COLPA
Il concetto di colpa varia a seconda che la colpa è considerata nel diritto civile o nel diritto penale.
Diritto civile.
La colpa non è definita dalla legge. Il codice civile sancisce all'art. 1151 che qualunque fatto dell'uomo che reca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno. Così, la colpa, fondamento della responsabilità, è menzionata come cosa a tutti nota. In fondo, essa è la trasgressione al secondo degli iuris praecepta, vale a dire alterum non laedere. Più concretamente, la colpa è il difetto di diligenza, di accortezza o di competenza tecnica con cui si compie alcuna azione (culpa in agendo) o se ne omette altra (culpa in omittendo), quando, dall'azione o dall'omissione, sia derivato o sia per derivare certamente un danno ad altri. L'azione od omissione può essere volontaria o involontaria, ma, nel primo caso, non deve esservi stata l'intenzione (dolo) di cagionare il danno altrui, altrimenti la colpa si tramuta in delitto. La differenza, perciò, tra colpa e delitto è puramente psicologica. Sotto questo punto di vista, la colpa è l'atto dannoso non intenzionale. Tolto questo elemento differenziatore, la teoria della responsabilità per colpa o per delitto nel suo fondamento ha carattere unitario. La colpa si suole, infatti, chiamare anche delitto civile. La dottrina più recente disciplina le conseguenze d'entrambe mediante la teoria degli atti illeciti. I codici e i progetti di codici ultimi sostituiscono la rubrica Dei delitti e dei quasi delitti con quella Degli atti illeciti.
Delitto civile e delitto penale. - Ciò nonostante, delitto civile e delitto penale restano completamente distinti. Ecco le principali note differenziali: a) un'infrazione al divieto di danneggiare gli altri non costituisce delitto penale se non è prevista dalla legge penale: nullum crimen sine lege. Al contrario, qualsiasi fatto che reca danno ad altri, commesso con colpa, costituisce delitto civile; b) il delitto penale è punibile nell'interesse sociale (giacché la querela di parte, quando è richiesta, non è che una condizione per la procedibilità); quello civile dà luogo soltanto ad azione civile nell'interesse privato; c) la sanzione dei due delitti è diversa. Il delitto penale espone il colpevole a una pena e al risarcimento dei danni, se ve ne sono stati; quello civile soltanto alla reintegrazione del patrimonio leso; d) nel delitto penale può mancare il delitto civile, nel senso che possono non esservi danni, come nel tentativo del delitto; nel delitto civile il danno è sempre necessario per la sua sussistenza; anzi, si può dire che esso non crei che un rapporto fra due patrimonî, quello del colpevole e quello del danneggiato.
Colpa o rischio. - Il nostro codice civile, nell'art. 1151 sopra riferito, pone come base della responsabilità la colpa, sebbene ne parli soltanto nella seconda proposizione, che è detta incidentale. Il codice segue, dunque, la dottrina classica tradizionale. Alla fine del secolo scorso si affermò invece la teoria della responsabilità obiettiva (espressione inesatta), secondo la quale chiunque commette azione dannosa ad altri deve risarcirne il danno, anche se ha agito senza colpa e nella libera sfera del suo diritto. Basta che l'azione sia voluta dall'autore e tra l'azione e il danno corra il rapporto di causa ad effetto.
Si afferma che sia inerente all'attività umana il rischio di danneggiare altri, specie nell'epoca contemporanea del macchinismo, del prodigioso movimento dei trasporti e dello spettacoloso intensificarsi dei traffici. Vi sarebbe una causalità interna in ciascuna azione, che cagiona l'obbligo del risarcimento. Perciò alla colpa si sostituisce il rischio. L'obbligazione nasce du fait des choses o, se si vuole, "dalla colpa dell'impresa". Il concetto sarebbe non soltanto conforme alle esigenze del mondo moderno, ma della stessa morale sociale; giacché delle due persone, delle quali una agiva, sia pure senza colpa, nel proprio interesse, e l'altra era estranea all'impresa e dalla stessa non avrebbe mai tratto vantaggio, non è giusto che sia la seconda a sopportare il danno. Ciascuno sopporti il rischio della propria azione. Non v'ha dubbio che il codice civile stabilisca casi di responsabilità senza colpa. Esempî: art. 1154 (danni cagionati dall'animale); 1754 (responsabilità del mandante per le perdite sofferte dal mandatario); 1862 (obbligo del deponente di risarcire il depositario dei danni sofferti dal deposito); 1866 e 1867 (responsabilità degli osti e degli albergatori per il furto degli effetti del viandante, articoli poi abrogati con decr. legge 12 ottobre 1919, n. 2099). Egualmente, il codice di commercio: art. 36 (obbligo del revocante al risarcimento dei danni, se la revoca della proposta giunga a notizia dell'altra parte dopo che questa ne abbia intrapreso l'esecuzione). Il fondamento, inoltre, della legge sull'assicurazione degli operai contro gl'infortunî del lavoro e la relativa obbligazione dell'industriale non potrebbe ritrovarsi altrove che nel rischio professionale. Del pari, la recente legislazione sulla circolazione delle vetture automobili e la responsabilità per i relativi accidenti non avrebbe altra base giuridica che il rischio nascente dall'uso di un mezzo di trasporto pericoloso. Certa giurisprudenza straniera è giunta tant'oltre, che, assolto il conducente dell'automobile in sede penale ed esclusa qualsiasi responsabilità di lui sotto qualsiasi forma, ha ritenuto possibile la responsabilità civile a carico del proprietario, considerando la proprietà della vettura come titolo di responsabilità. Contro questa dottrina si è osservato che essa non sarebbe un progresso, giacché ci condurrebbe ai tempi barbari, anteriori alla lex Aquilia, quando ciò che unicamente importava era la materialità dei fatti. Dalle regole formulate dalla citata legge, i giureconsulti hanno tratto con lungo processo di analisi l'idea della colpa, e ora dovrebbe cominciarsi da capo, se l'idea semplicistica del rischio dovesse sostituirsi a quella della colpa.
La verità è che, allo stato della dottrina e della legislazione, la colpa resta sempre il fondamento del delitto civile, sebbene la legge abbia stabilito, per speciali esigenze, alcuni casi di responsabilità senza colpa, dai quali sarebbe esagerato dedurre una dottrina generale. Più esagerato sarebbe poi estendere, come eminenti scrittori hanno preteso, codesta dottrina al diritto pubblico, e in base ad essa giudicare della responsabilità delle persone giuridiche di diritto pubblico per le colpe commesse dai proprî dipendenti.
Colpa contrattuale ed extracontrattuale. - La colpa si distingue in due grandi categorie: colpa contrattuale ed extracontrattuale. La prima ha luogo mediante atti che sono illeciti unicamente a cagione di un particolare e preesistente rapporto fra il danneggiante e la persona lesa, che obbligava il primo a fare o non fare una determinata cosa, sia che l'obbligo gli derivasse da contratto, da quasi-contratto o dalla legge (benché la colpa soglia chiamarsi contrattuale); l'altra ha origine da atti illeciti per sé stessi, commessi a danno di persona non legata al danneggiante da un rapporto, in cui incida l'atto illecito. Quest'ultima suole anche chiamarsi colpa aquiliana (dalla lex Aquilia, Dig. IX, 2, ad leg. Aquil.). Codesta bipartizione è stata impugnata in dottrina in nome di un alto concetto unitario: quello concernente la responsabilità. L'importanza della distinzione si può scorgere nei gradi della colpa (lata, levis, levissima), che influiscono variamente sulla responsabilità, a seconda della natura della colpa (in lege Aquilia et levissima culpa venit); nell'onere della prova che nella colpa extracontrattuale è a carico del creditore (actori incumbit onus probandi), mentre in quella contrattuale è a carico del debitore, che voglia invocare l'evento che tolga ogni carattere di colpa all'inadempimento. La discussione si è mantenuta viva avanti ai tribunali anche esteri, specie per la responsabilità dei danni sofferti dai viaggiatori e per la responsabilità dei locatori in caso di incendio della cosa locata, variamente giudicata a seconda che sia stata qualificata di natura contrattuale o extracontrattuale. Prima della legislazione sugl'infortunî sul lavoro la responsabilità padronale aveva dato luogo a brillanti dottrine, secondo le quali il padrone aveva une dette de sécurité, da cui derivava l'obbligo contrattuale di restituire l'operaio incolume a sé stesso, alla fine del lavoro e quello di risarcire il danno occorso in occasione del lavoro stesso, salvo la prova, a lui incombente, che la causa del danno non gli era imputabile.
Colpa precontrattuale. - È una forma particolare di colpa che ha luogo nel periodo della formazione del contratto, per cui è classificata ora come colpa contrattuale, ora come colpa extracontrattuale. È detta anche culpa in contrahendo. La sua costruzione dommatica è dovuta al Jhering. L'iniziativa che alcuno prende di un contratto, la fiducia che sa ispirare e che risulta poi immeritata, la reticenza circa la capacità di obbligarsi, ecc. costituiscono una colpa di fronte all'altro contraente, che più tardi soffre il pregiudizio dell'annullamento del contratto. Egli non può chiedere i danni dell'inesecuzione, perché il contratto non sorse validamente, ma può esigere quelli sofferti per aver contrattato mentre aveva interesse a non concludere quel contratto. Un interesse, dunque, negativo (negative Vertraunsinteresse), che si risolve nel rimborso delle spese del contratto, di quelle sostenute per addivenire all'accordo, del danno sofferto per aver perduto l'occasione di altro accordo, ecc.
Condizioni della responsabilità extracontrattuale. - a) Il presupposto della responsabilità è il danno cagionato dalla colpa. Qualsiasi negligenza o imprudenza non fa sorgere obbligazione se non ha leso un diritto altrui. Il danno può essere patrimoniale o morale. Per il primo non occorrono chiarimenti. Per il secondo, è sufficiente dire ch'esso si ravvisa nel semplice dolore spirituale o patema d'animo dell'offeso, senza che sia stato danneggiato in alcun modo un interesse economico. Il risarcimento di tal danno non è ammesso dalla nostra giurisprudenza per la difficoltà di commisurare una somma di denaro a un dolore puramente morale (Geldschmerz); ma la tendenza legislativa, anche fra noi, è per l'ammissione, a giudicare dal progetto del Codice delle obbligazioni per l'Italia e la Francia (art. 85) e dal nuovo codice penale italiano (art. 185). Anche in caso di morte di alcuno, i congiunti hanno diritto a risarcimento, ma iure proprio, non iure hereditatis, secondo la giurisprudenza della corte suprema, e quindi limitato al danno sofferto dalla perdita del congiunto e al danno morale. b) Per la responsabilità penale nascente da delitto occorre la condizione dell'imputabilità, vale a dire la capacità nel colpevole di intendere e di volere. La responsabilità penale non colpisce, quindi, il minore di nove anni (quattordici, secondo l'art. 497 del nuovo cod. pen.) e il demente. Per la responsabilità civile rispondono coloro che hanno l'obbligo di vigilare sul minore o di custodire il demente. La dottrina moderna e i codici più recenti, peraltro, ammettono la responsabilità diretta del minore o del demente, con qualche temperamento. Così l'art. 829 del codice tedesco pone a carico di colui che ha agito senza discernimento di riparare il danno nella misura in cui l'equità lo esige e in quanto non venga privato dei mezzi di cui ha bisogno per il suo mantenimento. L'art. 54 del codice svizzero delle obbligazioni dà facoltà al giudice, se l'equità lo esige, di condannare l'incapace di discernimento alla riparazione totale o parziale del danno prodotto. c) Circa la consistenza della colpa è da notare che essa deve ravvisarsi in un comportamento (negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di norme di cautela, ecc.), che contraddica a quello dell'uomo medio normale. Gli altri criterî suggeriti, quelli, cioè, della legittima fiducia ingannata o "di un fatto riprovato dalla legge", non hanno resistito alla critica giudiziaria avanti ai tribunali stranieri. Un allargamento dell'ultima forma, che intenda per legge anche quella morale, urta contro l'altro principio, che la legge non può imporre ai cittadini un generale sentimento di altruismo nella loro attività. Invece la legge ci proibisce di commettere qualsiasi cosa che abbia potenza di far male altrui.
Condizioni della responsabilità contrattuale. - a) Il preesistente rapporto fra il colpevole e il danneggiato, già esaminato; b) il difetto di diligenza nell'adempimento. L'art. 1224 cod. civ. dispone che la diligenza da impiegarsi nell'adempimento dell'obbligazione, abbia questa per oggetto l'utilità di una delle parti o di ambedue, è sempre quella di un buon padre di famiglia. La misura, dunque, della diligenza è quella che il pater familias adopera nei proprî affari. Il pater familias è il tipo dell'uomo avveduto e accorto, capo responsabile di un'azienda domestica, che conduce normalmente. Egli non è il kritischer Kopf, perché non deve avere qualità di accortezza o di avvedutezza fuori della media. Egli è il tipo ordinario dell'uomo probo e savio. Il nostro codice usa la stessa espressione per indicare la misura della diligenza da usarsi dall'usufruttuario (art. 497); dall'usuario (art. 526); dal gestore di negozio (art. 1143); dal conduttore (art. 1583); dall'affittuario di un fondo rustico (art. 1615); dal comodatario (art. 1808); dal depositario giudiziario (art. 1876). Il concetto del buon padre di famiglia fu accolto da tutti gli scrittori del tempo di mezzo e del diritto comune e da tutti i codici del secolo scorso, fino all'odierno codice civile della Germania, che volle bandita quell'espressione della diligenza del padre di famiglia per sostituirgliene altra, che, secondo gli stessi autori del codice, esprime lo stesso concetto. Essa, invece, è stata conservata da molti codici moderni e mantiene ancora il suo prestigio, che le deriva dall'uso più che bimillenario.
Diligenza in astratto e diligenza in concreto. - La diligenza del buon padre di famiglia è la diligenza in astratto. L'art. 1224 cod. civile dice che essa non deve essere osservata nel caso del deposito accennato all'art. 1843. Il depositario, infatti, deve usare, nel custodire la cosa depositata, la stessa diligenza che usa nel custodire le cose proprie. Questa del depositario è la diligenza in concreto. Fra le due è una notevole differenza, giacché il deponente non può pretendere il risarcimento dei danni sofferti dalla cosa depositata se il depositario ha usato un'insufficiente custodia, ma quella stessa usata per le cose proprie. Il deponente non può che imputare a sé stesso di aver scelto come depositario una persona non molto accurata nel vigilare sulle proprie sostanze, una persona, in altri termini, che non era un diligens pater familias. Ma con ciò non è da concludere, come si è sostenuto, che la diligenza in concreto sia minore di quella in astratto. Può essere anche maggiore, se il depositario era un diligentissimus pater familias. In sostanza, li depositario non deve avere due gradi di diligenza, uno per le cose proprie, l'altro per quelle depositate. La parità di trattamento lo esonera da responsabilità. Va fatta però eccezione per i depositi in banche, nei magazzini generali e in luoghi destinati a pubblici depositi, giacché qui si esige una custodia tecnica.
Gradi della colpa. - I sottilissimi scrittori medievali usavano registrare numerose gradazioni della colpa. La dottrina moderna non ammette che una sola ripartizione: quella in colpa lieve e in colpa grave. Il codice civile non ne conosce altre. L'una e l'altra sono violazione della diligenza del buon padre di famiglia. Il giudice però può attenuare l'obbligo di tale diligenza come dispone il capoverso dell'art. 1224, applicandolo con maggiore o minor vigore, secondo le norme contenute per certi casi nel codice. In conseguenza, egli può attenuare la colpa del gestore di negozio secondo le circostanze che l'hanno indotto ad assumere l'affare (art. 1143); del mandatario, quando il mandato sia gratuito (articolo 1746); deve invece aggravarla per il conduttore in caso di incendio (art. 1589); per il comodatario, che impieghi la cosa in uso diverso o per tempo più lungo di quello convenuto (art. 1809) o nei casi previsti dall'art. 1810; pel depositario, nei casi previsti dall'art. 1844. In alcuni casi poi la legge esclude addirittura la colpa lieve come causa dell'obbligazione del risarcimento. Esempî: articoli 449, 970, 2020 cod. civ. Le parti, alla lor volta, possono, con pattuizione, aggravare o attenuare la responsabilità stabilita dalla legge. Nel sistema legale, in ogni modo, è bene tener presente che la corrispondenza fra colpa e responsabilità è inversamente proporzionale, quando cioè si richiede la colpa grave la responsabilità è minore e viceversa.
Clausole di non responsabilità. - È ammessa generalmente la clausola con cui le parti stabiliscono che non si risponde della colpa lieve. È egualmente ritenuto da tutti che sia nulla la clausola con la quale si convenga di non rispondere del dolo (ne dolo praestetur). Controversa è, invece, la validità della clausola, con la quale si stabilisca di non rispondere della colpa grave, ritenendosi dai più che culpa lata prope dolum est. Qualunque sia stata la sorte della clausola nel diritto giustinianeo e nel diritto romano classico, la tendenza delle legislazioni moderne in materia di contratti di trasporti, particolarmente di quelli marittimi o aeronautici, è per la sua invalidità. L'influenza delle legislazioni americana e inglese contrarie alla validità della clausola in tema di trasporti marittimi, è notevole sulla giurisprudenza anche degli altri stati.
Compensazione delle colpe. - A produrre un evento dannoso possono concorrere più persone; l'obbligazione che nasce è unica e ha carattere solidale per il disposto dell'art. 1156 cod. civ. Si tratta di colpe concorrenti. Quando, invece, a produrre l'evento dannoso è concorsa la colpa del debitore, ma, nello stesso tempo, quella del creditore danneggiato, si è discusso se, ed entro quali limiti, si elida la responsabilità del primo per effetto della colpa dell'altro. Tale controversia, lungamente dibattutasi, riguarda la cosiddetta compensazione delle colpe. La dottrina non ha detto al riguardo l'ultima sua parola. La giurisprudenza, con metodo più semplice e rettilineo, attenendosi al concetto etico che ciascuno deve rispondere del fatto proprio, non ha ammesso in principio la compensazione delle colpe, perché quella dell'agente principale non è eliminata da quella del danneggiato; ma ha riconosciuto che se quest'ultima ha aggravato le conseguenze del danno prodotto dalla colpa del primo, l'aggravamento non deve essere a carico del debitore.
Durata dell'azione. - Dalla colpa extracontrattuale sorge l'obbligazione di riparare il danno cagionato, e la corrispettiva azione al danneggiato per conseguire la riparazione. La durata di questa azione è di 30 anni, a decorrere dal giorno in cui il danno si verificò (art. 2135 cod. civ.), tranne che si tratti di obbligazione commerciale (violazione di brevetti, ecc.), nel qual caso la durata è di 10 anni (art. 917 cod. comm.).
Dalla colpa contrattuale nasce un'obbligazione nuova, intieramente distinta dall'antica, che mira unicamente alla riparazione della lesione cagionata per l'inesecuzione. Se l'obbligazione era di non fare, la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui la colpa è commessa, perché allora soltanto è sorto per il creditore il diritto di reclamare. Se invece si tratta di obbligazione di fare e di dare, l'azione per il risarcimento è legata alla vita dell'obbligazione. Se l'esecuzione della stessa sarà domandata in tempo utile, decorrerà contemporaneameute il tempo per la domanda di risarcimento. Se l'obbligazione cadrà in prescrizione, l'azione di risarcimento non potrà iniziarsi, perché la colpa del debitore non ha prodotto danno al creditore.
Bibl.: G. P. Chironi, La colpa nel diritto civile, II, Torino 1925; T. Mosca, Nuovi studî e nuove dottrine sulla colpa, Roma 1896; e le trattazioni sulle voci Colpa o Colpa civile, in Dizionario di diritto privato, II, Milano (Abello); in Digesto italiano, II, ii, Torino (Luzzatto); in Enciclopedia giuridica, II, iii, Milano 1913 (Gianzana); M. Sourda, Traité général de la responsabilité civile, voll. 2, Parigi 1911; M. Planiol, Étude sur la responsabilité civile, in Revue critique de la législation, 1905-1909; S. Teisseire, Essai d'une théorie générale sur le fondement de la responsabilité, Aix 1901; R. Beudant e H. Capitant, negli Annales de l'Université de Grenoble, XVIII; G. Saleilles, Essai d'une théorie générale de l'obligation, d'après le premier projet du code civil allemand, 1913, pp. 354-449; R. Jhering, De la faute en droit privé, trad. Meulenaere, Parigi 1888.
Diritto penale.
Nel diritto penale al concetto di colpa si attribuisce un duplice significato. In una prima e più ampia accezione s'intende per colpa la responsabilità che deriva da ogni fatto illecito penale, riferendosi all'elemento morale del reato con le parole "colpevolezza" e "colpevole" nel senso di reità e reo (es., art. 446, n. 3, cod. proc. pen. 1913; art. 27 cod. proc. pen. 1930). In senso specifico e tecnico "colpa" sta ad esprimere una speciale condotta antigiuridica che dà luogo al delitto colposo, in contrapposto a quello doloso. In questo suo ultimo e più preciso significato qui verrà studiata, nei suoi elementi e nelle sue caratteristiche, la colpa penale.
La modificazione del mondo esteriore costituita dall'evento di danno o di pericolo per i beni o interessi giuridici altrui può essere cagionata direttamente dalla volontà umana. In tal caso l'evento è effetto del dolo, che consiste nella volontà consapevole di produrre un evento di danno o di pericolo. La suddetta modificazione del mondo esteriore, pur non essendo voluta, può indirettamente dipendere dalla volontà umana. L'evento, pur non essendo voluto, può derivare, com'effetto da causa, da una condotta antigiuridica, in quanto l'agente volle il fatto, ma non l'evento che dal fatto venne cagionato. Qui la causa è volontaria, ma l'effetto è involontario e, ciò nonostante, il fatto è punibile a titolo di colpa. Pertanto la colpa nel diritto penale va concepita come la volontaria inosservanza d'una norma di condotta, che ha per effetto involontario un evento di danno o di pericolo per i beni o per gl'interessi giuridici altrui.
Fondamento dell'imputabilità della colpa. - L'imputabilità penale presuppone l'elemento psichico del reato e trova il suo fondamento nel principio di causalità volontaria, secondo il quale per imputare un fatto ad alcuno occorre che questi ne sia stato la causa efficiente psichica, oltre che fisica. La violazione della legge penale deve dipendere da un'azione, commissiva od omissiva, volontaria.
Questo principio fondamentale non vien meno in materia di reato colposo, nel quale però la causalità volontaria assume un aspetto particolare, attuandosi non come volontarietà dell'evento di danno o di pericolo, ma come volontà del fatto da cui deriva un tale evento. Deve dunque distinguersi, nel reato colposo, un fatto causante (condotta colposa: azione od omissione) ch'è volontario, da un effetto (evento di danno o di pericolo), ch'è involontario. Il verificarsi dell'evento è condizione d'imputabilità del fatto, a titolo di delitto colposo. Fino a quando l'evento non si verifica, il fatto causante, tranne che assuma la forma d'inosservanza di legge o regolamento dando luogo a un reato per sé stante, non è penalmente imputabile.
Elementi essenziali del reato colposo. - Sono la condotta illecita, l'evento e il nesso causale fra condotta ed evento. Non occorre la prevedibilità dell'evento. Nessun accenno a siffatto elemento esiste nel testo legislativo (art. 45 p. 1ª cod. pen. 1889; 43 cod. pen. 1930). Né si può giammai ricorrere al criterio della prevedibilità nelle ipotesi della colpa per imperizia e della colpa per inosservanza di regolamenti. L'imperizia esclude la possibilità d'un giudizio di previsione da parte dell'agente circa le conseguenze della sua condotta, e se nel caso dell'inosservanza di regolamenti fosse lecito opporre che l'evento non fu preveduto perché non prevedibile, si eluderebbe la legge, che, stabilendo una norma di prudenza, volle prevenire l'evento, prevedibile o imprevedibile che fosse.
Le varie forme della colpa penale. - Nel linguaggio giuridico, per denominare le varie forme nelle quali si manifesta la colpa incriminabile, vennero impropriamente usate le parole più diverse e accanto a quelle comuni, ma più esatte, di "negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza" apparvero molte altre espressioni, come, ad es., "inavvertenza, malo accorgimento, imprevidenza, disattenzione, irriflessione, pigrizia, petulanza" (v. Mecacci, Trattato di dir. pen., Torino 1901, I, 256). Sostanzialmente le varie forme di colpa si riducono a quattro: negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline e solo di esse fanno parola il codice Zanardelli (articoli 201, 203, 205, 229, 311, 314, 323, 371, 375) e quello Rocco (art. 43).
Ogni opera umana va compiuta con sollecitudine, attenzione e accortezza. L'inosservanza di tale norma di condotta costituisce negligenza. Questa contiene in sé la "disaccortezza" e la "disattenzione", le quali non possono ricondursi - come alcuni vorrebbero - alla forma di colpa che ha nome imprudenza, perché per aversi questa occorre l'azione e non la semplice omissione, che basta per la disaccortezza e la disattenzione. La negligenza consiste, in sostanza, nel mancato uso dei poteri attivi. La categoria delle azioni disadatte, foggiata dalla dottrina tedesca, rientra anch'essa nella colpa per negligenza.
Se si può ammettere che la negligenza costituisca l'ipotesi più rilevante di colpa, si dev'escludere che sia l'unica forma di questa. Nel fatto consistente in un'azione o commissione, non è possibile, senza contraddirsi, affermare che la causa efficiente dell'evento sia la negligenza o trascuratezza, perché questa non può concepirsi se non come inazione od omissione. Il fatto dell'automobilista che lancia il suo veicolo di corsa in una via frequentata, o di quegli che, inesperto nel maneggio delle armi, rivolge e lascia esplodere il fucile verso alcune persone, rappresentano stati positivi, nei quali l'uomo agisce, opera. Tali fatti devono perciò riportarsi necessariamente al concetto d'imprudenza, la quale consiste nell'avventatezza, ossia nell'agire senza cautele, in contraddizione con le norme della prudenza. Qui si ha un mancato uso dei poteri inibitorî.
La forma specifica della colpa professionale è la colpa per imperizia (maladresse in linguaggio giuridico francese), la quale consiste nell'insufficiente attitudine all'esercizio di un'arte o professione, nel difetto di quell'abilità che le funzioni d'uno speciale stato richiedono. Da questa insufficienza, da quest'inettitudine, da questa mancanza d'abilità può derivare un danno ad altri, onde la responsabilità penale per colpa. È perfettamente logico e giuridico il presupposto che coloro i quali sono rivestiti di funzioni derivanti da determinate cariche o impieghi, ovvero che assumono speciali obblighi nell'esercizio di professioni od arti cui dedicano la propria attività, abbiano la perizia occorrente per adempiere agl'impegni contratti. La condizione sociale in cui si è posti dall'esercizio di un'arte o d'una professione è fonte di guadagni e di vantaggi; deve perciò sottostare anche ad oneri chi a quella condizione aspira. Il primo e più importante obbligo è l'apprendere le condizioni necessarie ad acquistare la perizia e la tecnica professionale. Quando non si vuol tener conto della propria inettitudine e deficienza si è in colpa. Perciò neanche in questa forma di condotta colposa manca l'elemento della volontarietà nella causa dell'evento punibile, perché chi non volle accertarsi di possedere la necessaria capacità professionale prima di compiere un atto della professione cui dedica la propria attività, vuol correre il rischio di cagionare un evento di danno o di pericolo e, cosi agendo, vuole la causa di questo.
Al concetto d'imperizia professionale, così determinato, non può ricondursi l'ipotesi di chi eserciti una professione senz'essere munito dei titoli accademici all'uopo, per legge, occorrenti, come, ad es., di un farmacista, o anche di un ciarlatano qualsiasi, che faccia da medico. In tale ipotesi si ha colpa per inosservanza di leggi e regolamenti, e violazione di norme specifiche di polizia regolanti l'esercizio di determinate professioni. Nell'inosservanza di regolamenti, ordini e discipline si comprendono tutti quei casi nei quali l'evento di danno o di pericolo derivi da una violazione delle leggi, dei regolamenti, degli ordini amministrativi e anche da inosservanza del complesśo di quelle disposizioni, che servono a regolare e disciplinare un'amministrazione pubblica o privata.
Punibilità per eccezione. - La punibilità in rapporto alla colpa assume una nota specifica che costituisce una caratteristica differenziale fra la materia del reato doloso e quella del reato colposo. Quest'ultimo è punibile per eccezione. Ove in un fatto, cagione di danno o di pericolo e punibile se commesso con dolo, vi sia stata colpa soltanto, il reato colposo non sorge se non quando la legge abbia ciò espressamente stabilito con una speciale statuizione. La qual cosa è spiegabile appunto perché il fatto illecito colposo, mancando di quella volontà dell'evento che ricorre nel dolo non desta l'allarme sociale, se non quando oggetto ne sia un interesse o bene giuridico di rilevante importanza, ovvero circostanze determinate accompagnino il fatto stesso.
Ecco perché, secondo un criterio adottato generalmente nelle legislazioni penali, non solo la colpa è punibile per eccezione, in conformità al principio dianzi enunciato, ma, anche in quei casi eccezionali, alla punizione può farsi luogo solo quando si sia verificato un evento di danno o almeno di pericolo concreto, attuale, non bastando una semplice eventualità di pericolo.
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