GALLUZZI, Comazzo (Comacio)
Nacque verosimilmente a Bologna intorno al 1240 da Gerardo di Alberto Gallo. Fratello di Antonio, fu sicuramente padre di Lambertino o Bittino, Gerarduccio, Obizzo e Azzo.
Le prime attestazioni documentarie della famiglia Galluzzi risalgono all'ultimo quarto del secolo XII. I sette incarichi consolari rivestiti tra 1174 e 1189 da "Rolandinus Petri de Henrico" e da suo figlio "Gerardus Rolandini", ascendenti di coloro che nella generazione successiva acquisiranno il nome di Galluzzi, rappresentano importanti indizi di prestigio politico. Con "Albertus" detto "Gallus", attestato nel 1208, appaiono anche i segni delle risorse economiche, testimoniate innanzitutto dall'acquisizione - e successiva vendita al Comune di Bologna - di alcuni mulini, posti lungo il ramo del fiume Reno che congiungeva la città con le vie di comunicazione padane e dall'insediamento della famiglia nella zona situata tra la via S. Mamolo e il Pavaglione, in quella che ancora è definita "corte dei Galluzzi". In questo periodo, proseguì e si stabilizzò la partecipazione dei Galluzzi alle istituzioni cittadine e la specializzazione negli incarichi diplomatici che caratterizzò poi la famiglia nelle generazioni successive. Dalle liste della leva generale del Comune e dagli estimi sappiamo che il G. prestava servizio come fante e pagava le tasse nella parrocchia di S. Maria Rotonda dei Galluzzi, in cui erano poste le abitazioni del resto della famiglia. Come attesta un contratto del 1283, egli possedette case presso l'attuale piazza Maggiore.
La prima menzione della sua carriera politica è costituita dall'incarico di podestà ricoperto nel 1260 a Spoleto, città che lo richiamò anche nel 1266 e nel 1289. Le occasioni in cui il G. venne chiamato a ricoprire la massima carica politica cittadina corrisposero a momenti particolarmente delicati per il mantenimento della città nel quadro del guelfismo regionale.
Il primo mandato del G. coincise infatti con il difficile periodo in cui il Comune di Spoleto, già provato dagli attacchi della lega ghibellina formata da Jesi, Cingoli e Recanati, doveva fronteggiare la forte spinta avversaria seguita alla battaglia di Montaperti. Nel 1266, invece, la partecipazione di Spoleto alla crociata condotta da Carlo d'Angiò contro Manfredi rese necessarie una serie di trattative per rinnovare i patti con i signori di Arrone e riprendere così il controllo di zone, come la valle del Nera e la montagna, importanti per fronteggiare gli attacchi ghibellini provenienti da oriente.
Dettato da motivi di ordine differente appare l'incarico di podestà che il G. ricoprì a Todi nel 1268; incarico dal quale fu rimosso violentemente dalla parte filoimperiale tudertina. L'insieme delle testimonianze raccolte in occasione della causa mossa dal G. contro il Comune di Todi in seguito alla sua espulsione - una fonte per molti aspetti eccezionale - consente di seguire da vicino l'episodio.
Nell'aprile del 1268 il Comune di Todi - che, con la pacificazione condotta l'anno precedente da Pandolfo Savelli, era retto da un governo formato da membri equamente ripartiti fra le due partes - richiese al Comune di Bologna un podestà fedele alla Chiesa romana, ma imparziale: il G. venne scelto per tale incarico e prese servizio verso la fine di maggio. Le misure prese nei circa quaranta giorni in cui egli rimase in carica riguardarono l'ordinaria amministrazione delle istituzioni, per la quale seguì le procedure di divisione tra le fazioni previste dalla pace del 1267. Il G. dovette tuttavia fronteggiare anche problemi di ordine pubblico, resi più gravi dal passaggio di Corradino di Svevia e dal risollevarsi delle speranze ghibelline. Nonostante i provvedimenti emanati - tesi a impedire le riunioni delle due fazioni - e i tentativi di mediazione compiuti dalla familia podestarile, i disordini scoppiarono all'inizio di luglio e si rivolsero proprio contro il palazzo del Comune in cui risiedeva il podestà. Il G. riuscì, grazie all'intervento del vescovo, a riparare nel convento di S. Fortunato, da cui assistette alla nomina a capitano del Popolo di uno dei personaggi di spicco della fazione ghibellina. Dopo aver rifiutato l'offerta di rientrare in carica, presentata dai capi della parte filoimperiale, il G. si allontanò dalla città. Per ottenere il pagamento dei danni il G. mosse contro il Comune di Todi una causa che si protrasse per i tredici anni successivi, durante i quali il podestà espulso ottenne dal Comune di Bologna il diritto di rappresaglia, a cui rinunciò solo nel 1291 dopo aver ottenuto un risarcimento di 1000 fiorini.
Nel 1269 il G. svolse una parte importante nei disordini che si scatenarono contro il piacentino Alberto Fontana, podestà di Bologna.
Le motivazioni dello scontro vanno ricercate forse nelle condanne che il Fontana aveva inflitto ad alcuni cittadini della fazione dei Geremei. Le fonti cronachistiche attestano che nel gennaio di quell'anno furono lanciate pietre contro il palazzo del Comune e che nel corso dell'attacco il G. scese in piazza dichiarando di voler difendere il Comune; in tale circostanza circolò addirittura la proposta di acclamarlo capitano del Popolo, cosa che tuttavia non si verificò. Sulla sua condotta le testimonianze sono in qualche misura discordanti: il Cantinelli lo descrive come l'ispiratore stesso dei tumulti, mentre uno dei testimoni che lo difesero nella causa contro il Comune di Todi ne sottolineò il carattere super partes, insistendo sul rifiuto della carica normalmente affidata a forestieri.
Secondo Matteo Griffoni, il G. avrebbe combinato nel 1270 il matrimonio di suo figlio Tano con l'erede del ricco Gugliemo Guidozagni, ricavandone in dote possedimenti per più di 7000 lire. Questa testimonianza non è confermata, al momento, dalle fonti documentarie, mentre è certo che un altro figlio, Obizzo, sposò Giovanna Lambertini discendente da un importante casato aristocratico. Emergono dunque l'alto prestigio del G. e la sua pratica dello stile di vita cavalleresco che proprio in quel momento cominciava a essere rigidamente censurato dalle autorità popolari attraverso la prima normativa antimagnatizia. Di tale sanzione il G. fu oggetto sicuramente in due occasioni: nel 1271 e nel 1272.
Il motivo che determinò il formarsi della prima legislazione antimagnatizia bolognese, a noi non pervenuta, furono i disordini che scoppiarono alla fine di novembre del 1271 per l'appoggio offerto da Bologna alla parte ghibellina modenese, con l'intervento militare contro la città in quel momento dominata dai guelfi Aigoni. La forte reazione istituzionale comportò tra l'altro la compilazione di una lista di cinquanta magnati (venticinque per parte), obbligati a prestare sicurtà di rimanere nelle proprie abitazioni e, in caso di precetto, di allontanarsi dalla città. Oltre al G. furono iscritti nella lista altri tre membri della sua famiglia. Tumulti simili si riaccesero nel febbraio 1272, quando fu redatta una nuova lista di quaranta magnati, dove venne nuovamente inserito il nome del G. e quelli di due suoi parenti.
Nello stesso 1272, secondo una menzione dei Memoriali ripresa da Hessel, sembra che il G., in un primo momento scelto per ricoprire la podesteria di Forlì, sia stato in seguito rifiutato. Nonostante questo incidente, negli anni Settanta del Duecento la sua attività di funzionario itinerante non subì alcun arresto, concentrandosi semmai, rispetto al periodo precedente, nelle città dell'Emilia e della Romagna.
Come testimoniano i cronisti locali, nel 1273 il G. fu capitano del Popolo a Modena. In un anno imprecisato, anteriore comunque al 1278 - la fonte è ancora costituita dalle testimonianze nella causa tra il G. e il Comune di Todi - esercitò la carica podestarile anche a Bertinoro. Nello stesso arco cronologico fu inoltre podestà a Ferrara.
Esistono testimonianze dei rapporti privilegiati che intercorrevano tra i Galluzzi e la casa d'Este: nel 1255 l'incarico di podestà a Ferrara fu ricoperto da Mattiolo Galluzzi; nel 1264 Gerardo - con ogni probabilità il padre del G. - era presente in qualità di testimone al testamento di Azzo (VII) d'Este e alla proclamazione a signore del nipote Obizzo; nel dicembre 1271, infine, il G., in quel momento iscritto nella lista antimagnatizia, chiese al Comune di Bologna il permesso di recarsi a Ferrara insieme con Gerardo Lambertini.
Nella Bologna guelfa, dopo il 1274, il G. ricoprì soprattutto incarichi legati alla sua esperienza diplomatica. Nello stesso 1274, testimoniò all'atto con cui il Comune di Milano chiedeva un risarcimento in nome di Guglielmo Pusterla, podestà milanese cacciato da Bologna durante alcuni scontri di fazione. Nel 1278 si tennero gli interrogatori dei testimoni nella già ricordata causa mossa dal G. contro il Comune di Todi. Stando alle dichiarazioni dei testimoni il G. prestava a interesse, soprattutto a mercanti, e investiva il ricavato nell'acquisto di terre nel contado, come confermato dal confronto con la documentazione bolognese.
Nel 1280, insieme con altri membri del suo casato, fece parte della delegazione bolognese al parlamento di Ravenna, convocato dal legato pontificio Bertoldo Orsini per pacificare le città romagnole.
Negli anni Ottanta la vita del G. continuò lungo le due direttive dell'attività politico-diplomatica e della partecipazione faziosa. Mentre ricopriva almeno altri due incarichi podestarili (a Faenza nel 1283 e a Spoleto nel 1289), il Comune di Bologna colpì nuovamente la sua famiglia, intensificando le misure contro i cittadini definiti come magnati. Un figlio del G., "Gerarducius", insieme con altri cinque familiari, fu incluso nella lista di magnati costretti nel 1282 a garantire per 1000 lire sulla loro buona condotta. La nuova normativa provocò la reazione di una parte dei ceti superiori della società bolognese, che nel 1287 organizzò un complotto per consentire la liberazione dei magnati condannati al confino. Il complotto maturò all'interno di una commissione di quaranta sapienti deputati a provvedere sul buono stato del Comune e il G., interrogato nel corso dell'indagine seguita ai fatti, confessò di aver preso parte alla congiura.
Sul finire del Duecento le informazioni sul G. diminuiscono. A differenza di altri membri della famiglia, non si conserva la dichiarazione d'estimo che dovette consegnare agli ufficiali in occasione della riscossione del 1296-97, ma solo una cedola aggiuntiva in cui il G. affermava di possedere 400 lire in più oltre a quanto già dichiarato. Infine fu nominato sapiente in una commissione convocata dal Comune nel settembre 1298 perché prendesse gli opportuni provvedimenti per la guerra che Bologna stava conducendo contro il marchese d'Este, alleatosi nel frattempo con il fronte ghibellino romagnolo.
Nel 1302 il G. chiese al Consiglio degli anziani e consoli di Bologna di riconoscere che suo figlio "Lambertinus", non ancora emancipato, potesse godere dei propri beni. Allo stato attuale delle ricerche questa petizione costituisce l'ultima attestazione della vita del Galluzzi. In una petizione presentata dai figli nell'agosto 1308 il G. risulta infatti già morto. La data di morte si deve collocare quindi entro questo arco di tempo.
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