clima (climate)
La terra emersa (v. TERRA) costituiva un quarto del globo terrestre, ma anche se si designava come ‛ la quarta abitabile ' in realtà non si credeva tutta abitabile, a causa del freddo a nord verso il circolo polare artico (67°) e del caldo a sud verso l'equatore (0°). La parte effettivamente abitata (oltre il 50° parallelo si sapeva che c'erano " molte isole e molte sedi di uomini ", ma non se ne teneva conto perché erano troppo poco conosciute) veniva suddivisa in sette zone parallele all'equatore chiamate climi, che andavano dalla regione calda dei Garamanti alla regione fredda degli Sciti, popoli viventi rispettivamente fuori del primo e del settimo clima.
La divisione in climi era un sistema pratico per determinare la latitudine ed era basata sulla durata del dì (periodo di luce) più lungo dell'anno, ossia del giorno del solstizio estivo. C. è parola greca che significa " inclinazione ": perché la durata del dì dipende dall'inclinazione del sole su un determinato orizzonte. I c., mentre in longitudine si estendevano tutti per 180°, in latitudine variavano da un massimo di 8° circa a un minimo di 3° circa. Erano delle fasce più o meno larghe, entro ognuna delle quali la durata del dì pur sempre variava: per avere la durata tipica della zona, si faceva la media. Da notare che 10 secondo Alfragano corrispondeva a miglia 56,6: ogni c. aveva dunque un corrispettivo in miglia arabe (m. 1973).
Il primo c. cominciava da 12°3/4 e arrivava fino a 20°1/2, il secondo da 20°1/2 a 27°1/2, il terzo da 27°1/2 a 33°2/3, fino a giungere al settimo da 47°1/4 a 50°1/2: la durata medio-massima del dì era rispettivamente di ore 13, 13 1/2, 14, 16; la lunghezza in miglia di 440, 400, 350, 185. Fra l'inizio del primo c. e la fine del settimo c'era una differenza di ore 3 1/2; in latitudine (o altezza del polo), di 38° circa; in miglia, una distanza di 2150 circa. I nomi di luogo dei c. sono elencati in modo più semplice e netto dal Sacrobosco (v.) che da Alfragano, e sono: per Meroe (in Etiopia), per Siene (in Egitto), per Alessandria, per Rodi, per Roma, per Boristene (fiume sarmatico), per Rifei (monti della Scizia).
D. ricorda il c. sei volte: oltre che in Mn I XIV 6 dove si parla degli Sciti extra septimum clima viventes; in VE I VIII 1 (per universa mundi climata climatumque plagas) e Quaestio 53 (astrologos climata describentes), il termine ricorre in Cv III V 12, dove è detto che l'equatore dividerebbe dall'oceano la terra emersa quasi per tutta l'estremità del primo climate dove sono li Garamanti. Ma il passo più famoso e controverso è in Pd XXVII 79-80 Da l'ora ch'ïo avea guardato prima / i' vidi mosso me per tutto l'arco / che fa dal mezzo al fine il primo clima. Qui D. dice di essersi spostato, ruotando col cielo stellato, di 90° (e precisamente dal meridiano di Gerusalemme al meridiano di Gade): infatti - come s'è detto - ogni c. si estende per 180°, e spostarsi dal mezzo al fine significa spostarsi da 90° (mezzo) a 180° (fine o estremità occidentale), giacché la rotazione diurna dei cieli avviene in senso orario o est-ovest. Se D. ricorda il primo clima mentre poi parla di Gade e della Fenicia (il lito / nel qual si fece Europa dolce carco, vv. 83-84) che sono nel terzo, ciò avviene perché D. si trova nei Gemelli che, per la corrispondenza tra sfera terrestre e sfera celeste, giacciono appunto in una zona del cielo che parzialmente corrisponde al primo clima. Egli dunque girando coi Gemelli intorno alla Terra vede tutta l'‛ abitabile ', ma il suo sguardo si ferma soprattutto sulla zona mediterranea che è posta al centro del mondo.
Alcuni interpreti, come il Moore, intendono il passo non spazialmente ma temporalmente: D. cioè vorrebbe dire che da l'ora ch'ïo avea guardato prima sono passate 6 ore e mezzo, e ricorda il primo c. appunto perché lì la durata medio-massima del giorno è di 13 ore, e la metà è 6 1/2. Ma anzitutto il passo ha molto più l'aria di essere un'indicazione di spazio (relativo alla visione della piccola terra: Pd XXII 106-154) che di tempo, e in secondo luogo si riconosce generalmente che in Paradiso D. evita ogni riferimento cronologico proprio perché siamo fuori del tempo.
Bibl. - Alfragano, Il libro dell'aggregazione delle stelle, a c. di R. Campani, Città di Castello 1910, cc. VIII e IX; Giovanni Da Sacrobosco, De Sphaera, Venezia 1576, c. III; G. Della Valle, Il senso geografico-astronomico dei luoghi della D.C., Faenza 1869, 120-134; O.F. Mossotti, Illustrazioni astronomiche a tre luoghi della D.C., Città di Castello 1894, 37-49; E. Moore, Gli accenni al tempo nella D.C., Firenze 1900, 144-156; M. Porena, comm. al Paradiso (cc. XXII e XXVII); M.A. Orr, D. and the Early Astronomers, Londra 19562, 265-270; G. Buti - R. Bertagni, Commento astronomico della D.C., Firenze 1966, 192-196.