COLLETTA (lat. collecta, da colligo "raccolgo"; fr. collecte; sp. cosecha; ted. Ernte; ingl. collect)
Con questa parola, usata per designare anche collettività o riunioni di persone, adunate di popolo o di armati, discorsi di superiori prima o dopo gli uffici sacri, mercedi o prezzi per servizî, s'indica propriamente ogni raccolta di prodotti, di derrate e soprattutto di danaro, e queste sia tra i fedeli, come le collectiones elemosinarum, sia tra altre categorie di persone per scopi e fini loro particolari. Collectae furono dette anche nel Medioevo quelle raccolte di danaro periodiche e permanenti con carattere di tributo allo stato o alla chiesa.
A Genova si distingueva la colletta di terra da quella di mare o delle navi, che consisteva nel pagamento di una percentuale sul valore delle merci sbarcate e raggiungeva talvolta anche il doppio dell'altra. Le collette, come tributo, furono adottate anche a Lucca; ma dove ebbero grande sviluppo e costituirono parte essenziale delle finanze statali fu nel regno di Napoli. Agl'inizî della dominazione normanna esse furono chieste nei parlamenti generali solo come contribuzioni straordinarie sui beni allodiali (adiutoria, ostenditia); sotto Guglielmo I divennero imposta forzosa e, per la loro generalità, assunsero anche carattere personale. Guglielmo II riaffermò il loro carattere straordinario e stabilì tassativamente in quali casi potessero essere imposte. Dopo di lui, per la frequenza con cui venivano esatte, divennero quasi un tributo ordinario. Federico II le chiamò generales subventiones e le impose (specie per la guerra in Terra Santa) in una misura eccessiva sui laici e ancor più sugli ecclesiastici, provocando le ire e la scomunica di Gregorio IX. Carlo I d'Angiò le riscosse sei volte l'anno, esentandone i feudatarî, gli ecclesiastici e i Provenzali. Da queste collette ordinarie si distinsero le straordinarie, volontarie o donativi, che i sovrani facevano votare di volta in volta nei parlamenti. Alfonso I d'Aragona abolì quelle ordinarie, sostituendo ad esse una tassa per fuoco: dopo un vano tentativo di riforma di Ferdinando I, si tornò nel 1485 al sistema del focatico e accanto ad esso si mantennero le collette straordinarie (donativi). Verso la metà del sec. XV le collette scomparvero dal novero dei tributi di quel regno.
Attualmente in Italia le collette sono considerate insieme con le questue e, quando non sono fatte nei luoghi destinati al culto, sono sottoposte a speciali norme di pubblica sicurezza per impedire attentati alla buona fede e alla moralità pubblica.
Bibl.: G. B. De Luca, Dottor volgare, ecc., Roma 1683; N. Ferrarii, De aestimo et collectis, in Tractatus univ. iuris, XII, f. 173; A. Giustiniani, Annali della Repubbl. di Genova, Genova 1854-55, I, p. 251; A. Sacchi, s. v. Colletta, in Digesto italiano; R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia, ecc., Palermo 1806-16, II, p. 6; L. Bianchini, Storia delle finanze del Regno di Napoli, 2ª ed., Palermo 1831, pp. 42, 78, 125, 192.
La colletta liturgica. - È l'orazione che precede l'epistola della Messa e si ripete poi nell'ufficio divino; più genericamente si chiamano collette anche tutte le orazioni in uso nelle funzioni liturgiche e in modo speciale quelle imperate, cioè prescritte dall'autorità ecclesiastica competente per casi particolari e che si trovano generalmente "radunate" (collectae) in fine del messale. "Collettario" (anticamente "collettaneo", "orazionale", "capitolare") è il libro che contiene le collette.
Pare che l'uso di radunarsi (colligere) in una chiesa, da cui si partiva processionalmente alla volta di un'altra chiesa fissata per la funzione liturgica, facesse chiamare "colletta" la preghiera che si recitava sul popolo "adunato" (collectus) prima della processione e che si ripeteva giunti al termine. Altri pensano che il nome sia stato dato a indicare che tale orazione "aduna" in sé i voti del popolo (Innocenzo III), ovvero "aduna" in un fascio i frutti spirituali da impetrarsi nella festa (Benedetto XIV). In antico il celebrante, salutato il popolo col Dominus vobiscum o altra simile formula, lo invitava alla preghiera (Oremus "preghiamo") aggiungendo l'oggetto della preghiera. Il diacono invitava a prostrarsi (Flectamus genua "pieghiamo le ginocchia"). Dopo la preghiera di ciascuno in silenzio, il suddiacono avvisava tutti di alzarsi (Levate) e il celebrante conchiudeva con la colletta. Ricordo di tale uso è rimasto soprattutto nel venerdì santo. Ancora nel sec. IX si diceva a Roma una sola colletta, ma poi si aggiunsero quelle delle feste "commemorate". Il messale edito da Pio V (1570) prescrive per i giorni di grado semidoppio o semplice almeno tre collette (per eccezione due, ad es. nel tempo di Passione); la prima si conchiude generalmente sola con la forma deprecativa Per Dominum nostrum Iesum Christum o altra equivalente; le altre si uniscono tra di loro, conchiudendo soltanto l'ultima. Il popolo vi partecipa rispondendo Amen.
Bibl.: Benedetto XIV, De sacrificio Missae, Roma 1748; F. Cabrol, Le livre de la prière antique, 5° ed., Tours 1919.