colle (collo)
Per quanto nel latino collis prevalga, rispetto a mons, la connotazione di altura modesta, o comunque meno elevata, non infrequentemente il senso del primo termine si confonde con quello del secondo e si hanno esempi del tipo seguente: " de collibus altis " (Virg. Aen. VII 725); " tellus hinc ardua, celsos continuat colles " (Lucan. IV 159); " colles in immensum editos " (Tac. Hist. V 11), comuni anche nei testi scritturali: " in omni colle excelso et in cunctis summitatibus montium " (Ezech. 6, 13); " in omni colle sublimi " (IV Reg. 17, 10). Su questa linea D. usa talvolta genericamente il vocabolo per " monte ", " montagna ": L'aiuola che ci fa tanto feroci, / volgendom'io con li etterni Gemelli, / tutta m'apparve da' colli a le foci, dai monti al mare (Pd XXII 153); Ma ben ritorneranno i fiumi a' colli / prima che questo legno molle e verde [metaforicamente: la donna amata] / s'infiammi (Rime CI 31); io son fuggito per piani e per colli, / per potere scampar da colat donna (CI 21); vedete gir nudi [sprovvisti di tutto] / per colli e per paludi [ove il cammino è più faticoso] / omini innanzi cui vizio è fuggito, cioè uomini virtuosi (CVI 103); o lo unisce con il superlativo ‛ altissimo ': ond'io l'ho chesta in un bel prato d'erba / innamorata, com'anco fu donna, / e chiuso intorno d'altissimi colli (CI 30).
Altrove il vocabolo si dispone al livello semantico ancor oggi usuale e rientra fra gli elementi comuni della stilizzazione paesaggistica, come nella canzone-sestina Al poco giorno, dove, tra l'altro, è anche parola-rima: al gran cerchio d'ombra / son giunto, lasso!, ed al bianchir de' colli (Rime CI 2); il dolce tempo che riscalda i colli (v. 10); Amor... che m'ha serrato intra piccioli colli (v. 17; l'esempio è particolarmente importante perché si oppone agli altissimi colli del medesimo componimento, ai quali conferisce un peso espressivo non indeterminato); Quandunque i colli fanno più nera ombra (v. 37).
In certi casi è possibile localizzare geograficamente i c. di cui è cenno nel testo dantesco: Mastro Adamo ha continuamente davanti agli occhi i ruscelletti che d'i verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno (If XXX 64), maggior tormento alla sua arsura che non l'infernale idropisia; nella Marca trivigiana si leva un colle [il c. di Romano, su cui sorgeva il castello degli Ezzelini], e non surge molt'alto (Pd IX 28); il Chiascio discende del colle eletto dal beato Ubaldo, cioè dal c. di Gubbio, scelto per eremitaggio da s. Ubaldo (Pd XI 44); il colle sotto il quale D. nacque è quello di Fiesole, che in Pd VI 53 sta a indicare la città stessa; ai c. della regione di Màdian, a sud-ovest della Palestina, si connette il passo in cui Gedeone scaccia da sé gli Ebrei troppo golosi quando inver' Madïan discese i colli (Pg XXIV 126), suggerimento di Iud. 7, 8-9 " Castra autem Madian erant subter in valle. Eadem nocte dixit Dominus ad eum: Surge et descende in castra ".
Si discute sul valore letterale e simbolico del c. ai cui piedi D. giunge uscendo dalla valle selvosa dove si era smarrito (If I 13). Esso appare elevato, si che il viandante per vederlo deve guardare in alto (v. 16; più oltre, al v. 77, si parlerà chiaramente di monte) ed è illuminato dai raggi del sole, il pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle (vv. 17-18). Tale vista acqueta un poco la paura di D., rinnovata per altro dall'apparizione delle belve che gl'impediscono il passo al dilettoso monte / ch'è principio e cagion di tutta gioia (vv. 77-78).
Il c. si presenta quindi sin dalle prime battute del poema come una delle mete, se non come la meta suprema, dell'itinerario dantesco, e l'intervento di Virgilio sembra volto a riavviare il pellegrino proprio sul cammino prima intermesso verso quell'altezza luminosa. L'interpretazione degli antichi glossatori vede di volta in volta in questo elemento essenziale del poema la dritta e virtuosa vita (Lana), la virtù e cognizione della vera felicità (Ottimo), l'‛ ardua virtus ' illuminata dalla giustizia divina (Benvenuto), la vera conoscenza e l'esatto intendimento delle cose (Anonimo), la contemplazione della verità sovrannaturale, in dipendenza di Ps. 23, 3 " Quis ascendet in montem Domini? / aut quis stabit in loco sancto eius? " (Landino, e, sulle sue orme, Vellutello e Daniello), la Scrittura (Boccaccio, il quale cita Ps. 120, 1 " Levavi oculos meos in montes, unde veniet auxilium mihi "; ma v. anche Gen. 22, 14, Ps. 14, 1, Agost. Serm. Dom. in monte 11).
Tra i moderni commentatori, mentre il Torraca pensa alla beatitudine di questo mondo sulla quale discende più efficace la divina bontà, prevale, per l'evidente contrapposizione del c. con la selva del peccato, la tendenza a cogliervi il significato di " vita virtuosa ", arricchita dalla Grazia, premessa alla salvezza dell'anima (Casini-Barbi, Scartazzini, Porena, Sapegno, Chimenz), o di vita contemplativa, radice di ottima felicità e beatitudine (Pagliaro).
Più complessa è la posizione del Mattalia, per il quale al c. " è opportuno non attribuire un significato troppo ristretto: esso include tutti gli elementi da cui è condizionato il sublime viaggio dell'uomo verso la perfezione e verso Dio; è la vita attiva e la speculativa insieme, e non solo l'una o l'altra ".
Si avanza pure l'ipotesi che il c. apparso a D. all'inizio della sua avventura ultramondana coincida, sotto il profilo letterale, con la montagna del Purgatorio: così Del Lungo, Valeggia, Siebzehner; di diversa opinione il Parodi, che sostiene, a parte le incongruenze topografiche e figurative, l'opportunità di distinguere fra il c., simbolo della felicità ‛ civile ' dell'uomo, raggiungibile nella convivenza sociale, e il Purgatorio, sede della felicità propria dell'umana natura non ancora peccatrice e, poi, liberata dal peccato attraverso la penitenza (cfr. " Bull. " XXIII-XXIV [1916-1917] 5). D'altro canto F. Mazzoni nota che le parole qualificanti il ‛ dilettoso monte ' principio e cagion di tutta gioia sono una ripresa della definizione aristotelica della felicità (" felicitas... principium et causam bonorum honorabile quid, et divinum ponimus ", Eth. nic. I 12 8) parafrasata nel commento tomistico (" felicitas est principium omnium bonorum humanorum, quia propter ipsam omnes homines operantur omnia quae agunt ", lect. XVIII; e così B. Latini: " la vera felicità è cominciamento e cagione di nuovo bene ", Tresor [volgarizz. attribuito a B. Giamboni] II 7 48-49), e da tali testi si sente indotto a veder simboleggiato nel c. " null'altro che la felicità naturale " che può essere conquistata, dopo la perdita dell'innocenza originaria, " nel concreto esercizio delle virtù morali e intellettuali.., attuando e praticando la giustizia ", e in certo modo si riaccosta alla tesi di Del Lungo.
Vale " sommo ", " orlo superiore " di un argine di Malebolge, in If XXIII 53 A pena fuoro i piè suoi [di Virgilio] giunti al letto / del fondo giù, ch'e' [i diavoli] furon in sul colle / sovresso noi.
Nello stesso senso figura due volte sotto la forma del metaplasmo ‛ collo ', intorno alla quale l'antica vulgata, nei passi in questione, è in genere solidale, pur non mancando in alcuni codici attestazioni della forma ‛ colle ': Lascisi 'l collo, e sia la ripa scudo (If XXII 116); e giù dal collo de la ripa dura / supin si diede (XXIII 43).
Una volta il metaplasmo, suggerito dalla rima, ha lo stesso valore di ‛ colle ': ed è natura / ch'al sommo pinge noi di collo in collo (Pd IV 132).
Bibl. - Per il ‛ colle ' di If I 13, oltre i principali commenti e le più importanti lecturae del canto, v. in particolare: G. Valeggia, Il I canto dell'Inferno dantesco, Lanciano 1900; I. Del Lungo, Il canto I, dell'Inferno, Firenze 1901; Pagliaro, Ulisse 15-17; F. Mazzoni, Saggio d'un nuova commento alla D.C., Firenze 1967, 58-60.