colloquio
. Latinismo; compare solo in Cv IV XXVII 16, in una citazione da Cicerone: Onde dice Tullio in quello De Senectute, in persona di Catone vecchio: " A me è ricresciuto e volontà e diletto di stare in colloquio più ch'io non solea ". Il testo del De Senectute (XIV 46) ha: " habeoque senectuti magnam gratiam quae mihi sermonis aviditatem auxit, potionis et cibi sustulit ". Qualche studioso è portato a vedere nel sostantivo dantesco l'esatto corrispondente del latino sermo, e interpreta l'espressione ‛ stare in c. ' come " parlare distesamente ", " ragionare "; ma essa (che, come l'intera frase, non è traduzione letterale del testo ciceroniano) meglio si giustifica se a c. si attribuisce il significato etimologico (cum e loquor) di " conversazione ".
La citazione dantesca sarà dunque non una pura erudizione, ma una reinterpretazione del testo classico: e se l'idea principale, nel passo ciceroniano, è quella del vecchio saggio che non si cura di cibo né di bevanda, e sembra nutrirsi solo di assennati discorsi e ragionamenti, quella dantesca ci porta all'immagine di Catone che ama, da vecchio, conversare più di prima, stare in compagnia e ammaestrare con i consigli dettati da lunga esperienza. Questa nota pare trovare conferma in un'attenta lettura di quanto D. dice poco sopra: Conviensi... a questa etade essere affabile, ragionare lo bene, e quello udire volontieri... E questa etade pur ha seco un'ombra d'autoritade, per la quale più pare che lei l'uomo ascolti che nulla più tostana etade, e più belle e buone novelle pare dover savere per la lunga esperienza de la vita.