DONATI, Clemente
Nacque ad Urbino nella prima metà del sec. XV. Gli inizi della sua attività di tipografo sono oscuri. Nel 1470 era a Roma, aveva moglie e figli e possedeva otto torchi: la sua attività non è però attestata né da stampe né da documenti. La difficile situazione del mercato romano, in cui la domanda del pubblico non rispondeva più alla forte offerta di edizioni, soprattutto di classici, lo indusse a cercare uno sbocco professionale verso le città in cui si stavano proprio allora impiantando le prime tipografie.
Nel 1469 Venezia aveva concesso a Giovanni da Spira il monopolio della stampa; nel '70, seguendo l'esempio veneziano, anche Milano concesse il monopolio ad Antonio Planella. Il D. cercò di ottenere un analogo privilegio da Ferrara. Nel corso del 1470 si recò nella città estense, espose al duca Borso il proprio progetto di introdurvi la prima tipografia e il 23 novembre lo sottopose al maestrato dei Savi, ossia al Consiglio del Comune.
Laomedonte Dal Sacrato, sostituto del giudice dei Savi, espose le richieste del D.: egli si sarebbe trasferito da Roma a Ferrara con la sua famiglia e con otto torchi "ad stampandum seu faciendum libros ad stampam in quacumque scientia et facultate" (Frizzi, IV, p. 72), a condizione che il governo ferrarese gli garantisse per tre anni il mantenìmento suo e della famiglia e il finanziamento dell'officina. La deliberazione dei Savi fu però negativa. A giustificare il rifiuto furono addotte le spese straordinarie che l'Erario aveva dovuto affrontare quell'anno per le rotte del Po e per la fabbrica delle mura meridionali della città, che impedivano altri stanziamenti. La congiuntura denunciata dai Savi era reale, e le difficoltà di ordine finanziario si ripercuotevano anche sullo Studio, i cui docenti lamentarono in queglì anni sospensioni degli stipendi. Ma la ragione più profonda del rifiuto va letta in un secondo argomento dei Savi: "Recordatum est etiam quod si dictum exercitium est tante utilitatis et lucri ut proponitur, non potest esse quin inveniat [il D.] socios et mercatores qui ei subvenient de prestantia necessaria" (cfr. Modigliani, Ieronima, p. 423). I Savi, in definitiva, preferivano lasciare l'avvio della tipografia ad artigiani inquadrati nelle corporazioni cittadine, escludendo privilegi ducali a privati. Come ricorda il Frizzi, nello stesso anno un analogo rifiuto fu opposto anche ad un artigiano genovese che chiedeva diritti privativi per introdurre in Ferrara i filatoi dell'oro e dell'argento. L'organizzazione delle corporazioni d'arte ferraresi rendeva infatti ormai anacronistico ogni tentativo di concorrenza interna privilegiata, e la richiesta del D. urtava specificamente gli interessi dei cartolai, che si erano organizzati in arte proprio tra il 1464 e il '70 e che gestìvano un già cospicuo commercio di fibri a stampa. Da parte sua Borso, sebbene interessato soprattutto ai libri manoscritti e alla loro decorazione, era tutt'altro che insensibile alla novità della stampa: proprio nel 1470, il 29 gennaio, egli dispose infatti un'elargizione di tre ducati d'oro a premiare l'attività dei tipografi veneziani. Non poteva però favorire un'impresa in contrasto con le dinamiche economiche del proprio Stato: il prototipografo ferrarese non fu percìò il D., bensì Andrea Belfort, che appena pochi mesi dopo impiantò una bottega senza alcun aiuto pubblico.
Fallito il tentativo ferrarese, il D. tornò a Roma, dove abitò nel rione Pigna e dove morì dopo il 1491, anno in cui vi è documentato, e prima del 1500: il 4 febbraio di quell'anno infatti Ippolita e Pietro Donati figurano in un atto del notaio Girolamo Bracchini come figli "quondam Clementis Donati".
Anche la moglie del D., Girolama, Si occupò di tipografia e di commercio librario. Il 27 ag. 1473, in Roma, affittò per un anno a Giovanni "Fersoris", chierico di Würzburg e tipografo, tre torchi coi relativi materiali da stampa, ad eccezione dei caratteri, pattuendo come canone cinque copie di ognuna delle edizioni che sarebbero state stampate coi tre torchi. Nel contratto, rogato dal notaio Giovanni Di Michele, fideiussore del tipografo fu l'avvocato concistoriale Giovanni Luigi Toscano, già editore-finanziatore di varie stampe, soprattutto giuridiche, dei tipografi tedeschi in Roma Giorgio Lauer, Leonardo Pflug, Giorgio Sachsel, Bartolomeo Golsch e Giovanni Gensberg.
L'attività tipografica dei Donati non è finora attestata da alcuna stampa.
Bibl.: A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, IV, Ferrara 1848, p. 72; L.N. Cittadella, Notizie amministrative, storiche, artistiche relative a Ferrara, I, Ferrara 1868, pp. 492 s., 500; Id., La stampa in Ferrara, Firenze 1873, pp. 6 s., 24; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae, Florence 1905, pp. XV, 125; A. Cioni, Belfort, Andrea, in Diz, biogr. d. Ital., VII, Roma 1965, pp. 565 s., che parla però di otto torcolieri, anziché di otto torchi; V. Scholderer, Printing at Ferrara in the Fifteenth Century, in Id., Fifty essays in Fifteenth and Sixteenth Century bibliography, a cura di D. E. Rhodes, Amsterdam 1966, pp. 91 s.; M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical dictionary of the Italian printers, Boston 1968, p. 215; R. Hirsch, Printing, selling and reading 1450-1550, Wiesbaden 1974, p. 79; G. Montecchi, Tipografie e imprese editoriali, in Storia della Emilia Romagna, II, Bologna 1977, p. 321; L. Balsamo, La circolazione del libro a corte, in Id., Produzione e circolazione libraria in Emilia (XV-XVIII sec.). Studi e ricerche, Parma 1983, pp. 58 s.; A. Modigliani, Ieronima: libri e torcelari, in Scrittura, biblioteche e stampa a Roma nel Quattrocento, a cura di M. Miglio, Città del Vaticano 1983, pp. 421-425; A. Chiappini, Fermenti umanistici e stampa in una biblioteca ferrarese del secolo XV, in La Bibliofilia, LXXXV (1983), pp. 300 s.