COLETTA di Amendolea
Nacque ad Amendolea, in provincia di Reggio Calabria, nella prima metà del XV sec., ma visse a Napoli, dove sposò una Violante Ferrero. Il padre Antonello, ribellatosi agli Aragonesi alla morte di Alfonso, perse con provvedimento di Ferrante del 25 luglio 1459 il feudo di Amendolea, che fu concesso a Berengario di Malda di Cardona. Negli anni 1470 e 1471 C. ebbe mensilmente dalla corte 20 ducati "per son soccoriment", quale compenso dei servigi che prestava; ma spesso, in tali ristrettezze, dové ricorrere alla bontà del re: il 22 ag. 1470 ricevette 20 ducati "per elemosina o caritativament en adiutorio de les despeses de sa malaltia", ed il 27 nov. 1471 altri 20 ducati perché potesse "pagar lo loguer de unes cases hon de star ell e sa muller" (Mauro, pp. 290 s.). In seguito le sue condizioni economiche migliorarono. Dopo il 1480 ottenne una parte del casale di San Biase (in Principato Citeriore) in risarcimento, stabilito dalla Gran Corte della Vicaria, di un credito di 350 ducati da parte di un tale Iacopo Ferraro. Senonché Antonello Petrucci, promettendogli in cambio la restituzione di "certa robba" da parte di Ferrante, lo convinse a vendergli la terra per 352 ducati ed a sottoscrivergli di aver ricevuto la somma; in effetti poi né pagò né mantenne la promessa. Per sua beffa o per sua rivalsa C. il 13 nov. 1486 fu presente come testimone alla lettura della sentenza che condannò a morte i baroni ribelli, tra cui Antonello. Eseguita la sentenza ed incamerati i beni dei Petrucci, C. il 7 sett. 1489 chiese al re che gli fosse restituita la piccola proprietà. Questa è l'ultima notizia che abbiamo su C., di cui è ignota la data di morte.
Nell'agosto del 1481 Battista Stravandria di Gerace copiava "ad instantiam magnifici viri Colette de Amendolia de Neapoli" il volgarizzamento dei Libri tres de primo bello Punico di Leonardo Bruni e Li fatti degly Rey et Consoli et Imperadori Romani (cod. 3400* della Biblioteca nazionale di Vienna, ff. 2r-88v). Il 3 marzo 1484 veniva dedicato al "magnifico signore Coletta de l'Amendolea" un commento ai Trionfi del Petrarca (ms. XIII. D. 10 della Biblioteca nazionale di Napoli); e C. stesso dovette essere rimatore volgare, se lo si identifica con il Coletta, sotto il cui nome ci sono state tramandate alcune liriche nel ms. Ital. 1035 della Nazionale di Parigi. Il codice, del sec. XV, conserva ai ff. 1r-43v il Cansonero di Giovanni Cantelmo, conte di Popoli, il quale intorno al 1468 raccolse i versi che gli inviavano i suoi amici poeti, Francesco Galeota, Pietro Iacopo De Jennaro, C., Francesco Spinello, Cola di Monforte, Michele Riccio, Giovanni di Trocculi, Leonardo della Lama, ed altri per noi sconosciuti: documento oltremodo interessante di un ambiente e di una cultura, contrassegnato dalla coscienza e dalla volontà dei singoli rimatori di esprimersi entro una tradizione di koinè, di sperimentare in forme letterarie temi e modi popolareggianti sul modello dei toscani. I componimenti di C., una decina in tutto, tra quelli che espressamente gli assegna il manoscritto parigino e quelli che la Corti (pp. 16 ss.) propone di attribuirgli, sono ballate, barzellette e strambotti che "si riconoscono, oltre che per le frequenti invettive e la tematica popolare... per una sorta di attraente e spericolato impudore espressivo... a cui però si accompagna una nota di primitiva malinconia o di desolazione frenetica" (p. XXI). La barzelletta "Io inde tegno, quanto a tte", nella quale C. rivolge acri ingiurie ad una donna infedele, dà l'avvio ad una tenzone. Interviene Francesco Galeota che a nome della donna ribatte e rimbalza le accuse; gli replica C. ("Io sto forte più che muro") rinfacciandone l'ingratitudine e la slealtà; con arguzia e bonaria saggezza il De Jennaro chiude l'alterco commiserando la donna, vittima dei due. La tenzone, tutta allusiva, perché costruita su battute e proverbi della tradizione locale, e viva del gioco serrato di botta e risposta, individua la personalità insieme rude e sentenziosa del C., i cui segni la Corti ravvisa anche nelle due barzellette anonime ("Si a 'stu tempo s'ammatura"; "Si ben note e puni mente") di risposta alla Volombrella del De Jennaro. Entrambe, infatti, lontane dai modi riflessi che questa letteratura volgare meridionale andrà assumendo, spiccano, in una lingua fortemente segnata di fonetica calabrese, per la vivacità popolaresca e per l'alternarsi ed equilibrarsi del rozzo realismo delle immagini con la sentenziosa saggezza dei proverbi. Il componimento più noto di C. resta il canto del galeotto "De dolore io me 'nde aucio quando sento dire aiossa" (il solo trasmesso da un secondo ms, il Riccardiano 2752, c. 43v: v. G. Parenti, "Antonio Carazolo desamato". Aspetti della poesia volgare aragonese nel ms. Riccardiano 2752, in Studi di filologia italiana, XXXVII [1979], pp. 119-279), esemplare per resa fonetica: il dolore del marinaio, lontano dalla sua donna, condannato a remare sulla galea catalana, è scandito dall'ossessivo ritmo del grido del capitano, "aiossa" (forza!, avanti!). Il Cansonero fu pubblicato dal Mandalari (Rimatori napoletani del Quattrocento, a cura di G. Mazzatinti-A. Ive, con prefazione e note di M. Mandalari, Caserta 1885: si vedano le recensioni di T. Casini, in Riv. crit. della lett. ital., II [1886], coll. 105-112; di F. Torraca, in Giorn. stor. della lett. ital., VII [1886], 1, pp. 413-422; e di E. Percopo, ibid., VIII [1886], 2, pp. 318-322) e dall'Altamura (Rimatorinapolet. del Quattrocento, Napoli 1962: per C. pp. 9, 10 s., 12 s., 15-17, 19). La tenzone e le due barzellette anonime si possono leggere anche in P. J. De Jennaro, Rime e lettere, a cura di M. Corti, Bologna 1956, pp. 3 s., 7-10, 16-18 (si veda anche l'Introduzione, passim).
Bibl.: F. Torraca, Rimat. napolet. del sec. decimoquinto, in Discussioni e ricerche letter., Livorno 1888, pp. 131 s., 158 s.; Id., Rimat. napol. del Quattrocento, in Aneddoti di storia letter. napol., Città di Castello 1925, pp. 197, 222-224, 228; A. Mauro, Per la storia della letter. napol. volgare del Quattrocento, in Archivio storico per le province napol., n. s., X (1924), pp. 223-231; L. Aliquò Lenzi-F. Aliquò Taverriti, Gli scrittori calabresi. Dizionario biobibliogr., I, Reggio Calabria 1955, pp. 39 s.; D. De Robertis, in Storia della letter. ital., III, Milano 1966, pp. 690-6921 F. Tateo, in La letteratura italiana. Storia e testi, III, 2, Bari 1972, pp. 576 s.; A. Altamura, in Storia di Napoli, IV, 2, Napoli 1974, pp. 507-10.