cogito
Termine in cui normalmente si compendia la formula cartesiana cogito, ergo sum (lat. «penso, dunque sono», Discorso sul metodo, IV; Meditazioni metafisiche, II, 6), indicante la certezza e l’evidenza immediata, intuitiva, con cui il soggetto pensante coglie la sua esistenza. Come tale il c. costituisce per Cartesio il punto fermo al quale si arresta il dubbio metodico. Tale dubbio, infatti, può essere esteso a tutte le cose, fuorché al dubbio stesso, perché se metto in dubbio tutte le cose, una sola cosa è certa, e cioè che dubito. Ma dubitare significa pensare, per cui è certo che ‘penso, dunque esisto’. Il c. rappresenta quindi quell’attributo della sostanza pensante che la identifica e che non può mai essere revocato in dubbio; costituisce pertanto il fondamento di ogni certezza soggettiva e il criterio (evidenza) per misurare ogni altra certezza. Al c. cartesiano è stata avvicinata l’analoga prova di cui si era servito Agostino nella sua critica delle tendenze scettiche della tarda speculazione greca, allo scopo di fondare la sua teoria della verità trascendente il soggetto («si fallor, sum»). Fu utilizzato contemporaneamente, con diversa intenzione, da Campanella per dimostrare la priorità di una «nozione innata in sé» su ogni altra conoscenza. Criticato, corretto e riformulato da vari pensatori (Vico, Lichtenberg, Kant, Schelling, Kierkegaard), ma sempre più o meno sostanzialmente condiviso, la sua critica più radicale, già anticipata da Schopenhauer, si ritrova in Nietzsche, per cui il c. si riduce o a pura tautologia o a un’arbitraria accettazione del concetto di sostanza. Critica che modernamente è stata ripresa, nei suoi termini essenziali, anche da Carnap. Al c. si è rifatto invece, nell’ambito della filosofia contemporanea, il pensiero di Husserl, che nella fase più tarda prende l’avvio da un ripensamento e da una rielaborazione del c. cartesiano inteso non come attributo di una sostanza, ma come concreta «corrente di cogitationes» che il soggetto avverte in sé.