COAGULAZIONE (X, p. 648; App. II, 1, p. 631)
Le ricerche condotte negli ultimi dieci anni hanno portato un notevole contributo alla conoscenza dei meccanismi della c. del sangue. Pur essendo probabile che ulteriori studî possano modificare le nostre attuali cognizioni, alcuni fatti fondamentali sono ben accertati e costituiscono acquisizioni indiscusse e di notevole importanza non solo dal punto di vista fisiologico, ma anche per i loro riflessi in campo patologico e clinico.
Il fenomeno più evidente della c. è la formazione di filamenti di fibrina che formano una fitta rete in cui restano impigliati gli elementi figurati del sangue (coagulo). Tuttavia, la formazione della fibrina è solo il punto finale di una lunga catena di reazioni chimiche e fisiche che può essere distinta in tre fasi: 1. tromboplastinoformazione: questa fase si può suddividere a sua volta in tre stadî: a) formazione del terzo fattore tromboplastico; b) formazione del prodotto intermediario (tromboplastina incompleta o inattiva); c) formazione della tromboplastina attiva (tromboplastina endogena, protrombinasi), per interazione del prodotto intermediario con gli acceleratori della conversione protrombinica; 2. conversione della protrombina a trombina svolta ad opera della tromboplastina; 3. trasformazione del fibrinogeno in fibrina svolta ad opera della trombina.
È noto che prelevando del sangue in un recipiente a pareti cosiddette "non bagnabili" (ricoperte cioè di paraffina, silicone, ecc.) ed evitando qualunque contaminazione con i succhi tissulari, esso resta a lungo fluido; al contrario, raccolto in un recipiente di vetro, esso coagula rapidamente. Accurate ricerche hanno consentito di stabilire che il sangue, a contatto con pareti bagnabili, è capace di formare una tromboplastina endogena risultante dalla interazione di numerosi fattori plasmatici, degli ioni calcio e di almeno un fattore di origine piastrinica.
I fattori plasmatici o fattori protromboplastici sono di natura proteica, e la loro mancanza o un loro deficit è responsabile delle diverse forme cliniche di emofilia. Quelli la cui esistenza è ammessa dalla maggioranza dei ricercatori sono quattro: la globulina antiemofilica (fattore antiemofilico A, AHG, AHF, fattore VIII), la cui carenza è responsabile dell'emofilia classica; il fattore Christmas (fattore PTC, ["Plasma Thromboplastin Component"], fattore antiemofilico B, fattore IX), la cui carenza è responsabile dell'emofilia B o malattia di Christmas; il fattore PTA ("Plasma Thromboplastin Antecedent"), la cui carenza è responsabile dell'emofilia C o malattia di Rosenthal; e il fattore Hageman, la cui carenza è responsabile della malattia di Ratnoff.
Il fattore piastrinico che interviene nella formazione della tromboplastina (fattore III) è di natura lipidica, e si trova nelle piastrine sotto forma di granuli che sedimentano mediante centrifugazione ad alta velocità. Secondo recenti ricerche questo fattore è costituito da una miscela di fosfolipidi, e in particolare da cefaline (fosfatidiletanolammina, fosfatidilserina e fosfatidi contenenti inositolo) e da lecitine.
Le reazioni tra i fattori plasmatici, il fattore lipidico piastrinico e il calcio ionizzato avverrebbero secondo il seguente schema: il fattore Hageman viene attivato dal contatto con il vetro o con altre superfici bagnabili; una volta attivato, esso reagisce con il fattore PTA e con il calcio per formare il terzo fattore tromboplastico; questo a sua volta reagisce con la globulina antiemofilica, il fattore Christmas, il fattore fosfolipidico liberato dalla disgregazione delle piastrine e il calcio ionizzato per formare il cosiddetto prodotto intermediario, di natura lipoproteica. Il prodotto intermediario è una tromboplastina incompleta o inattiva, simile ma non identica alla tromboplastina tessutale. La principale differenza consiste nel fatto che la tromboplastina tessutale o esogena necessita, per la sua attivazione, della proconvertina (o fattore VII, fattore stabile, SPCA, ["Serum Prothrombin Conversion Accelerator"]), che non è necessaria per l'attivazione della tromboplastina endogena. Il prodotto intermediario reagisce quindi con altri due fattori presenti nel plasma, il fattore Stuart-Prower e la proaccelerina (fattore V, fattore labile, AcGlobulin) per dar luogo a una sostanza di probabile natura enzimatica chiamata tromboplastina endogena o protrombinasi.
La formazione della tromboplastina è il punto centrale del meccanismo della coagulazione. Questa sostanza è capace di convertire, probabilmente con meccanismo idrolitico, la protrombina, altra proteina plasmatica, a trombina. La protrombina (o fattore II) è una α2-globulina presente nel plasma, del peso molecolare di circa 62.000. Per azione della tromboplastina questa sostanza, di per sé inattiva, si trasforma in trombina. Si ritiene che questa trasformazione consista nella scissione della protrombina, la cui molecola avrebbe la stessa composizione e struttura chimica della trombina, ma un peso molecolare molto maggiore di quello che ha la trombina. La trombina a sua volta, con meccanismo proteolitico, opera la conversione fibrinogeno, proteina normalmente presente nel plasma, a fibrina.
Questa trasformazione avviene in due tempi. Nel primo la molecola del fibrinogeno viene scissa in varî monomeri di fibrina e in un residuo acido-solubile chiamato fibrino-polipeptide, grazie alla proprietà della trombina di scindere i legami arginina-glicina. In un secondo tempo i varî monomeri di fibrina vengono polimerizzati in presenza di ioni calcio e di un fattore stabilizzante. La polimerizzazione dei monomeri di fibrina non richiede l'azione della trombina, ma dipende solo da condizioni chimico-fisiche (pH e concentrazione degli elettroliti).
Una volta formatisi, i filamenti di fibrina si retraggono, e dal coagulo si separa un liquido color giallo paglierino detto siero.
Nonostante esista un buon accordo sui fatti sopra esposti, molte questioni di dettaglio costituiscono ancora oggetto di controversie e di intense ricerche.
La teoria esposta non prende in considerazione le reazioni autocatalitiche, gli inibitori della coagulazione e i meccanismi fibrinolitici.
I meccanismi autocatalitici, per i quali la trombina catalizza la sua propria formazione e accelera la formazione della tromboplastina per attivazione dei suoi precursori, sono ancora oscuri. Secondo A. J. Quick la trombina formata accelera la distruzione delle piastrine, con conseguente liberazione del loro fattore tromboplastico, trasforma la proaccelerina in accelerina e attiva la globulina antiemofilica da un precursore. Secondo la scuola di Oxford sarebbe invece il primo prodotto intermediario che provocherebbe la distruzione e la metamorfosi viscosa delle piastrine, accelerando così la formazione della tromboplastina con sempre maggiore velocità.
Le reazioni autocatalitiche rappresentano un pericolo potenziale per l'organismo perché, se non interrotte, potrebbero condurre fatalmente alla coagulazione intravasale totale. Esistono tuttavia numerosi meccanismi che limitano l'intensità e la velocità dei processi autocatalitici, gli anticoagulanti naturali. Alcuni di questi sono completamente aspecifici, come l'adsorbimento dei fattori della coagulazione da parte delle proteine plasmatiche. Un altro inibitore è lo stesso coagulo, in quanto capace di adsorbire notevoli quantità di trombina. Esistono poi uno o più inibitori per ogni fattore della coagulazione, mentre altri regolano la velocità di ciascuna delle reazioni che conducono alla polimerizzazione del fibrinogeno. Tra questi il meglio studiato è l'antitrombina, che trasforma la trombina a metatrombina. Infine l'eparina rappresenta un inibitore multifascio della coagulazione in quanto è capace di inibire la tromboplastinoformazione e la trombinoformazione. È probabile che l'eparina svolga una azione fisiologica poiché è presente in tracce nel plasma circolante.
Un altro meccanismo di inibizione della coagulazione è rappresentato dai fenomeni fibrinolitici e proteolitici. È noto che la fibrinolisi ha, tra gli altri effetti, quello della liberazione di un polipeptide che agisce con azione eparino-simile. Tuttavia questo meccanismo di inibizione rivestirebbe una certa importanza solo in condizioni patologiche.
Fibrinolisi. - Nel plasma esiste un sistema specifico, inattivo negli individui normali, capace di distruggere il fibrinogeno circolante e il coagulo di fibrina. Questo sistema è formato da un precursore, la profibrinolisina o plasminogeno, che è convertito a fibrinolisina o plasmina da un sistema attivante. Il sistema attivante consiste di un proattivatore plasmatico che viene convertito ad attivatore da parte di chinasi, batteriche o tessutali (presenti in numerosi tessuti e in molte secrezioni come la saliva, l'urina, il latte). Esistono inoltre due inibitori, uno contro il proattivatore (antichinasi) e uno contro la fibrinolisina (antifibrinolisina).
La natura dell'attivatore è molto importante nel determinismo dell'azione dell'enzima; la fibrinolisina attivata dalle chinasi batteriche distrugge indiscriminatamente non solo il fibrinogeno e la fibrina, ma anche altri fattori della coagulazione, e in particolare la globulina antiemofilica, il fattore Christmas e la proaccelerina. La fibrinolisina attivata dalle chinasi tessutali è specifica, e distrugge esclusivamente il fibrinogeno e la fibrina.
Fino ad alcuni anni fa si riteneva che il sangue coagulasse solo al di fuori dell'organismo o, nel letto circolatorio, soltanto in condizioni patologiche (trombosi). Attualmente si pensa che in condizioni normali esista un lento processo di coagulazione intravasale, che in condizioni patologiche potrebbe essere rallentato o accelerato. Per quanto basata su una buona evidenza sperimentale, questa teoria non è accettata da tutti gli studiosi di questo argomento; essa ha però il grande merito di sottolineare l'aspetto dinamico del processo della coagulazione. Come si è visto, questo complesso meccanismo omeostatico è basato su un delicato equilibrio regolato da forze opposte. Esso tuttavia è ben tamponato, in quanto solo considerevoli alterazioni rompono l'equilibrio, causando emorragie o coagulazione intravasale.
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