Vedi CODICE dell'anno: 1959 - 1994
CODICE (v. vol. II, p. 734)
Nel considerare il problema della «nascita del codice», si è rivolta l'attenzione soprattutto all'epoca compresa tra il II e il IV sec. d.C., nel corso della quale questa forma libraria prese man mano il sopravvento sul rotulo, divenendo - pur nella diversità di materiali, di tecniche e di sistemi di produzione - il tipo di libro comune. In studi recenti, tuttavia, si è cominciato a porre l'accento anche sulle origini più lontane del c., testimoniate meno dalla conservazione diretta di reperti e più da fonti letterarie e iconografiche.
Tavolette di legno legate in forma di c. - nella specie di quaderno o di soffietto, composti da un numero variabile di elementi - risultano documentate fin da epoca assai antica nell'Egitto faraonico, accanto al rotulo di papiro, e nel Vicino Oriente (se ne conservano a partire almeno dal sec. VIII a.C.). Esse sono altresì indirettamente attestate già nella Grecia arcaica e classica, e a età ellenistica sono stati riferiti i più antichi reperti in lingua greca superstiti. Nel mondo greco, tuttavia, l'uso di questo tipo di supporto rimase limitato a documenti d'archivio o a pratiche dello scrivere quotidiane o provvisorie; assai presto, infatti, venne a prevalere come materia scrittoria il papiro, importato dall'Egitto, il quale risulta correntemente adoperato sia sotto forma di rotulo, come libro, sia in varie guise nella prassi documentale.
Fu a Roma e nel mondo romano, invece, che tavolette rilegate in forma di c. ebbero una diffusione e una modalità di impiego altrimenti larga e articolata, a partire almeno dall'inizio dell'età imperiale, a quanto risulta da reperti di conservazione archeologica, ma fonti diverse già ne attestano l'uso in epoca precedente. Queste tavolette si presentano: dealbatae, imbiancate, e coperte di scrittura; nella specie di tavolette ceratae, cioè con le superfici intagliate all'interno e riempite di cera, su cui si scriveva con uno strumento metallico appuntito, lo stilo, e perciò a sgraffio; nel tipo di semplici tavolette, piuttosto sottili e non ceratae, e in questo caso la scrittura vi veniva eseguita con una cannuccia opportunamente temperata, il calamo, o con penna metallica, comunque a inchiostro.
Il modo più comune di comporre insieme queste tavolette era quello del dittico; ma se ne potevano riunire anche più di due formando trittici o polittici - detti tabellae, pugillaria, codicilli - che, legati con fili, si voltavano come le pagine di un block-notes o come quelle di un vero e proprio libro, presentandosi l'insieme in forma di codice. Tavolette riunite in polittici di quest'ultimo tipo sono state ritrovate a Ercolano, e risalgono quindi a una data anteriore al 79 d.C.: esse si dimostrano accuratamente lavorate, scritte lungo il lato corto di ciascuna tabella, legate da specie di cerniere costituite da coppie di fili e con tavolette esterne fungenti da legatura, sì da risultare autentici c. lignei di struttura assai simile a quello che sarà più tardi il c. di pergamena (o di papiro). A quanto indica l'accurata rifinitura, prodotti del genere dovevano essere destinati - piuttosto che a scritture quotidiane e provvisorie - a «testi letterari e giuridici di particolare importanza» (G. Pugliese Carratelli). Se di legno assai sottile, queste tabellae, a quanto mostrano reperti documentari da Vindolanda in Britannia, potevano essere piegate e riunite «a soffietto», in una tipologia testimoniata nel Vicino Oriente, e quale si è potuta ricostruire anche per i libri lintei etruschi, come il superstite liber linteus di Zagabria, e di conseguenza per quelli indirettamente testimoniati nel mondo romano. In questa tipologia di manufatto «a soffietto», le «pagine» si sfogliavano a due a due.
Si deve ritenere, dunque, che il c. fu la forma primitiva di libro romano, adoperato in età arcaica per i testi della prima prosa latina (annales pontificum, commentarli di magistrati, opere giuridiche e letterarie, come quelle, p.es., di Catone). Fu soltanto dal III-II sec. a.C. che il rotulo di papiro, già da tempo diffuso nel mondo greco, cominciò a entrare in uso anche nel mondo romano, sostituendosi nella prassi libraria al c. in tempi piuttosto rapidi. Il fenomeno rientra nel più generale processo di «ellenizzazione» della cultura romana imposto dalla classe dirigente a partire dagli Scipioni e che si interrompe, in pratica, con il II-III sec. d.C., quando - con la scomparsa dei vecchi ceti gentilizi di cultura «ellenizzante» e con l'avvento dei Severi - riemergono tipologie della cultura di antica tradizione romana e più latamente italica. Nel periodo in cui il rotulo fu il supporto librario normale, il c. tuttavia non scomparve, ma continuò a essere adoperato - come già nel mondo greco, ma con usi assai più larghi - per pratiche di scrittura prowisorie, occasionali, quotidiane, o anche nella prassi documentaria pubblica e privata, o per prodotti scritti di indole particolare.
È comunque dalle tipologie di c. primitivo o subalterno, fatto soprattutto di tavolette, che si deve credere derivata la forma evoluta di c., quella di pergamena o di papiro, sempre più largamente testimoniata a partire dal I-II sec. d.C. e che alla fine del IV avrà ormai preso definitivamente il posto del rotulo nella produzione del libro. Tutto lascia credere che furono i Romani a sostituire, nella manifattura del c., alle tavolette di legno foglietti ripiegati di pergamena; ma una volta diffusasi questa forma per tutti gli usi librari, il c. fu prodotto anche nella materia scrittoria propria del rotulo, il papiro, soprattutto in Egitto, area di produzione ed esportazione della charta papiracea, e nelle aree circostanti. L'antica tipologia del c. di tavolette continuò comunque a vivere ancora a lungo nella prassi quotidiana (taccuini, brogliacci, quaderni di scuola).
Nella definitiva affermazione del c. rispetto al rotulo vennero a interagire fattori diversi: ideologici, giacché si trattava di una tipologia libraria in contrasto con quella della cultura retorica, e che perciò, non a caso, venne adottata e diffusa dai cristiani; economici, in quanto la pergamena non era di importazione come il papiro, e inoltre, a parità quantitativa di testo, si risparmiava materia scrittoria, venendo il c. scritto su ambedue le facciate di questa; pratici, giacché la forma si dimostrava più atta alla lettura e alla consultazione, nonché a comprendere il contenuto di più rotuli. La letteratura più antica, classica e giuridica, che aveva trovato nel rotulo la sua sede di pubblicazione, diffusione, conservazione, fu trasferita su c. (è il processo che si suole comunemente indicare come «passaggio dal rotulo al c.»), mentre opere composte a partire dallo scorcio del sec. IV d.C. ebbero già nel c. il loro primo supporto librario.
Sotto il più specifico aspetto tecnico, dal momento in cui se ne stabilizza la strutturazione - sempre a partire dal sec. IV c.a - il c. risulta composto da un certo numero di fascicoli, variabile secondo l'estensione del contenuto, segnati in ordine di successione (in genere sul primo foglio nel mondo greco, sull'ultimo nel mondo latino) e legati sulla piegatura di costola; ciascun fascicolo si presenta a sua volta costituito da fogli piegati (ottenuti, nel caso di papiro, da rotoli già fabbricati per uso commerciale, nel caso di pergamena da pelli soprattutto ovine e bovine conciate in modi specifici, ripiegandole e/o tagliandole nella misura desiderata), riuniti in numero normalmente di quattro; ma nel c. di papiro è stata osservata una larga varietà di tecniche di manifattura sotto l'aspetto sia della fascicolazione sia del formato (E.G. Turner). A libro aperto, il c. di pergamena presenta lato carne di fronte a lato carne, e lato pelo di fronte a lato pelo (c.d. legge di Gregory): una strutturazione correlata al sistema di piegatura della pelle prima del taglio o anche a una mirata sovrapposizione di singoli fogli. Nella trascrizione del c. di papiro o di pergamena, venne adoperata sempre più la penna d'oca come strumento scrittorio, la quale finì man mano col sostituirsi al calamo e alla penna metallica nella tecnica di scrittura a inchiostro.
Dall'antichità la forma libraria del c. passò al Medioevo, nel corso del quale alla pergamena venne ad affiancarsi la carta, orientale e occidentale, come materia scrittoria; e quindi, a partire dall'epoca della stampa, dette origine al libro moderno.
Bibl.: G. Pugliese Carratelli, L'instrumentum scriptorium nei monumenti pompeiani ed ercolanesi, in Pompeiana. Raccolta di studi per il secondo centenario degli scavi di Pompei, Napoli 1950, pp. 266-278; E. G. Turner, The Tipology of the Early Codex, Filadelfia 1977; A. K. Bowman, J. D. Thomas, Vindolanda: the Latin Writing-Tablets, Londra 1983; C. H. Roberts, T. C. Skeat, The Birth of the Codex, Oxford 1983; A. Blanchard (ed.), Les debuts du codex, Turnhout 1989; G. Cavallo, Libro e cultura scritta, in Storia di Roma, IV, Caratteri e morfologie, Torino 1989, pp. 693-734; id., Testo, libro, lettura, in G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina (ed.), Lo spazio letterario di Roma antica, II, La circolazione del testo, Roma 1989, pp. 307-341; W. V. Harris, Why did the Codex Supplant the Book-Roll?, in J. Monfasani, R. G. Musto (ed.), Renaissance Society and Culture. Essays in Honor of E. F. Rice, New York 1991, pp. 71-85.