Collasso
Il termine collasso (dal latino collapsus, da collabi, "cadere") viene comunemente impiegato quale sinonimo di shock. Nonostante qualche sfumatura di significato, soprattutto con riferimento alle varie eziologie e ai differenti meccanismi fisiopatologici, esso sta a indicare un'insufficienza cardiocircolatoria acuta, con ipoperfusione tissutale e conseguenti effetti negativi sul metabolismo cellulare di estese regioni del corpo, incompatibili con il mantenimento delle funzioni vitali.
Numerose cause, spesso coesistenti e agenti in maniera sinergica, intervengono nella genesi del collasso cardiocircolatorio: a livello cardiaco un deficit di pompa (shock cardiogeno), a livello del circolo periferico un volume circolatorio inadeguato (shock ipovolemico), un'eccessiva vasodilatazione o un aumento delle resistenze al ritorno venoso. Uno shock cardiogeno si verifica in caso di danno miocardico (infarto acuto, insufficienza cardiaca, lesioni tossiche del muscolo cardiaco) o di difficoltoso riempimento cardiaco (come nel tamponamento cardiaco, nelle gravi valvulopatie stenotiche, nei mixomi o nei trombi a palla dell'atrio sinistro). Tutte queste situazioni determinano, anche in presenza di una volemia normale, una sensibile riduzione della gettata cardiaca. Una marcata riduzione del volume circolatorio viene manifestata nelle emorragie imponenti, nelle disidratazioni gravi (come nel vomito e nella diarrea profusi) e nel passaggio di liquidi dal compartimento intravascolare a quello extravascolare per aumento della permeabilità vasale (reazioni anafilattiche, anossia, ustioni) o per perdita all'esterno (ustioni). L'ipovolemia comporta anch'essa una riduzione della gettata cardiaca, che entro certi limiti può essere però compensata da un aumento della frequenza.
Lo shock da vasodilatazione si realizza allorché, in presenza di un normale volume circolatorio, vengono a crearsi condizioni che non consentono un idoneo riempimento delle cavità cardiache per aumento della capacità del sistema vascolare (come, per es., nello shock tossico in corso di infezioni batteriche per azione delle tossine sui vasi, nello shock neurogeno da accidenti traumatici o vascolari cerebrali o midollari, nell'ampliamento ex vacuo del letto vascolare dopo rimozione di versamenti endocavitari ecc.). Situazioni che ostacolano il ritorno al cuore del sangue venoso sono poi, per es., l'embolia polmonare massiva o le compressioni esercitate sulle vene cave da parte di tumori. I vari meccanismi possono interagire tra loro, realizzando situazioni di compenso o creando, al contrario, circoli viziosi, cosicché il bilancio tra queste opposte influenze è determinante nel condizionare il recupero dallo shock o il progressivo aggravamento, fino alla morte. La risposta adrenergica si estrinseca soprattutto con fenomeni di vasocostrizione a carico dei vari organi, che comportano, in sequenza, riduzione della pressione parziale di O₂ (pO₂), anossia, acidosi, dilatazione delle arteriole precapillari e concomitante costrizione postcapillare, passaggio di liquidi dal compartimento vascolare a quello interstiziale, danno cellulare.
La sintomatologia clinica varia in rapporto all'entità dello shock e alla sua eziologia, e sotto questo profilo lo shock cardiogeno e quello ipovolemico possono essere considerati unitariamente. Per quanto riguarda il livello di coscienza, questo può essere più o meno alterato (sopore, stato confusionale ecc.), ma anche conservato. La cute e le mucose possono essere pallide o cianotiche, fredde e umide. Quasi sempre presenti sono la tachipnea e la tachicardia, mentre i polsi periferici sono appena percepibili o addirittura non apprezzabili, e la pressione arteriosa difficilmente determinabile. Possono essere presenti disidratazione o, al contrario, segni di stasi (turgore delle vene giugulari, rumori umidi alle basi polmonari). In fase terminale può esservi bradicardia con bradipnea o apnea. Nello shock settico è spesso presente febbre elevata, che insorge con brivido a volte squassante e scompare per crisi con sudorazione profusa. In questa particolare forma (generalmente non definita collasso se non nella fase terminale), che è caratterizzata da aumento della gettata cardiaca e riduzione delle resistenze periferiche (shock iperdinamico), la cute è, a differenza che negli altri tipi di shock, rossa e calda, e il polso e la pressione possono mantenersi validi per un certo periodo di tempo; la diuresi è comunque contratta e la tendenza è, seppure tardivamente, verso l'ipotermia.
Il trattamento dello shock, da attuare sempre con estrema urgenza, richiede assai spesso, per la sua delicatezza e complessità, il ricovero del paziente in ambiente clinico adeguato, nel quale sia possibile guidare la terapia sulla base dei risultati del monitoraggio continuo dei parametri vitali. Nello shock ipovolemico, oltre all'eliminazione della causa che ha provocato la riduzione del volume circolatorio, il ripristino della volemia è in primo piano: a questo scopo verranno somministrate grandi quantità di liquidi, compresi sangue e derivati, e si farà eventualmente ricorso ai farmaci vasopressori (associati a vasodilatatori, per evitare l'incremento del consumo di O₂ da parte del cuore), ai corticosteroidi e ai vasocostrittori (dando la preferenza a composti, come per es. la dopamina, che rispettano la gettata cardiaca e la perfusione e non aumentano le resistenze periferiche). Nello shock cardiogeno, il principale obiettivo è il miglioramento della prestazione cardiaca. Nello shock settico, infine, il trattamento dovrà essere integrato con un'antibioticoterapia massiva e mirata.
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