COCA (lat. sc. Erythroxylon coca Lam., fr. cocalier du Perou; ted. Cocapflanze; ingl. coca)
Pianta della famiglia Eritroxilacee; è un arbusto o un alberetto alto 2-3 m., con rami eretti, foglie alterne brevemente picciolate con piccole stipole, spesso indurite e spinose; i fiori sono bianchi, riuniti in cime ascellari, regolari ed ermafroditi; il frutto è una piccola drupa oblunga, di color rosso vivace a maturità, accompagnata dal calice persistente. Questa pianta è originaria dell'America Meridionale e particolarmente della regione andina del Perù, della Bolivia, della Colombia ove vive fra i 700 ed i 2000 m. d'altezza e dove viene coltivata. Si coltiva anche nelle Indie e a Giava. Se ne distinguono secondo il Burk quattro varietà: genuina truxillo del Perù; novogranatense della Colombia, coltivata nelle Indie; boliviana della Bolivia, coltivata anche a Giava; spruceana coltimta esclusivamente a Giava. Secondo il Baillon questa specie oggi non si riscontrerebbe più allo stato spontaneo, ma solo coltivata o inselvatichita.
L'uso della coca nel Perù è antichissimo, tanto che ne sono state trovate foglie in tombe del sec. XIII: gl'indigeni usavano e usano masticare queste foglie con un po' di cenere (v. appresso). La prima descrizione della droga ci fu data da Nicolò Monardes: essa fu introdotta in Europa dagli Spagnoli. Le foglie di coca si raccolgono 3-4 volte all'anno, avendo cura di non romperle, e si lasciano seccare al sole: la produzione americana ammonta a 10-12.000 tonn. all'anno, ma molta coca proviene pure dall'Asia.
Le foglie di coca sono brevemente picciolate, ovali, leggermente mucronate, lunghe 3-5 cm., larghe 2-3 cm. e presentano spesso due linee longitudinali ai lati della nervatura mediana, simulanti due false nervature. Contengono l'alcaloide cocaina (v.). La nostra farmacopea (1929) registra le foglie e la tintura di coca.
Le foglie disseccate della coca formano uno dei narcotici più diffusi tra gl'indigeni in tutto il versante orientale delle Ande (Colombia, Ecuador, Perù e Bolivia) e in alcuni territorî adiacenti (Río Vaupés). Le foglie secche o polverizzate vengono mescolate con una piccola quantità di materia alcalina formata di calce o cenere di diverse piante o di ossa. Questi boli (acullico) sono tenuti continuamente in bocca e masticati lentamente, in modo da spremerne i principî attivi dissolvendoli nella saliva, che lentamente si deglutisce, mentre alla fine, dopo molto tempo, si sputa il residuo fibroso dello scheletro delle foglie. La loro azione è molteplice, dovuta ai diversi alcaloidi contenuti nelle foglie (specialmente cocaina), che agiscono sulle terminazioni nervose sensitive ottundendone la sensibilità, e sui centri nervosi, specialmente sensitivi e sensoriali, eccitandoli. Ciò spiega il senso illusorio di benessere, da un lato, e la maggiore resistenza al lavoro e al digiuno, dall'altro, che provano i masticatori di coca. Questi effetti non sono stati ottenuti in Europa forse perché non sono evidenti che per condizioni molto penose di fatica, di fame e di sete. L'abuso conduce a gravi disturbi psichici e nervosi.
Gli oggetti richiesti dalla masticazione della coca fan parte della suppellettile archeologica dei popoli andini. Si conoscono vasi e statuette che raffigurano i Quechua o i Chibcha recanti in mano il fiaschettino contenente la dose di coca già preparata e la cannuccia usata per succhiarla o portarla alla bocca. I recipienti per la dose e la bisaccia per il deposito delle foglie secche sono stati pure rinvenuti nelle tombe. La civiltà europea non è valsa, se non in qualche luogo (Ecuador), a distogliere gl'indigeni dall'uso di questo narcotico.