CLEOPATRA VII, detta Filopatore
Ultima regina della dinastia tolemaica, nata da Tolomeo Aulete e da madre ignota e perciò da taluni storici sospettata, forse a torto, illegittima. Alla morte del padre (51 a. C.) e in conformità del testamento da lui lasciato, salì al trono in età di 17 o 18 anni, come la maggiore dei quattro figli tuttora viventi, avendo associato nel potere il meno giovane dei fratelli, Tolomeo XII, fanciullo di circa dieci anni. A corte predominavano l'eunuco Potino, il precettore del giovine re, Teodoto di Chio e il comandante in capo dell'esercito, Achillas. Divenuta insopportabile alla cabala di corte per la sua energia e volontà di comando, C. dové fuggire dal palazzo sotto l'accusa d'aver voluto sopprimere il fratello, ma fuggì verso i confini orientali per mettere insieme un esercito con cui intendeva riprendere incontrastato possesso d'Alessandria e del trono. Gli avversarî le andarono incontro, riunendo le loro forze armate presso Pelusio, dove, nella speranza di guadagnare il favore di Cesare, il giovinetto re lasciò assassinare Pompeo Magno, che presso di lui cercava rifugio. Cesare, poco dopo, penetrava da vincitore in Alessandria e, valendosi del testamento di Aulete, si assunse l'ufficio di arbitro nella contesa tra i due fratelli. Poiché l'esercito nemico si frapponeva tra Cesare e C., questa giunse in Alessandria per mare, con l'aiuto del siceliota Apollodoro e penetrò nel palazzo dentro un involucro di tappeti, dal quale emerse sorridente e piena di seduzioni, che non tardarono ad aver presa sul guerriero romano. Cesare volle riconciliati i due fratelli, ma Potino fomentava il malcontento nella capitale, mentre Achillas vi si andava avvicinando con un esercito di 22.000 armati, presso i quali il re Tolomeo, irritato per le preferenze verso la sorella, si rifugiò. Cesare, assediato nel quartiere della reggia, attorno alla sezione orientale del μέγας λιμήν o "porto grande", disponendo di poche migliaia di soldati, ebbe a sostenere quella guerra alessandrina durante la quale il vasto incendio appiccato alla flotta egiziana si estese ad alcuni depositi di libri sulla terraferma, facendo sorgere, più tardi, contro il generale romano, l'accusa d'aver distrutto la famosa biblioteca. Al giungere dei rinforzi la guerra si conchiuse col combattimento svoltosi a circa trenta chilometri da Alessandria, presso il Nilo, raggiunto da Cesare con rapida marcia attorno al Lago Mareotide, sulle sponde del canale nelle cui acque scomparve il re Tolomeo. Cesare, ormai padrone della situazione, pose accanto alla regina l'altro fratello, il dodicenne Tolomeo XIII; l'altra sorella, Arsinoe (v.), fu spedita a Roma, forse in previsione del trionfo del vincitore. La regina e il suo romano amante e protettore effettuarono una crociera lungo il Nilo fino a Tebe. Il 23 giugno del 47, C. diede alla luce un bambino, cui impose lo stesso nome del dittatore, ma che è più conosciuto sotto il sarcastico diminutivo di Cesarione, affibbiatogli dagli Alessandrini.
Quando Cesare, dopo d'aver lasciato tre legioni in Egitto ed essere stato in Siria, tornò a Roma, nel 46, per il trionfo, C. lo seguì, prendendo dimora nei giardini oltre Tevere; forse nella celebre casa ora detta della Farnesina, di cui possiamo in parte ammirare i superstiti stucchi decorativi. Ma dopo le idi di Marzo, C. s'affrettò a riparare in Alessandria. Quivi, dopo aver fatto sparire lo sposo e fratello Tolomeo XIII, associò al trono il proprio figlio di appena tre anni. Nel grande conflitto tra i partigiani di Cesare e il partito dei suoi assassini, C. serbò dapprima un troppo prudente e riservato contegno, ma quando la vittoria di Filippi dette a Marco Antonio il dominio della patte orientale del mondo romano, la regina, andatagli incontro a Tarso, seppe attrarlo ed avvincerlo coi suoi vezzi di raffinata principessa greco-orientale. Antonio per esserle gradito fece uccidere Arsinoe, rifugiatasi in Efeso, ed altre persone a lei moleste. Nell'inverno del 41-40 i due nuovi amanti cominciarono quella vita di piacere, di lusso, di spensierata gioia per cui essi si definirono "dalla vita inimitabile" (ἀμιμητόβιοι). Nella primavera del 40 Antonio, tornato in Italia e rimasto vedovo di Fulvia, fece lega con Ottaviano, di cui sposò la sorella. Intanto C. dava alla luce due gemelli, Alessandro Elio e Cleopatra Selene. Per alcuni anni la coppia rimase separata, ma nel 361 mentre Antonio stava preparando una spedizione contro i Parti, si riunì in Siria, e nacque un altro figlio. La regina ebbe concessioni territoriali. Fallita la spedizione partica, Antonio rientrò in Egitto, sempre più preso di passione per C., causando, per questo, profonde umiliazioni alla moglie Ottavia. Nel 34 invece che contro la Partia si volse contro l'Armenia, tornandone vittorioso e carico di spoglie. Di tale vittoria, con grave scandalo dei romani, Antonio celebrò il trionfo in Alessandria insieme con la regina e coi figli, ai quali tutti, in una successiva fastosa cerimonia celebrata nel Ginnasio, vennero attribuiti altisonanti titoli sovrani e territorî. Il sogno di una monarchia universale, più grande di quella concepita dal conquistatore macedone, con capitale Alessandria o Roma, appariva allora tanto attuabile a C. che la regina, per affermare una certezza, la paragonava a quella che aveva di dettar leggi dal Campidoglio. Ma a distruggere il sogno provvide Ottaviano, fattosi paladino del nazionalismo romano e vendicatore delle sanguinose offese contro la propria sorella. Nell'autunno del 33 Antonio e C. si trasferirono con tutta la flotta e col tesoro di guerra ad Efeso; in Asia Minore il generale romano svaligiò regioni e città donando alla regina d'Egitto territorî e bottino d'opere d'arte: tra l'altro la biblioteca di Pergamo. Nel maggio del 32 Antonio si trasferì ad Atene; dove C., che l'aveva seguito, pretese ed ottenne onori straordinarî e il divorzio da Ottavia. La guerra era virtualmente aperta ma soltanto nella seconda metà del 32 il popolo e il senato romano la dichiararono ufficialmente, e non ad Antonio, sibbene alla regina d'Egitto. Lo scontro decisivo avvenne il 2 settembre 31 a. C. nella battaglia navale di Azio, tanto importante per la storia del mondo quanto poco chiara nel suo svolgimento. La flotta egiziana che al comando della regina stava in riserva, invece di prender parte al combattimento, di cui avrebbe potuto decidere la sorte in favore della propria parte, a un tratto fece vela verso il sud. È probabile che non si tratti di un premeditato o improvviso tradimento, ma di un erroneo giudizio sulla situazione o di un piano preventivamente concertato per rompere il blocco nel golfo di Ambracia e correre in Egitto a preparare più salde basi di difesa. Antonio seguì la regina con una parte delle navi, ma il resto della flotta non poté disimpegnarsi e fu perduto insieme con l'esercito di terra. Presso Paraetonium, sul confine tra l'Egitto e la Cirenaica, la coppia si divise, Antonio recandosi a Cirene per cercare di mantenere fedeli le quattro legioni ivi acquartierate e C. per rientrare in Alessandria, nel cui porto le sue navi penetrarono con tutti i segni e i canti del giubilo vittorioso. Ma se pure la regina non illudeva sé stessa e voleva soltanto illudere i suoi sudditi, erano illusioni prossime a cadere per sempre. Del resto la coppia, ricongiuntasi, tanto lo presentiva che non volle più dirsi "dalla vita inimitabile" ma "dalla comune morte" (συναποϑανούμενοι). Comuni e separati, aperti e segreti maneggi per evitare la catastrofe trattando con Ottaviano, non approdarono. Questi, nel 30, dalla Siria penetrò con il suo esercito in Egitto e senza trovare gravi ostacoli giunse fin presso le mura della capitale. La regina si rinchiuse con i suoi tesori e con due fide ancelle, Iras e Charmion, nel predisposto ma non ultimato monumento sepolcrale, forte e solido edificio non lontano dalla reggia, forse con l'intenzione di tradire Antonio e forse illudendosi che le sue arti raffinate potessero esercitarsi con successo sull'astuto e freddo figlio adottivo di Cesare. Fallito il tentativo di opporsi al nemico, Antonio, nella convinzione che la regina si fosse già data la morte, si gettò sulla propria spada; tirato agonizzante dentro il rifugio dell'amata, morì tra le sue braccia. Le trattative intavolate da C., che minacciava di bruciare sé stessa e tutti i suoi tesori, si trascinarono senza condurre a nessun risultato concreto, neppure dopo una scena mirabilmente condotta in un colloquio col deludente vincitore, colloquio avvenuto nel palazzo reale dove questi era riuscito a farla tornare. Allora per sfuggire il destino di seguire a Roma il carro del trionfatore, la regina si uccise in modo tuttora misterioso. La versione ufficiale afferma che la morte fu ottenuta mediante la puntura di un aspide velenoso fatto pervenire a C. nascosto dentro un cesto di fichi. Anche questa coraggiosa, romantica e misteriosa morte dopo una vita sì avventurosa, ha molto contribuito a suscitare intorno all'ultima regina lagide l'interesse dei contemporanei e della posterità. Comunque si voglia moralmente giudicarla è certo che non ci troviamo di fronte a una perversa cortigiana, ma ad una forte ed emergente personalità, che sognò di vincere e di asservire ed osò disperatamente ostacolare il fatale destino imperiale di Roma.
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