CARACCIOLO, Colantonio
Figlio del celebre eretico Galeazzo e di Vittoria Carafa, nacque nel 1538 circa. Alla morte (1562) del nonno, suo omonimo, marchese di Vico, gli successe nei feudi, giusta l'assenso all'esclusione del solo Galeazzo dall'eredità, concesso da Carlo V. Già nel funerale che allestì per l'avo, egli sfoggiò una magnificenza ed uno sfarzo, che poi lo accompagnarono per tutta la vita. Per queste esibizioni, unite molto presumibilmente a notevole alterigia, il C., che prima della tregua di Vaucelles (1556) aveva combattuto giovanissimo contro Enrico II nell'esercito dell'imperatore in territorio della Repubblica di Siena e nella Mosella, si pose in urto con il viceré Pedro Afan de Ribera, duca d'Alcalá, che aveva preso possesso del suo ufficio nel 1559.
Nell'aprile del 1564, essendo Napoli percorsa da violente agitazioni - a un mese dalle esecuzioni dell'Alois e del Gargano - per il timore dell'introduzione dell'Inquisizione al modo di Spagna, il S. Uffizio inviò a Benevento un commissario apostolico per indagare sull'attività del Caracciolo. Questi, che non interruppe mai completamente i rapporti con il padre, fu ritenuto uno dei promotori dei disordini napoletani. In un primo momento il C. fu citato con un editto affisso alle porte della cattedrale di Benevento e quando, il 7 novembre, il cardinale Michele Ghislieri, sommo inquisitore, chiese di inviarlo nello Stato pontificio, il C., accusato di maltrattamenti nei confronti dei suoi vassalli, era già prigioniero del duca di Alcalá. Fu condotto a Roma e dopo una detenzione di circa un anno in Castel Sant'Angelo, durante la quale trovò modo di mostrare la sua munificenza, subì il processo, al termine del quale fu praticamente prosciolto, previa una purgazione canonica, che avvenne il 20 marzo 1566 alla presenza dell'arcivescovo di Conza, di quello di Sorrento, del vescovo di Muro e del cognato Alfonso Gesualdo. Egli sarebbe dovuto tornare a Napoli, dove aveva lasciato, prima di recarsi a Roma, una cauzione di 10.000 ducati, per apprendere dalla Vicaria la destinazione che gli era stata assegnata dalla sentenza contro di lui. Riparò a Venezia, non sappiamo con precisione quando, e vi rimase fino al 1576. Aveva continuato a vivere principescamente, ma nel 1572 cedette alla madre alcune terre, quale dotalizio, e l'anno successivo fu costretto a vendere Montefusco (Avellino), Telese (Benevento) e altri possedimenti.
Dopo un soggiorno a Roma, presumibilmente breve, nel 1576, ottenne agli inizi dell'anno seguente dalla Repubblica veneta una galea e iniziò a corseggiare, escludendo, secondo gli accordi con Venezia, il mare Adriatico dalle sue scorrerie. Nell'agosto del 1577 catturò un brigantino. Il C. morì ancor giovane nel 1577 per cause ignote, prima dell'ottobre mentre era in viaggio verso Napoli da Palermo, lasciando la moglie, Maria Gesualdo, e i figli, Filippo, Luigi e Isabella in cattive condizioni economiche.
Nella parte del gran signore da lui interpretata, il C. incluse anche il mecenatismo. Scipione Ammirato ricevette infatti da lui la proposta di fargli da segretario a condizioni molto vantaggiose e Camillo Salerno gli dedicò le Consuetudines Neapolitanae…, edite a Napoli nel 1567.
Fonti e Bibl.: S. Ammirato, Delle famiglie nobili napoletane, I, Firenze 1580, pp. 124 s.; L. Amabile, Il Santo Officio..., I, Città di Castello 1892, pp. 216, 285-87; B. Croce, Vite di avventure,di fede e di passione, Bari 1947, pp. 197, 235, 276-80; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli, Città del Vaticano 1961, pp. 170, 175; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo. Napoli 1966, tavv. VIII, IX bis.