colombo (colomba)
Due volte D. usa il sostantivo al maschile (non contiamo qui le due occorrenze del Fiore), al singolare in Pd XXV 19, al plurale in Pg II 125, e tre volte indica l'animale al femminile.
In Pg II 125 Come quando, cogliendo biado o loglio, / li colombi adunati a la pastura / ... così..., commenta Benvenuto: [le anime] " fecerunt sicut columbi, qui intendentes ad capiendum cibum, exterriti clamore vel strepitu alicuius supervenientis, subito aufugiunt dimisso victu suo... ".
Ugualmente appropriato è il paragone in Pd XXV 19 Sì come quando il colombo si pone / presso al compagno, l'uno a l'altro pande, / girando e mormorando, l'affezione... Di nuovo Benvenuto: " Hic A. describit laetam gratulationem... per unam comparationem claram et propriam, quae de se patet ".
Osserva il Grabher che nel " magnifico paragone... non è la figura degli animali che più conta, ma l'insieme dei loro atti e la traboccante ‛ plenitudine ' dell'intimo amore... Ancora una volta negli animali senti creature vive ". Questo secondo paragone piace a tutti i commentatori, particolarmente ai più antichi, per la scelta del c. in riferimento all'idea dell'affettuoso incontro fra s. Pietro e s. Iacopo; il c. aveva infatti nel Medioevo fama di essere dotato di particolare affettuosità; " colombo, quasi ‛ celeris lumbo ', è uccello molto amorevole " (Ottimo).
Il vocabolo compare anche due volte in Fiore (CCXVII 11 e CCXVIII 8), dove si parla del carro di Venere, trainato da cinque c. che la dea alleva in un su' colombiere. Nella tradizione classica sono i passeri, e non i c., a trainare il carro di Venere; strano appare anche il numero dispari degli uccelli, ma esso forse sta a indicare come i c. non fossero aggiogati a coppie, ma trainassero il carro ognuno per suo conto, liberamente obbedendo al volere della dea.
La forma femminile in un caso è usata a indicare l'animale, indipendentemente dal sesso, e cioè nel celebre paragone di If V 82 Quali colombe dal disio chiamate / con l'ali alzate e ferme al dolce nido / vegnon per l'aere, dal voler portate; / cotali...
In questo luogo tali uccelli sono scelti da D. per " suscitare un'immagine di candore... e di intima bontà e dolcezza (dolce nido) unita a qualcosa di arioso... Il paragone delle colombe - si ricordi l'atmosfera di candore a cui danno luogo i colombi di Purg. II, 125 - crea l'attesa della figura di Francesca " (Grabher). Il Sapegno cita, è vero, Virgilio (Aen. VI 190-192 " Vix ea fatus erat, geminae cum forte columbae / ipsa sub ora viri caelo venere volantes / viridi sedere solo "; e cfr. anche V 213-217), ma aggiunge subito la nota del Parodi: " Le colombe di Virgilio non sono che graziose colombe, e queste di Dante paiono animate da una volontà quasi umana ". Tuttavia, continua il Sapegno, " questa volontà (il disio, il voler, che sarà da intender qui come ‛ estro amoroso ', meglio che come ‛ desiderio dei figli... ') è più precisamente un istinto; e il poeta ne sottolinea il carattere di forza irresistibile ". Questa nota propone una soluzione di un problema, che porta il Pagliaro (Ulisse 133-134) a rifiutare l'interpretazione tradizionale, e a riferire dal voler portate non alle colombe, ma alle anime di Paolo e Francesca; afferma infatti il Pagliaro (in base al passo di Cv IV VII 11) che D. " esplicitamente rileva fra l'anima degli animali e quella dell'uomo " una differenza, " in quanto i primi sono capaci solo di istinti e, quindi, non di volere ". Egli propone perciò di cambiare l'interpunzione accettata finora, che invece il Petrocchi (cfr. ad l., anche per altri problemi inerenti a questo passo) conserva.
È certamente femminile nelle due occorrenze del Convivio (II XIV 20) in cui D. riferisce le parole di Salomone: " Sessanta sono le regine, e ottanta l'amiche concubine; e de le ancille adolescenti non è numero: una è la colomba mia e la perfetta mia ", che egli interpreta in questo modo: Tutte scienze chiama regine e drude e ancille; e questa [la Divina Scienza] chiama colomba perché è sanza macula di lite, e... perfetta perché perfettamente ne fa il vero vedere nel quale si cheta l'anima nostra. La frase di Salomone è in Cant. 6, 7 (" una est columba mea, perfecta mea "); la c. dunque, che lì rappresenta la sposa, e che fin dai primi tempi del cristianesimo fu interpretata come simbolo della Chiesa di Dio, è invece da D. intesa a rappresentare la ‛ Scienza Divina ', somma fra le altre scienze che il saggio Salomone possedeva. " L'interpretazione della Sposa dei Cantici per la Sapienza divina è comune nel Medio Evo ", commenta il Busnelli, e cita P. Mandonnet, Bulletin du Jubilé 1921, 417.