COLPA (X, p. 890; App. I, p. 445)
Diritto civile. - Colpa contrattuale. - Il cod. civ. del 1942 ha tenuto fermo, nel disciplinare l'adempimento delle obbligazioni, il tradizionale criterio romanistico della diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176), abbandonando il principio della diligenza quam in suis rebus, ossia della cura concreta dei propri interessi. Il nuovo codice, oltre che dalla cosiddetta colpa in concreto, si è discostato dal triplice classico schema della colpa grave, lieve e lievissima.
Il criterio della diligenza, enunciato in linea generale nell'art. 1176 come misura della condotta del debitore nell'adempiere la sua obbligazione, compendia quel complesso di cautele e di cure che normalmente ogni onesto debitore deve adottare per soddisfare il suo impegno, avuto riguardo alla natura del rapporto giuridico ed a tutte le circostanze che valsero a determinarlo. È da rilevare che, trattandosi di un criterio oggettivo e generale, al debitore, per esimersi da responsabilità, non basterebbe dar la prova di aver fatto quanto era in suo potere per adempiere esattamente l'obbligazione; tuttavia il criterio della diligenza deve esser inquadrato nel tipo speciale del rapporto singolo, onde nel secondo comma dell'art. 1176 il legislatore, a titolo di esemplificazione, ha chiarito che, versandosi in tema di obbligazioni relative all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata, così come, pur nel nuovo sistema, è da ritenersi che sussistano dei casi in cui la diligenza deve apprezzarsi con maggiore o minore rigore.
Il minor rigore, oltre che a proposito dell'erede beneficiato (art. 491), del donante (art. 789), del prestatore d'opera intellettuale (art. 2236) e del terzo acquirente dell'immobile ipotecato (art. 2864), per i quali la responsabilità sorge solo per effetto di colpa grave, riceve applicazione nei confronti del mandatario gratuito (art. 1710), del depositario gratuito (art. 1768) e del gestore d'affari (art. 2030), per i quali la normale diligenza deve esser valutata meno rigorosamente, anche se non si perviene ad escludere la responsabilità per colpa lieve.
Casi infine in cui si ha per legge una responsabilità aggravata sono quelli del comodatario (art. 1805), nonché di coloro che esercitano attività pericolose, tenuti ad adottare ogni misura possibile di cautela (articoli 1681, 2050, 2055). Ma il minor rigore può essere stabilito anche per convenzione (art. 1299), sempre che il patto non comporti esonero o limitazione della responsabilità dovuta a dolo o colpa grave e sempre che non si tratti di obbligazione stabilita da norme di ordine pubblico. Può infine aversi aggravamento di responsabilità nel caso di assunzione da parte del debitore degli effetti del caso fortuito (articoli 1637 e 1648).
Colpa extracontrattuale. - Per la responsabilità in cui può incorrere il soggetto non legato da alcun rapporto obbligatorio e che leda con la sua condotta l'altrui sfera giuridica, il cod. 1942, all'art. 2056 ha dettato tutta una nuova disciplina, con l'intento di uniformare i due tipi di colpe allo stesso criterio misuratore della diligenza del buon padre di famiglia, adeguata alla natura del rapporto, cui si ricollega il dovere di condotta. Così pure nella recente codificazione si è abbandonata la distinzione degli atti illeciti in delitti e quasi delitti, di discendenza romanistica, perché priva di valore pratico, pur mantenendosi fermo il principio che la responsabilità deve fondarsi sulla colpa.
Fonte di responsabilità può essere il comportamento della persona (fatto proprio), ovvero una determinata relazione con l'autore del fatto o con la cosa (animata o inanimata) da cui il danno è derivato. La responsabilità per fatto proprio si basa sulla colpa; quella per fatto di altre persone si fonda o sulla colpa propria e altrui - com'è della responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d'arte per i danni cagionati dai figli minori non emancipati, dai pupilli, dagli allievi e dagli apprendisti - ovvero, trattandosi di persone che agiscono nella sfera giuridica del soggetto responsabile, solo sulla colpa altrui, com'è della responsabilità dei padroni e committenti per i danni cagionati dai loro domestici e commessi.
Particolare disciplina riceve la responsabilità derivante dalla relazione del soggetto con cose custodite o con animali, prescrivendosi che il custode della cosa e il proprietario o chi si serve di un animale è responsabile dei danni cagionati dalla cosa o dall'animale, salvo la prova liberatoria del caso fortuito.
Quanto all'onere della prova circa la sussistenza della colpa, nel caso di responsabilità per fatto proprio (art. 2043), il cod. 1942 si è ispirato al principio tradizionale secondo il quale l'onere grava di regola sul danneggiato, fatta eccezione per chi è tenuto alla sorveglianza di un incapace e per i genitori, tutori, precettori e maestri d'arte, sui quali incombe, per poter essere considerati esenti dalla responsabilità, l'onere di provare di non aver potuto impedire il verificarsi del fatto dannoso. Ma la più notevole innovazione legislativa consiste nella disciplina delle attività pericolose.
L'art. 2050 del codice 1942, infatti, pur mantenendo la colpa a base della responsabilità, ha posto a carico di chi esercita un'attività pericolosa per i terzi la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, ampliando così il contenuto del dovere di diligenza che è posto a suo carico. Del principio generale si fa particolare applicazione nell'art. 2054, ove si regola la responsabilità per la circolazione dei veicoli, già disciplinata dall'art. 120 del cod. della strada (t. u. 8 dicembre 1933, n. 1740) e basata sulla presunzione di colpa del conducente. Il nuovo codice ha anche previsto l'ipotesi, che si verifica di frequente, di responsabilità nel caso di scontro tra veicoli ed ha presunto in questo caso, fino a prova contraria, che ciascuno dei conducenti abbia concorso in eguale misura a produrre il danno subito dai singoli veicoli.
Dal presupposto che il fatto doloso o colposo debba produrre un ingiusto danno, perché possa rappresentare fonte di responsabilità, discende che chi ha arrecato il danno in situazione di legittima difesa non può dirsi responsabile. Nel caso invece di colui che compia il fatto dannoso costrettovi dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo non altrimenti ev-tabile, la responsabilità non può essere eliminata, dato che il fatto è volontario ossia imputabile; ma la legge (art. 2045) attenua tale responsabilità, attribuendo al danneggiato il diritto di ottenere una indennità valutata equitativamente dal giudice.