COLLI (Colli Ricci), Vittorio Amedeo, marchese di Felizzano
Nacque ad Alessandria l'11 agosto 1787da Luigi Leonardo, marchese di Felizzano e conte di Solbrito, e da Maria Cristina Canalis di Cumiana, nipote di Vittorio Alfieri. Il padre, valoroso ufficiale dell'esercito sardo, nel 1798 era passato al servizio della Francia giungendo in breve tempo al grado di generale di divisione.
Il C. che, per il valore dimostrato dal genitore nella campagna del 1795contro la Francia, era stato nominato paggio di Carlo Emanuele IV, seguì la carriera paterna arruolandosi appena sedicenne nell'armata francese, ove ebbe il grado di sottotenente nella legione piemontese. Nel 1805 fu trasferito nel reggimento dei cacciatori a cavallo, coi quali combatté in Veneto nella campagna di quell'anno, ottenendo la promozione a tenente sul campo. Segnalatosi in tal modo, riuscì ad entrare nell'entourage del generale Massena, che poi seguì a Napoli come ufficiale d'ordinanza. Nelle campagne del 1806 e del 1807 fu agli ordini del generale Brune e dei marescialli Davoust e Bernadotte. Nel 1808 fu riaggregato presso il comando di Massena col quale partecipò, in Germania, alla campagna del 1809:alla battaglia di Essling fu notato dallo stesso Napoleone, che lo fregiò personalmente della Legion d'onore. Poco più d'un mese dopo, il 6 luglio 1809, sul campo di Wagram, nel corso di una azione venne ferito gravemente perdendo la gamba destra.
Dimesso dall'esercito con una pensione governativa, rientrò dopo qualche tempo ad Alessandria. Nella primavera del 1811 il Collegio elettorale del dipartimento di Marengo lo elesse presidente della delegazione incaricata di recarsi a Parigi per congratularsi con Napoleone per la nascita del re di Roma. A Parigi i servizi resi all'Impero sia dalla famiglia sia dal C. stesso vennero ricordati e ricompensati: oltre alla concessione di una cospicua rendita trasmissibile per via ereditaria egli ebbe il titolo di uditore del Consiglio di Stato e la carica di viceprefetto, in un primo tempo ad Alessandria e successivamente a Pistoia, dove rimase sino al 1814.
Dopo il crollo dell'Impero si ritirò a vita privata, dedicandosi soprattutto alla amministrazione del proprio patrimonio e alla famiglia. Nel settembre 1818 si sposò con Felicita Asinari di Bernezzo (1802-1837): dal matrimonio nacquero ben 13 figli, di cui però solo sette sopravvissero. Rimasto in disparte nel corso degli anni '20, nel 1832 il C. venne ammesso nell'esercito sardo col grado di capitano. Da quel momento, grazie anche all'appoggio influente del suocero Giacomo Asinari, sindaco di Torino, la carriera del. C. decollò rapidamente, tanto dal lato militare quanto da quello politico: colonnello nel '40, cavaliere dell'Ordine mauriziano dal '44, nel 1848 divenne maggior generale; dal '37, intanto, era stato chiamato dal re Carlo Alberto a presiedere ai lavori della commissione incaricata di istituire il Ricovero di mendicità, dal '38 fu decurione di Torino e pervenne alla carica di sindaco nel '46, mantenendola fino al '48. Proprio nella seduta del 5 febbr. 1848 del consiglio decurionale, il C. si pronunciò a favore di una pronta modificazione dello "assetto politico generale mediante uno Statuto" (Briano, p. 15), e perciò venne incaricato, insieme col collega Giovanni Nigra, di recarne la richiesta formale al re. Non appena questi concesse lo statuto, il C. fu tra i primi ad avere la nomina a senatore (3 apr. 1848), col Collegno, coll'Alfieri di Sostegno, col Manno, col Peyron, col La Marmora e coll'Azeglio. Nel primo Parlamento subalpino fu uno dei personaggi più importanti ed influenti del folto gruppo dei generali, anche se i suoi consigli - specie durante la guerra contro l'Austria, quando egli sosteneva con insistenza la necessità di rafforzare la linea difensiva dell'Adda - vennero spesso ignorati. Inviato insieme col Cibrario e col Castelli come commissario governativo a Venezia, vi giunse il 4 agosto, contemporaneamente alla notizia dell'armistizio di Milano: i tumulti popolari che ne derivarono costrinsero il C. ed i colleghi a riprendere subito la via del ritorno.
Fin dall'aprile '48 il C. aveva avuto l'incarico di reggere l'ufficio di ispettore generale delle Regie Poste, assolvendolo con competenza, e mirando in particolare al miglioramento del servizio e delle condizioni di lavoro degli addetti (Guderzo, pp. 263-266). Il 10 febbr. 1849 tuttavia dovette dimettersi per assumere il portafoglio di ministro per gli Affari Esteri nel gabinetto Chiodo-Rattazzi. Nel brevissimo periodo in cui resse il ministero, dal 23 febbraio all'8 marzo 1849, si dimostrò così ostile alla ripresa della guerra contro l'Austria da doversi dimettere.
"Se l'armistizio si rompe - soleva ripetere in quei giorni (Briano, p. 40) - la guerra non dura 5 giorni". E all'ambasciatore di Francia De Reiset, ribadiva: "Ce sera une grande difficulté que de répousser la reconnaissance des républiques de l'Italie centrale, mais la difficulté sera bien plus grande pour résister à la guerre. ... Comme homme, comme citoyen, je la repousse, coinvaincu que c'est une entreprise téméraire et folle. Si, au prix de ma seconde jambe, je pouvais l'éviter, je la sacrifierais volontiers, mais comme ministre des affaires étrangères, je n'ai rien à y objecter. La mediation n'a rien produit depuis plus de sept mois; si on savait ce qu'on peut en espérer, ce qu'on nous offre, ce qu'on nous demande, on pourrait prendre un parti; mais l'Autriche refuse tout et la France et l'Angleterre ne se sont engagées à rien. Que répondre à des gens qui vous disent qu'on ne gagne rien à attendre, que le trésor est à bout ... que l'anarchie est entretenue par l'oppression étrangère ... que la guerre est inévitable ... ? Que voulez-vous que je réponde à ceux qui me demandent ce que j'en sais ? Rien, et c'est le mot qui a perdu le dernier ministère il y a trois mois. Il nous entrainera aussi et la guerre sera déclarée" (De Reiset, pp. 280 s.). Le dimissioni erano quindi inevitabili: un colloquio a quattr'occhi con Carlo Alberto, il 6 marzo, non valse a modificare le sue convinzioni, e le dimissioni vennero accettate due giorni dopo. Interpellato in Senato tuttavia il C. non fece parola né della sua analisi della situazione militare, né delle conclusioni che ne aveva tratto: e proprio a causa di questa sua riservatezza e della nota ostilità alla ripresa della guerra, "nel fiorire delle fantasiose leggende dell'ora turbinosa" nacque in taluni il sospetto che in realtà il C., di concerto col segretario del re, conte di Castagnetto, avesse tentato di farsi "promotore di reazione per mettersi a capo di un governo inteso a restringere le libertà costituzionali" (Moscati, p. 293).
Il C. non ebbe più alcun incarico di rilievo e poté perciò dedicarsi esclusivamente ai lavori del Senato: egli sedeva nei banchi della Destra, nel gruppo dei generali, in genere accanto al maresciallo de la Tour. Il suo contributo si rivelò aperto alle istanze progressiste solo nel settore delle riforme organizzative dello esercito; nel febbraio '51 poi il suo appoggio fu essenziale per l'approvazione della legge per un'assegnazione a favore degli ufficiali italiani che avevano partecipato alla difesa di Venezia. Quasi sempre però le sue posizioni politiche furono nettamente ostili all'azione governativa dell'Azeglio prima e del Cavour poi.
Il C. manifestava in effetti una visione alquanto restrittiva del sistema rappresentativo: il riferimento essenziale doveva essere l'istituto monarchico cui si affiancava uno strumento, lo "Statuto, tutto lo Statuto, nulla, più nulla meno"; invece i programmi del governo gli parevano ben, altrimenti definibili: "sviluppo delle libertà concesse dallo Statuto, riforme indefinite, teorie, illusioni" (Briano, p. 56). La sua opposizione emerse particolarmente nel marzo-aprile '50, quando si discussero i progetti di legge Siccardi. Altrettanto ostinata fu la sua opposizione alla politica finanziaria di Cavour, che il C. definiva una volgare "art de grouper les chiffres", grazie alla quale, "senza ledere la verità, si possono ottenere risultati più o meno favorevoli secondo il desiderio di chi le aggruppa" (Briano, p. 55).
Dal 1855 la salute orinai malferma lo costrinse a diradare vieppiù le sue presenze in Senato: il declino accelerò all'inizio del '56 finché, il 14 aprile, il C. si spense a Torino.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Isez., Ministero degli Affari Esteri-Poste, mazzi 28 e 32; Ibid., Sezioni Riunite, Patenti controllo finanze, 1814-1842 e 1843-2850, ad vocem; Torino, Biblioteca reale, Fondo Manno, ad vocem; Ibid., A. Manno, Il Patriz. subalpino (datt.), VI, pp. 203-205; Torino, Museo del Risorgimento, Archivio, cart. 179 bis; G. A. De Reiset, Mes souvenirs, I, Les débuts de l'indépendance ital., Paris 1901, pp. 279-91; L. Cibrario, Relazione su una missione a Venezia, Torino 1850, passim;G. Briano, Vita del marchese V. C. di Felizzano, Torino 1856; F. Odorici, Cessione di Venezia ai regi commissarii Cibrario e C. ..., in Archivio veneto, III (1872), pp. 60-77; G. Pittaluga, Aneddoti della guerra franco-austro-russa nel 1797, in Rivista di st., arte e archeol. p. la prov. di Alessandria, V (1896), pp. 497-501; N. Rodolico, Carlo Alberto negli anni di regno 1843-1849, Firenze 1942, pp. 518 s.; A. Moscati, I ministri del '48, Napoli 1948, pp. 291-94; A. M. Raggi, La campagna franco-austro-sarda del 1795nelle lettere di un patrizio alessandrino, in Rass. stor. d. Risorg., XLI (1954), pp. 71 s.; S. Cannarsa, Senato e Camera nei loro rapporti e conflitti (1848-1948), Roma 1955 p. 97; G. Guderzo. Vie e mezzi di comunicaz. in Piemonte dal 1831al 1861, I servizi di posta, Torino 1961, pp. 121, 263-66, 289; Storia del Parlamento ital., I, Le Assemblee elettive del '48, a cura di G. Sardo, Palermo 1963, pp. 408 ss.; II, Dal ministero Gioberti all'ingresso di Cavour nel governo, a cura di G. Sardo, Palermo 1964, pp. 36, 93, 354 ss.; C. Magni, I Subalpini e il concordato. Studio storico-giuridico sulla formazione delle leggi Siccardi, Padova 1967, passim; T.Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, p. 295; V. Spreti, Enc. stor-nobil. ital., II, p. 503.