COESISTENZA PACIFICA
. Le prime origini di una politica di c., da parte del potere sovietico, risalgono in effetti agli ultimi anni di Lenin, quando l'attesa della guerra rivoluzionaria venne meno dinanzi alla prospettiva di una tregua, necessaria per la ripresa economica e l'edificazione pacifica: la conclusione della pace di Riga con la Polonia, l'abbandono del comunismo di guerra e il lancio della NEP stimolavano la riflessione sui rapporti complessivi col mondo esterno, mentre il III congresso del Comintern, nel luglio 1921, abbandonava il mito della rivoluzione immediata. Ripetutamente, nel corso del 1921, Lenin prese atto dell'inatteso equilibrio raggiunto nei rapporti internazionali; nel marzo 1922, rileggendo il discorso che Čičerin avrebbe pronunciato alla conferenza di Genova, egli ne cancellò alcune frasi inopportune sulla necessità della violenza e della guerra. Non chiariti, tuttavia, restavano il carattere e la durata della tregua, mentre si faceva strada l'idea che i contrasti fra le potenze avrebbero portato in breve tempo a un nuovo conflitto intercapitalistico; d'altra parte la moderazione da usare nelle trattative diplomatiche non escludeva una sostanziale rigidezza, come dimostrano le accuse portate dallo stesso Lenin nel febbraio e nel maggio 1922, alle "vergognose e pericolose esitazioni" di Čičerin e Litvinov.
A sua volta, Stalin riprese da Lenin il termine sožitel'stvo ("convivenza"), usato promiscuamente per indicare, a volte, i rapporti fra le nazionalità entrate nella compagine dell'Unione, altre volte, invece, le relazioni con i paesi capitalisti. Il termine attualmente usato, sosuščestvovanie ("coesistenza"), sebbene già impiegato da Čičerin nel giugno 1920, s'impose nel linguaggio sovietico solo nel dopoguerra: compare, infatti, nei rapporti di Ždanov e Malenkov alla conferenza istitutiva dell'Ufficio d'informazione nel rapporto di Suslov alla conferenza dello stesso Ufficio d'informazione tenuta nel novembre 1949, in un'intervista di Stalin alla Pravda del 2 aprile 1952 è infine, ripetutamente, nella relazione al XIX congresso del Partito comunista bolscevico, presentata da Malenkov ("La coesistenza pacifica e la collaborazione del capitalismo e del comunismo sono del tutto possibili, purché vi sia la volontà di attuare gl'impegni assunti... Noi siamo certi che nella competizione pacifica con il capitalismo il sistema economico socialista proverà la sua superiorità... Noi non abbiamo intenzione, comunque, d'imporre con la forza la nostra ideologia o il nostro sistema economico"); se la collaborazione, obiettivamente possibile, non si realizza, ciò avviene perché gli anglo-americani violano le decisioni delle conferenze di Jalta e di Potsdam. In sostanza la dottrina della c. pone in rilievo, piuttosto che la lotta cosciente per il socialismo, la durata e la complessità della transizione, regolata da leggi economiche obiettive. I giuristi sovietici commentarono le dichiarazioni di Stalin e Malenkov, riportando la c. p. alla vittoria del socialismo in un solo paese e identificandola coi principi elementari e generalmente accettati del ius gentium; subito essi affermarono che la c. p., lungi dall'essere un semplice espediente tattico o propagandistico, rappresenta invece un elemento strutturale della politica estera sovietica. Questa prima teorizzazione della c. (1952-55) si riallaccia concretamente sia alla polemica contro il riarmo della Rep. Fed. di Germania e la Comunità europea di difesa, sia alla nuova politica dell'URSS in direzione del Terzo Mondo (che allora s'imponeva all'attenzione mondiale con il trattato cino-indiano e la conferenza di Bandung).
Una fase successiva nello sviluppo della dottrina della c. è segnata dal XX congresso del PCUS, dove essa compare in connessione con altri elementi: possibilità di evitare la guerra, transizione pacifica al socialismo, varietà delle forme di sviluppo del socialismo, valutazione positiva delle posizioni neutralistiche (fu allora riconosciuta l'esistenza di una vasta "zona della pace", comprendente paesi europei e asiatici). Negli anni successivi, fino alla caduta di Chruščëv, la c. p. ebbe la sua formulazione definitiva. Nella prospettiva sovietica essa non esclude, anzi implica la lotta ideologica e l'appoggio ai movimenti di liberazione nazionale, essendo una forma della lotta di classe sull'arena mondiale. Come principio di diritto internazionale, la c. è valida esclusivamente nelle relazioni Est-Ovest: infatti le relazioni entro la comunità socialista sono fondate, invece, sull'internazionalismo proletario, che si realizza nel reciproco aiuto fraterno, nell'amicizia indissolubile, nel comune indirizzo della politica estera, negli sforzi coordinati per la costruzione socialista e, infine, nel riconosciuto ruolo dirigente dei partiti comunisti. Quanto ai rapporti con i paesi che si sono liberati dal colonialismo e hanno scelto una via non-capitalistica di sviluppo, l'aspetto della collaborazione passa in primo piano su quello della lotta di classe, e pertanto non si può parlare di c. pacifica. Questa dottrina, definita nelle due conferenze internazionali di Mosca del 1957 e del 1960 (v. comunismo, in questa App.) e accolta nel nuovo programma del PCUS, è stata respinta da parte cinese, in quanto sposta la lotta rivoluzionaria sul piano della competizione economica e riduce il contrasto fondamentale dell'epoca contemporanea al confronto tra i due sistemi, socialista e capitalista; ma ha largamente ispirato i "Principi dei rapporti pacifici fra stati secondo la carta dell'ONU", approvati nel 1961 alla XVI seduta delle Nazioni Unite.
Nella letteratura sociologica e politica il concetto di c. ha acquistato spesso un contenuto più ampio e sostanzialmente diverso: sul principio degli anni Sessanta, W. W. Rostow, J. K. Galbraith e J. Tinbergen, insistendo sul processo di "desideologizzazione" in atto nelle società industriali, hanno accostato i termini c. e convergenza; altrettanto hanno fatto, nelle condizioni del socialismo cecoslovacco e del dissenso sovietico, R. Richta e A. Sacharov (1968). Ma gl'ideologi sovietici hanno negato qualsiasi tendenza verso l'identificazione dei sistemi sociali opposti, ponendo un limite preciso alla portata della rivoluzione tecnico-scientifica nel mondo contemporaneo.
Bibl.: Mirnoe sosuščestvovanie dvuch sistem - glavnaja osnova sovremennogo meždunarodnogo prava, in Sovetskoe gosudarstvo i pravo, 1952, n. 4, pp. 1-8; A. Leont′ev, O mirnom sosuščestvovanii dvuch sistem, in Kommunist, 1954, n. 13, pp. 43-58; G. P. Zadorožnyj, Meždunarodno-pravovye principy mirnogo sosuščestvovanija gosudarstv, in Sovetskoe gosudarstvo i pravo, 1955, n. 8, pp. 89-96; G. I. Tunkin, Mirnoe sosuščestvovanie i meždunarodnoe pravo, ibid., 1956, n. 7, pp. 3-13; id., XXI s′ezd KPSS i meždunarodnoe pravo, ibid., 1959, n. 6, pp. 40-9; V. M. Šuršalov, Osnovnye principy otnošenij obščenarodnogo socialističeskogo gosudarstva s drugimi stranami, ibid., 1963, n. 3, pp. 27-36; G. Chromušin, Antisovetskaja suščnost′ teorii "rastuscego schodstva", in Kommunist, 1965, n. 11, pp. 99-107; V. S. Semënov, Dviženie čelovečestva k kommunizmu i buržuaznaja koncepcija "edinogo industrial′nogo obščestva", in Voprosy filosofii, 1965, n. 5, pp. 35-47; M. S. Voslenskij, Friedliche Koexistenz aus sowjetiscer Sicht, in Osteuropa, XXIII (1973), pp. 848-55; id., Klassenkampf - kalter Krieg - Kräfteverhältnis - Koexistenz, ibid., XXIV (1974), pp. 259-69. Per le critiche portate alla dottrina sovietica, v. F. Houtisse, La coexistence pacifique, Besançon 1953; G. A. Wetter, Die sowjetische Konzeption der Koexistenz, Bonn 1959; R. V. Allen, Pace o coesistenza pacifica?, Milano 1962; F. Griffiths, Origins of peaceful coexistence, in Survey, 1964, n. 50, pp. 195-201; B. Dutoit, Coexistence et droit international à la lumière de la doctrine soviétique, Parigi 1966; U. Schmiederer, La teoria sovietica della coesistenza pacifica, Bari 1969; K. Mehnert, Friedliche Koexistenz - eine deutsche Meinung, in Osteuropa, XXIV (1974), pp. 270-74.