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CLORO

di Patrizio Gallone - Enciclopedia Italiana - V Appendice (1991)
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CLORO

Patrizio Gallone

(X, p. 624; App. II, I, p. 631)

La prova fornita da H. Davy (1810) che il c. non è un composto, bensì un elemento, segnò una data cruciale nella storia della chimica. Essa chiuse decenni di controversie sulla natura di questa sostanza, isolata da C.W. Scheele (1774) e già classificata da A.L. Lavoisier fra gli acidi ossigenati. Dal riconoscimento della sua natura di corpo semplice ebbe origine la rapida scoperta degli altri elementi nel gruppo degli alogeni e la rifondazione di concetti rimasti basilari per la scienza moderna.

I classici metodi chimici di produzione del c. per ossidazione del cloruro d'idrogeno vennero prontamente sostituiti, con l'invenzione della dinamo, dall'elettrolisi del cloruro di sodio (NaCl) in soluzione acquosa (1890). E fu con tale processo che la produzione di c. fu determinante, nel 20° secolo, per lo sviluppo dell'era industriale e la sua crescente domanda di cloroderivati organici, quali i solventi clorurati e le materie plastiche cloroviniliche, che hanno assunto tanta parte nel formare la gran copia di manufatti divenuti pressoché indispensabili nella società moderna. A ciò si aggiunga la crescita esponenziale della petrolchimica e della sua domanda di c. per i suoi prodotti di base, come l'ossido di etilene. Il concorso di tali motivi fece più che decuplicare la produzione di c. nei paesi industriali durante il ventennio successivo alla seconda guerra mondiale.

Il c. viene ottenuto con vari metodi elettrolitici (v. elettrolisi, App. IV, i, p. 669) in soluzione acquosa: da NaCl, in celle con separatore poroso, oppure, di recente, ionoselettivo; da NaCl in celle con catodo di mercurio (processo ad amalgama); da HCl in celle con separatore poroso o ionoselettivo. Inoltre si ottiene c. in minima parte per elettrolisi di soluzioni acquose di KCl e in sali fusi di NaCl o MgCl2, come sottoprodotto della potassa caustica nel primo caso e dei metalli sodio e magnesio negli altri due.

Numerosi processi elettrolitici richiedono l'inserzione fra l'anodo e il catodo di un separatore (diaframma) atto a impedire il miscelamento del prodotto anodico con quello catodico, pur consentendo la continuità della corrente ionica nell'elettrolita. Ma, nell'elettrolisi di NaCl, ciò implica la possibilità di migrazione verso l'anodo degli anioni OH− prodotti al catodo, qualora non si provveda a contrastarla alimentando la soluzione nella zona anodica e imponendole il passaggio, per trasporto convettivo, attraverso la porosità del diaframma, in senso opposto a quello di migrazione ionica, prima di giungere al catodo e quindi effluire dalla cella come miscela avente un limitato tenore di NaOH (11%) e una quantità residua di NaCl (16%), pari alla metà di quella alimentata.

Si elimina tale limitazione impiegando un catodo mobile di mercurio, su cui il sodio si scarica formando una corrente di amalgama, mantenuta in circolazione continua fra la cella e un reattore contenente una massa catalitica di grafite, dove l'amalgama vien fatto reagire con acqua, ottenendo una soluzione di NaOH 50% esente da cloruri. La maggiore spesa di energia elettrica relativa alla maggior tensione della cella a mercurio può essere compensata, nel bilancio complessivo dei costi, dall'eliminazione di quelli di evaporazione e concentrazione della soda richieste dalla cella a diaframma.

Entrambi questi processi hanno tenuto il campo per quasi un secolo. L'applicazione dei non semplici principi operativi scoperti dai primi inventori, e imposti dalle reazioni particolari che in tali processi si svolgono, si è perfezionata nel tempo, grazie ai progressi consentiti dall'impiego di nuovi materiali costruttivi e di metodi più avanzati di conduzione degli impianti, mediante una tecnologia maturatasi con l'esperienza e con l'approfondimento di certe cognizioni di base, di cui segue un riassunto.

Sia nella cella a diaframma sia in quella a mercurio il processo anodico di sviluppo del c. avviene in competizione con l'elettrolisi del mezzo acquoso e il conseguente sviluppo di ossigeno. Un materiale anodico atto a funzionare in tali condizioni deve rispondere a due requisiti: presentare una soddisfacente conduttività elettronica, e avere una durata accettabile, senza alterare le sue caratteristiche geometriche, sotto l'attacco combinato del c. e dell'ossigeno nascenti e perciò in condizioni di massima aggressività. A tal riguardo, il primo fattore decisivo di progresso fu l'invenzione (H.Y. Castner, E.G. Acheson, 1900) del processo elettrotermico di conversione del carbone coke in grafite: materiale, questo, ben più idoneo del carbone amorfo usato in precedenza. Ciò consentì il dimensionamento delle celle secondo le crescenti potenzialità produttive unitarie commisurate con le esigenze della domanda. Così, dai modelli costruttivi dell'inizio del 20° secolo, concepiti per carichi di corrente di poche migliaia di ampere ed erogazioni giornaliere di pochi quintali di prodotto, si sono raggiunte dimensioni unitarie fino a 500 kA.

Tale massimo fu reso possibile da un ulteriore progresso di portata storica: l'invenzione (Beer 1967) degli anodi di titanio rivestito di ossidi misti di titanio e rutenio, con proprietà altamente elettrocatalitiche e resistenti alla scarica del cloro. Essi consentirono di aumentare la capacità produttiva senza aumentare lo spazio degli impianti, pur riducendone il dispendio energetico.

Un ulteriore progresso tecnologico non meno radicale, e lungamente perseguito, è stato ottenuto solo di recente nel processo a diaframma, sostituendo il separatore poroso di amianto con una membrana sintetica avente proprietà ionoselettive tali da renderla permeabile alla sola specie cationica Na+, e quindi capace di reiezione degli ioni Cl− e OH− (v. fig.). Il primo di tali manufatti fu prodotto dalla Soc. du Pont de Nemours e denominato Nafion (1974). È costituito da un polimero a base di tetrafluoroetilene contenente gruppi solfonici −RSO− al termine di catene laterali, che conferiscono alla mem3

brana le sue caratteristiche ionomeriche. La soda caustica ottenuta come coprodotto del c., alla concentrazione del 30%, è quasi esente da cloruri. I miglioramenti risultanti nel consumo energetico sono mostrati, comparativamente con gli altri processi, nella tab. 1. L'ultima colonna indica l'ulteriore risparmio che si consegue depolarizzando lo sviluppo catodico d'idrogeno mediante immissione di ossigeno.

L'elettrolisi del cloruro d'idrogeno viene attuata per riconvertire in c. gassoso la soluzione di quest'acido effluente come sottoprodotto delle clorurazioni organiche. L'elettrolita circola nelle celle a una concentrazione compresa fra il 20% e il 24% HCl. Gli elettrodi bipolari di grafite restano praticamente inalterati per un tempo indefinito, poiché l'elevata acidità non consente lo sviluppo anodico di ossigeno. Il consumo energetico è di circa 1600 kWh/t Cl.

Nel 1990 la produzione di c. gas nei maggiori paesi industriali è stata la seguente, in milioni di t: CEE 9,7, di cui 1,2 in Italia; USA 11,2; Giappone 1,1. Il tasso d'incremento annuo previsto è del 3%. Una ripartizione tipica degli impieghi è mostrata in tab. 2. La produzione associata di soda caustica, nel rapporto stechiometrico di 1,1 t NaOH/t Cl soddisfa alla domanda di mercato e ha sostituito in modo pressoché totale il processo di caustificazione del sodio carbonato, già ottenuto col processo Solvay.

Bibl.: P. Gallone, Cloro, in Enciclopedia della Chimica USES, Firenze 1971; Electrochemical Society, Perfluorocarbon ion exchange membranes, Wilmington (Delaware) 1977; C. W. Walton, R. E. White, Membrane chlor-alkali cells, in Journal of Electroch. Society, 134 (1987), p. 565 C.

Vedi anche
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