, che, bandito verso il 1621, lavorò per quattordici anni al servizio di Lorenzo de' Medici. A quest'ultimo Lazaro, il quale negli importanti documenti pubblicati dal Morin (1979) si firma "Lazarino Cominazzi" e sulle canne "Lazarino Cominazo", il bando venne sospeso nell'anno 1635. Tra il 1638 e il 1639 egli "finiva" le stupende canne per due carabine e due pistole che sarebbero poi state donate a Luigi XIII dal Senato veneziano: le tre superstiti sono identificabili, con ragionevole certezza, nell'archibuso e nelle due pistole ora a Stoccolma, Livrustkammaren, nn. 1606, 1607, 1782. Queste ultime sono tra le rarissime armi da fuoco bresciane databili con precisione perché, contrariamente agli armaioli di altri centri, quelli bresciani, salvo pochissime eccezioni, non mettevano mai la data sui loro prodotti.
Durante una sparatoria avvenuta a Gardone il 22 luglio 1641 moriva la madre di Angelo Chinelli che, un mese più tardi, con una archibugiata uccideva a sua volta Lazaro, ritenuto responsabile di quanto era successo.
Altri membri della famiglia di cui si hanno notizie sono Giuseppe del fu Antonio (1612), Aloisio (1629), Iacopo del fu Fortunato (1631), Andrea del fu Vincenzo (1632), Francesco (1635). Un altro Lazaro è ricordato nel 1670, mentre nel 1695 troviamo un Pietro del fu Giovanni Maria e i fratelli Pietro e Bartolomeo figli di Lazaro. Questi ultimi, attorno alla fine del secolo, abbandonano il territorio veneto e si rifugiano a Lecco nel cui castello impiantano una fucina per la fabbricazione di canne militari, ancora attiva nel 1708. Sempre nel 1695 viene ricordato un Giovanni che potrebbe poi essere quel Giovanni (detto, come al solito, Lazarino) del fu Lazaro ancora attivo nel 1714. Nel 1696 lo zio di Pietro e Bartolomeo, Angelo, detto Baldo, del fu Giovanni Maria, aveva ucciso Giacomo Pedretti, maestro di canne al servizio di Giulio Cesare Chinelli; datosi alla latitanza, venne catturato nel 1702 "mentre spogliava un viandante" nei pressi di Asola (Archivio di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 19, f. 237).
Il 24 luglio 1696, da Venezia, il Consiglio dei dieci aveva ordinato l'arresto o l'uccisione di Lazaro (che in realtà, secondo la ricostruzione del Gaibi, 1960, si chiamava Fortunato), considerato generalmente come il più abile e attivo membro della dinastia operante nella seconda metà del sec. XVII. L'uccisione dello stesso per mano di persona rimasta ignota segue nell'ottobre 1696 a Gardone. Per disposizione dei Rettori di Brescia, dopo quattro giorni il cadavere venne esposto al pubblico a Brescia, nel consueto luogo di giustizia al Borgo delle Pile. L'anno successivo un Giovanni (quello di cui sopra?) viene condannato alla galea e quindi consegnato, a Venezia, al magistrato dell'Armar.
Vanno infine ricordati, sempre in base a dati reperiti nell'Archivio parrocchiale di Gardone (quello civico andò distrutto durante i moti del 1797), un Bartolomeo, padre di Lucia andata sposa nel 1675 a Ludovico Beretta, ascendente diretto degli attuali titolari della grande fabbrica d'armi, i fratelli Vincenzo e Marco del fu Giacomo (1764), Giuseppe del fu Vincenzo (1764), Carlo del fu Antonio (1764), Giacomo del fu Andrea (1764) e Bartolo del fu Vincenzo (1764).
Nel corso dell'Ottocento ebbe praticamente fine l'attività del C. quali fornitori di canne di alto livello. Le loro firme, genuine o false, appaiono per lo più su armi destinate al mercato del Levante, in genere di qualità scadente. Tuttavia un Marco (1803-1877: L. Falsina, in Antologia gardonese, 1969, pp. 303 ss.), modesto ma abile operaio della Fabbrica governativa di armi di Gardone, ultimo diretto discendente, a sua detta, della celebre famiglia e appassionato raccoglitore di documenti sulle vicende locali, va ricordato se non altro per aver pubblicato nel 1843 (Brescia) e poi nuovamente nel 1861 i Cenni sulla fabbrica d'armi in Gardone Valtrompia che forniscono alcune notizie interessanti ancora oggi.
La quasi assoluta impossibilità, che si desume facilmente da quanto esposto finora, di assegnare con sicurezza all'uno o all'altro membro della dinastia le opere superstiti che portano il nome Cominazzo, ha indotto alcuni studiosi a fare ricorso a indicazioni convenzionali (Lazaro I e II; Lazarino I, II, ecc.) corrispondenti grosso modo a determinate epoche e a determinati dati biografici assegnati a singoli artefici. Ma questo espediente ha avuto finora il grosso inconveniente di essere applicato con criteri diversi a seconda dei vari autori (Stockel, 1938, pp. 66, 373; Gaibi, 1968;Boccia, 1967;Schedelmann, 1972), dando luogo ad ulteriori incertezze e confusioni. Esisteanche il complesso e spinoso problema delle "false lazzarine e è un fenomeno di cui si parla già in Arte de ballesteria y monteria di Alonso Martinez de Espinar (Madrid 1644; citato in Gaibi, 1960, p. 80; per il testo originale vedi J. D. Lavin, in Armi antiche, 1964, p. 111) e che viene ripreso altrettanto esplicitamente da Isidro Solèr nel 1795 in Los Arcobuceros de Madrid, citato dallo Hayward (1962, p. 193), che accenna ad alcuni criteri da usare per distinguere le vere dalle false "lazzarine". L'argomento è stato ripreso dallo Schatzmannnel 1971 (p. 44), ma è tuttora da approfondire e ben lontano dall'esser risolto, come tanti altri riguardanti le armi da fuoco bresciane in generale.
Fonti e Bibl.: Gardone, Archivio parrocchiale, Matrimoni, registro A (1586-1681), e registro B (1681-1830); Ibid., Battesimi, registri A-F (1573-1830); Ibid., Morti, registri A-C (1648-1808); Arch. di Stato di Brescia, Notai, Gardone, filza 1965; Ibid., Estimo del 1657; Ibid., Notai, Gardone, filza 12.541; Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio del Dieci, Dispacci Rettori, buste 27, 29, 30, 34, 38; Ibid., Inquisitori di Stato, buste 18, 19, 230, 231, 232; Ibid., Senato, Dispacci Rettori Brescia, buste 41, 61, 119, 122; Ibid., Materie miste notabili, reg. 24; A. Angelucci, Catal. dell'Armeria reale, Torino 1890, pp. 426 ss.; A. Gaibi, I C.: una famiglia di artefici famosi..., in Armi antiche, 1960, pp. 75-124; Id., Le armi da fuoc, . in Storia di Brescia, III, Brescia 1961, pp. 817-84; Id., Biogr. undersogelser om familien C., in Vaabenhist. Aarboger, XIa, København 1962, pp. 5-23 (con trad. franc.); J. F. Hayward, The art of gunmaker, I, London 1962, ad Ind.; L. G. Boccia, Nove secoli di armi da caccia, Firenze 1967, p. 166; R. Gardner, Small arms makers, New York 1968, pp. 247 ss.; N. di Carpegna, Armi da fuoco della coll. Odescalchi, Roma 1968, pp. 91 ss.; A. Gaibi, Le armi da fuoco portatili italiane..., Milano 1968, ad Indicem; F. Rossi-N. di Carpegna, Armi antiche del Museo civico L. Marzoli (catal. della mostri tenuta a Brescia). Milano 1969, pp. 92 ss.; Antol. gardonese, Gardone Val Trompia 1969, pp. 302 ss.; P. G. Schatzmann, Brescianische Feuerwaffen, Nürnberg 1971, pp. 12 ss.; H. Schedelmann, Die grossen Büchsenmacher, Braunschweig 1972, ad Indicem; M. Morin, in Art, Arms and Armour, Chiasso 1979, pp. 252 ss.; M. Morin-R. Held, Beretta la dinastia industr. più antica del mondo, Chiasso 1980, passim; M. Morin, in Armi e armature lombarde, Milano 1980, passim; M. Morin, Armi antiche, Milano 1982, pp. 62 ss.; N. di Carpegna, Brescian firearms. A compendium of names, marks and works together with an attempt at classification, Roma 1982, ad voces; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 275. J. Støckel, Haandskydevaabens Bedommelse, I, København 1938, pp. 64 ss.; E. Malatesta, Armi e armaioli in Italia, Roma 1939, pp. 109-12.