CODURI, Giuseppe, detto Vignoli
Nacque a Como nel 1720. Fu pittore quadraturista. "È quasi inutile di nominare le sue opere, che trovansi ne' nostri contorni, giacché tanta è la finitezza, con cui le lecca, che da ognuno al primo colpo d'occhio si possono distinguere: la pazienza in lui è eguale al valore, né è un Luca fapresto, come si disse del Giordani; egli in vece, e tocca e ritocca, e s'avanza, e ritirasi, e si pente, e rallegrasi: pinge con molto tempo, ma pinge altresì per molto tempo" (Giovio, 1784, p. 65).
Nulla sappiamo della sua formazione: lo incontriamo per la prima volta nel 1761, ormai quarantenne, quando decora il salone del palazzo Malacrida a Morbegno (opera firmata e datata) in collaborazione con C. Ligari che esegue sulla volta un affresco con il Trionfo della Verità nelle arti e nelle scienze sopra l'Ignoranza. Sempre del C. è la decorazione della stanza adiacente con al centro della volta le Tre Grazie di C. Ligari. Seguono altre due stanze (una "alcova" e un "gabinetto") con altre quadrature sulla volta e sulle pareti, meno complesse e con colori più delicati. Nel palazzo ha decorato anche un "altro appartamento verso la corte dei polli", in parte trasformato nel corso degli anni, descritto con diligenza da A. Malacrida nel 1816: "La stanza da letto è tappezzata di damasco giallo, di regolare architettura è la volta pinta finitissimamente dal Coduri. Dipinse pure il Coduri ambi gli attigui gabinetti, la stanzetta vicina e la cappella. Elegantissimo è quello della toeletta dipinto con tappezzeria bianco-cerulea, ed i quattro ovali nella volta col cupolino sono di squisita finitura. Anche la cappella è pinta con molto amore, le pareti sono dipinte a tappezzeria di drappo giallo a fiorami". Inoltre, sempre nel palazzo "ritornando dal giardino nel corridoio vedesi rimpetto una vaga prospettiva dipinta dal Vignoli Coduri" (Morbegno, pal. Malacrida, oggi Peloni: A. Malacrida, Memorie... della fam. Malacrida..., ms., 1816, p. 118).
Il gusto del C. si dimostra nelle quadrature di Morbegno ormai pienamente formato e si inserisce a pieno titolo nel cosiddetto "barocchetto lombardo" (Bossaglia, 1960), sulla linea del Castellino, del Longone e del Galliari. Da una parte imposta in modo rigoroso le prospettive delle pareti e delle volte, sfondate secondo la lezione pienamente assimilata dei prospettici e degli scenografi di formazione bolognese; dall'altra arricchisce questi schemi spaziali di riccioli, volute, mensole, fiori, frutta e di una infinità di particolari decorativi derivati ad evidenza dalla lezione del grande e misconosciuto quadraturista Giovanni Antonio Torricelli. Non è un caso che siano attribuite tradizionalmente al C. le quadrature che il Torricelli eseguì nell'oratorio di S. Gerolamo e nel palazzo Peregalli di Delebio e nel salone di palazzo Sertoli a Sondrio. Qui ci troviamo di fronte come nella decorazione documentata del 1756 nel presbiterio della chiesa di S. Alessandro a Traona, agli esempi forse più rilevanti del rococò lombardo, dove anche l'architettura e la prospettiva non sono altro che un supporto per lo sviluppo di una sfrenata fantasia decorativa. Il C., per quanto risenta moltissimo dei modi del Torricelli, non abbandona mai lo schema prospettico e costruttivo dell'opera, dimostrandosi sempre un "architetto", più che un decoratore. Unica eccezione è rappresentata dal colore (rosa, viola, verdino, giallo, celeste, ecc.) che usa senza tener conto della struttura architettonica che lo sostiene. Il caso più esplicito è rappresentato dai balconi in stucco del salone di palazzo Malacrida, dipinti a colori vivacissimi che contraddicono la solidità reale degli elementi architettonici.
Nel 1762 il C. è consultato da C. Ligari per gli affreschi del presbiterio della chiesa di S. Fedele a Mello: ma le cose andarono male per il pittore di Sondrio che venne scavalcato da C. I. Carloni. Le quadrature del C., eseguite nel 1763, sviluppano in modo coerente i modelli di palazzo Malacrida. Il punto più alto della decorazione è rappresentato dalla volta a botte del coro dove intorno ad una Gloria di angeli sono dipinte delle grandi conchiglie in madreperla traslucide. Ma anche qui, a parte alcuni splendidi particolari di fiori e di frutta, prevale lo schema architettonico prospettico.
L'opera più riuscita del C., anche per la perfetta fusione con le pitture di C. Ligari in uno dei suoi momenti migliori, è rappresentata dalla volta della navata della chiesa di S. Carlo a Chiuro, opera firmata e datata 1767.
La decorazione divisa in tre campate, ognuna con un medaglione centrale, prosegue sulle pareti laterali dove ai lati delle finestre sono due puttini seduti su mensole. La leggerezza del disegno architettonico d'insieme si lega perfettamente con la profusione degli elementi decorativi e con la ricca vivacità dei colori.
Nell'ottavo decennio del secolo decorò l'abside di destra della chiesa della Madonna di Campagna a Ponte in Valtellina.
L'unica altra opera sicura del C. sono gli affreschi del salone di palazzo Giovio a Como, firmati e datati 1776 (la volta del salone è crollata nel 1957 ed è stata ricostruita a monocromo dal pittore E. Conconi nel 1959). Qui siamo decisamente lontani dal gusto rococò delle opere precedenti; e già sono evidenti tendenze classiciste, che aprono al neoclassico non tanto nell'uso delle tipologie architettoniche quanto nel rigore del sistema costruttivo e prospettico generale. Nel secondo piano del palazzo sono venute recentemente alla luce due sale con paesaggi e prospettive che possono essere assegnate al C. nei suoi anni tardi; mentre è ancora in parte da scoprire la decorazione di una galleria "dove il Ronchelli dipinse i busti, e le statue degli uomini celebri, ... Colorita dal Vignoli ... con dilicato legamento d'ornati) di dentelli, di triglifi, di mensole" (Giovio, 1784, p. 65). Con quest'opera tutta monocroma e di un rigoroso classicismo si chiude l'attività nota del C. che morì a Como il 6 marzo 1802, lasciando il figlio Giambattista, anch'egli pittore di ornato (Rovelli, 1803).
Non sono sicuramente del C. le quadrature del presbiterio della chiesa di S. Maurizio a Ponte, che gli vengono tradizionalmente attribuite, opera invece del pittore Giuseppe Porro milanese, autore tra l'altro delle quadrature documentate del santuario dell'Assunta a Morbegno; né le decorazioni attribuitegli dalla Bossaglia di una sala in palazzo Mezzabarba a Pavia (1960, p. 395, fig. 26) e del salone di palazzo Salis a Tirano (1977).
Fonti e Bibl.: Ponte, Arch. parr.; Sondrio, Museo valtell. di st. ed arte, Mss. ligariani: lettere di C. Ligari a P. Solaris del 31 dic. 1760; lettere di G. P. Malacrida a C. Ligari del 1º e 22 marzo 1761; lettera di C. Ligari a G. P. Malacrida del 4 marzo 1761; lettere di C. Ligari al C. del 13 gennaio e 28 apr. 1762; lettera di C. Ligari a D. Ligari curato di Cercino, del 23 giugno 1763; G. B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi,e moderni nelle arti,e nelle lettere ill., Modena 1784, pp. 65 s.; G. Rovelli, Storia di Como, III, 3, Como 1803, p. 177; S. Monti, Storia ed arte nellaprovincia ed antica diocesi di Como, Como 1902, p. 376; C. Bassi, Il pal. Peregalli e l'annessooratorio di S. Gerolamo in Delebio. Il pal. Malacrida in Morbegno. Insigni monumenti del'700 inValtellina, in Riv. archeol. dell'antica provinciae diocesi di Como, LXXXIII (1924), 86-87, pp. 82-87; P. [G. Pini], Pal. Malacrida, in Le Viedel Bene (Morbegno), I (1926), 4, pp. 5 s.; 5, p. 12; 7, pp. 7-8; 8, p. 10; 10, p. 7; 12, p. 10, E. Bassi, La Valtellina. Guida turist. illustrata, Monza 1927-28, pp. 44, 73, 163; C. Bassi, Ipittori Ligaridi Sondrio, in Riv. archeol. dell'antica provinciaediocesi di Como, XCIX (1930), 99-101, pp. 227-273 passim; G. B. Gianoli, Guida artist. della prov. di Sondrio, Sondrio 1953, pp. 24, 32, 44, 72, 96; R. Bossaglia, I Ligari nei rapporticoi pitt. del loro tempo, in Commentari, X (1959), pp. 229-235 ss.; Id., Rifless. sui quadraturisti delSettecento lombardo, in Critica d'arte, VII (1960), pp. 381, 391 ss., 395; P. Glaviano, Per un profilo diG. Parravicini,G. Pietro Romegialli e G. C., tesi di laurea, univers. degli studi di Pavia, fac. di lett. e fil., a. a. 1960-61; R. Bossaglia, I fratelli Galliari pittori, Milano 1962, pp. 32, 35, 103; F. Colombo, L'orat. di S. Gerolamo a Delebio, in Valtellina e Val Chiavenna. Rass. econ. della prov. di Sondrio, 1968, n. I, pp. 25-32; L. Rovelli, Storia di Como, III, Milano 1963, p. 207; G. C. Bascapè-C. Perogalli, Palazzi privati di Lombardia, Milano 1964, pp. 264, 268 s., 269 s.; A. Barigozzi Brini-K. Garas, C. I. Carloni, Milano 1967, pp. 111, 117 n. 53, 126; L. Meli Bassi, Vicende degli affreschi di C. Ligari nel pal. Malacrida di Morbegno, in Boll. della Società storica valtellinese, XIX (1971), 24, pp. 65-69; Id., I Ligari,una famiglia di artisti valtellinesi del Settecento, Sondrio 1974, pp. 14, 91, 98, 104, 166 nota 2, 196, 204 s.; R. Bossaglia, La pittura del Settecento a Milano: protagon. e comprimari, in Studi di storia delle arti (Genova), I (1977), p. 144; L. Meli Bassi, Convergenze e divergenze tra il Carioni e i Ligari, in Arte lombarda, n. s., 1978, n. 49, pp. 76-79; Guida turistica della prov. di Sondrio, a cura di M. Gianasso, Lecco 1979, pp. 3, 24, 35, 108, 160 s., 166.