Vedi COLOSSO di Rodi dell'anno: 1959 - 1994
COLOSSO di Rodi
Da una legge sacra di Cirene (Solmsen-Fränkel, Inscr. select., p. 60) appare che la parola kolossòs significava la statuetta aniconica di argilla, legno o cera rappresentante "il doppio" d'un individuo, maschio o femmina. Il vocabolo, appartenente a una lingua pre-greca di ceppo asianico, significò, ancora in età preellenica, non solo la statuetta di valore magico, ma la vera e propria statua e, con tale significato, fu acquisito dal dialetto dorico, quando i Dori colonizzarono le isole e l'Asia Minore. Per tale ragione troviamo attribuito questo termine alla statua gigantesca di Helios che la città dorica di Rodi innalzò in ricordo della vittoriosa resistenza all'assedio di Demetrio Poliorcete (v. Rodi). Dopo la costruzione di quella statua, annoverata fra le sette meraviglie del mondo, il vocabolo kolossòs indicò solo le statue di grandissime dimensioni.
Il C. di Rodi fu costruito dall'artista Chares di Lindo (v.) (Plin., Nat. hist., xxxiv, 41; Auct. ad Her., iv, 6, 9), scolaro di Lisippo. L'iscrizione dedicatoria è conservata nelle fonti scritte (Anth. Pai., vi, 171; Sud., s. v. Κολοσσαεύς; v. Benndorf, in Athen. Mitt., i, 1876, p. 45) e fors'anche si può ricostruire l'epigramma dell'artista. La costruzione durò dodici anni, sicché si può pensare che l'opera fu dedicata nel 290 a. C. Secondo la Suda essa fu elevata sotto Seleuco Nicatore, data che non sposta tale cronologia. Dal racconto di Filone di Bisanzio (De sept. mirac. mundi, p. 14, ed. Orelli) riguardante la costruzione della statua, si apprende ch'essa era, alta 70 cubiti (corrispondenti ai 105 piedi romani di altre fonti), cioè 32 m e che l'artista, dopo aver infisso solidamente con grossi perni di ferro i piedi di bronzo della statua in una base di marmo, elevò il resto del corpo a strati, avendo cura di preparare, nell'interno della statua, un'intelaiatura di ferro, formata di sbarre orizzontali e di montanti, che seguivano la forma della statua e che erano fissati con perni alle pareti di essa. Lo scheletro di ferro era stabilizzato da un riempimento fatto con blocchi di pietra. Per la fusione, in posto, delle parti bronzee giustapposte era stato elevato tutt'intorno un terrapieno. A. Gabriel congettura giustamente ch'esso fosse contenuto in una gabbia di legname. Non è escluso che la quantità di assi e di travi occorrenti fosse prelevata dalla colossale torre d'assedio, l'Elepoli, alta 40 metri, impiegata da Demetrio Poliorcete nel tentativo di abbattere le mura di Rodi (Diod., xx, 91; Vitruv., x, 16, 5, 1) e poi abbandonata colà.
Negli anni 224 o 223 a. C. il C. di Rodi crollò in seguito a un terremoto, spezzandosi alle ginocchia. Secondo Strabone (xiv, 652) non fu restaurato per un divieto sacro. I pezzi si trovavano ancora distesi a terra nel 653 d. C.; furono sottratti dagli Arabi durante una loro scorreria e venduti a un ebreo di Emesa (Constan. Porphyr., De administr. imp., 20; Theophanes, Chronogr., ed. Classens, p. 527; Michele Siriano, Cronaca, ed. Chabot, T. ii, pp. 442, 443). Durante il dominio dei Cavalieri di Rodi e nel Rinascimento, nacque la leggenda che il C. di Rodi sorgesse all'entrata del porto minore di Rodi e che le navi passassero sotto le gambe divaricate dalla statua; ricostruzione non accettabile per considerazioni stilistiche e tecniche. Migliore è l'ipotesi del Gabriel che il C. di Rodi sorgesse là dov'è oggi il forte di S. Nicola, eretto dai Cavalieri Giovanniti. Non si sa se esso reggesse una fiaccola o una lancia. L'impostazione era verticale perché, date le dimensioni, la statica doveva essere sicurissima. È pensabile che nel rendimento dei lineamenti del volto e nell'espressione psicologica, Chares siasi ispirato all'immagine del Sole sulla quadriga eretta per i Rodî (Plin., Nat. hist., xxxiv, 63) da Lisippo (v.). Le immagini di Helios nelle monete rodie non ci forniscono elementi per la ricostruzione dell'immagine lisippea, perché dal primo conio del 408 a. C. si susseguirono varianti non tanto differenziate da poter riconoscere un nuovo tipo, il quale riprodurrebbe il volto dell'Helios di Lisippo. La statua di Chares, con ogni probabilità, aveva intorno al capo una fitta raggera, come altre immagini del Sole scoperte a Rodi.
Bibl.: Per il significato di Kolossòs: E. Benveniste, in Rev. Philolog., 3, ser. 6, 1932, p. 118 e p. 381; Ch. Picard, in Rev. Arch., 1933-34, p. 341 ss.
Per la storia del C. di Rodi: C. Robert, in Pauly-Wissowa, III, 1889, c. 2130, s. v. Chares, n. 15; W. Amelung, in Thieme-Becker, VI, 1912, pp. 389-90, s. v. Chares; A. Gabriel, in Bull. Corr. Hell., 1932, p. 331 ss.; H. Maryon, in Journ. Hell. Studies, LXXVI, 1956, p. 68 ss.
Per il tipo: Br. Mus. Cat. of the Greek Coins etc., Caria, tav. XXXVI s.; L. Laurenzi, in Mem. Ist. Storico-Arch. Fert, Rodi 1938, p. 21 ss.; H. Maryon, in Journ. Hell. Studies, LXXVI, 1956, p. 68 ss.