CLEMENTE da Padova (Clemens Patavinus, Chimetto da Padova)
Non si conosce la data di nascita, probabilmente avvenuta nella prima metà del sec. XV, di questo sacerdote di origine padovana che documenti lucchesi e veneziani degli anni compresi fra il 1470 e il 1472 dicono maestro pubblico, copista, miniatore, ma soprattutto "Italorum primus" ad aver esercitato l'arte di comporre libri con caratteri tipografici.
Il primo documento (ed. in Lucchesini, X, p. 424) in cui compaia il nome di C. è un decreto del magistrato lucchese, datato 27 ott. 1470. In esso si afferma che il maestro C., che si trova a Venezia ed è fornito di molte capacità, ma soprattutto conosce l'arte della stampa essendo in procinto di lasciare la città di Venezia, se fosse invitato con qualche sovvenzione pubblica grazie alla quale potesse mantenersi, facilmente volgerebbe il suo animo a venire a Lucca per stabilirvisi, per esercitare le sue attività e per diffonderle tra gli altri, cosa che sarebbe utile e onorevole per la città; si stabilisce di invitarlo con uno stipendio di due fiorini al mese per i "prossimi quattro anni, durante i quali sarà tenuto all'insegnamento pubblico; e s'intenda legato da un contratto, per il quale è tenuto ad insegnare pubblicamente a quanti vogliano imparare a trascrivere codici, purché venga a stabilirsi a Lucca entro i prossimi sei mesi". In tale occasione, tuttavia, C. non si recò a Lucca dove pure in anni precedenti era stato ad insegnare e decorare manoscritti (si ritengono da lui miniati alcuni codici ivi conservati nella Bibl. dell'Opera del duomo, in origine della famiglia Trenta), Ciò, più che alla modestia dello stipendio offertogli, fu dovuto probabilmente al disinteresse dimostrato dalle autorità della città toscana nei confronti dell'arte della stampa, nella quale si era impegnato. A Venezia, da cui appare in procinto di partire, sul finire del1470 egli risulta aver già conosciuto i procedimenti dell'arte tipografica.
L'anno prima Giovanni da Spira vi aveva introdotto la stampa pubblicando le Epistolae ad familiars di Cicerone e l'Historia naturalis di Plinio: la novità dell'impresa e il notevole successo delle due opere (delle Epistolae, in particolare, aveva subito fatto una ristampa) erano riusciti a ottenergli un ampio privilegio - un vero e proprio monopolio industriale della durata di cinque anni - concessogli dalla Signoria veneta il 18 sett. 1469 per la città e il suo distretto; aveva appena messo mano ad una terza opera, il De civitate Dei di s. Agostino, la quale per la sua morte improvvisa dovette essere condotta a termine dal fratello Vindelino. La circostanza e la data della morte di Giovanni da Spira furono di grande importanza per il primo sviluppo dell'editoria veneziana poiché con lui perse ogni efficacia il monopolio accordatogli: "nullius est vigoris", venne annotato a margine dell'atto ufficiale, "quia obiit magister et auctor". Prima, con ogni evidenza, delle dieci opere date in luce da Vindelino nel 1470, l'edizione del De civitate Dei iniziata da Giovanni indica la morte di quest'ultimo come avvenuta già sul finire del '69, e quindi anticipa a tale data un possibile, competitivo interesse verso i segreti della nuova arte praticati nella sua officina.
Nel breve periodo di sbandamento e incertezza che seguì alla scomparsa di Giovanni da Spira, C. ebbe certamente occasione di avvicinare e conoscere le tecniche e i procedimenti tipografici fino ad allora gelosamente custoditi dagli artigiani tedeschi.
Il medico veneto Nicola Gupalatino, nella sua introduzione a Mesue, De medicinis universalibus (Hain, n. 11.118; Indicegen. degli incunaboli, n. 6382), testimonia che l'opera fu data da stampare - 18 maggio 1471 - dal veronese Pellegrino Cavalcabò a C. del quale tesse un notevole elogio: l'arte tipografica è diventata più elegante e accurata, scrive, dacché è stata introdotta in Italia, e ne offre evidente esempio "lo stampatore elegantissimo di questo libro, il patavino Clemente, buon sacerdote ed uomo non solo profondamente erudito negli studi letterari, ma il più abile, di tutti quelli che io abbia mai conosciuto, nelle arti meccaniche e manuali. Difatti, pur non avendo mai osservato alcuno lavorare in questo campo, dopo aver appreso i primi rudimenti di quest'arte, scoprendone i segreti con la massima ingegnosità grazie alla acutezza della sua intelligenza, primo tra gli Italiani compose libri con questa tecnica".
Allo stato attuale degli studi, tale primato sembra non poterglisi facilmente contendere.
Quanto si conosce della produzione di Filippo De Lignamine (La Legname), la cui tipografia era attiva a Roma già nell'agosto 1470, ne qualifica l'attività di editore piuttosto che di stampatore; la prima parte del Servio stampato dai Cennini a Firenze, sebbene fosse probabilmente già in opera nel maggio 1471, non venne completata prima del novembre. Il Festo, De verborum significatione, primo libro pubblicato a Milano il 3 ag. 1471, benché senza nome di tipografo, è stato con certezza attribuito a Panfilo Castaldi; ma anche il Castaldi - che fu a Venezia nell'anno 1469ed ebbe colà modo, contemporaneamente a C., di conoscere le nuove tecniche di stampa - risulta aver avuto funzioni di direzione tecnica ed essersi giovato, per la parte esecutiva, di esperti collaboratori. In rapporto alla tarda e complicata "questione" castaldiana, va segnalata comunque l'attendibilità di una tradizione coeva che attribuisce a C. la prima reinvenzione indigena di un'arte che era allora, e per parecchi anni rimase ancora, prevalentemente affidata alle tradizioni tecniche e alle capacità personali di artigiani stranieri.
L'11 agosto del 1472 risulta letta dinanzi al Senato lucchese una supplica di C. (edita in Lucchesini, X, p. 425): "Esponsi umilmente per parte del servitore di vostre magnifiche signorie Chimetto da Padova, chome altra volta stè in la città vostra a insegnare a scrivere, et a quadernare e miniare, e mostrare tutto quello di bene che poté per la umanità e virtù de' vostri cittadini. Volentieri sarè tornato in la ultima electione facta di lui per fare cosa piacesse alle magnifiche signorie vostre, benché la provisione fosse piccola, ma impedito dallo imprendere et imparare a far lettere, di che si fanno li libri, la qual cosa già è perfetta et in tal modo che per la grazia di Dio l'Italiani stanno al pari con li oltramontani, ora siando assai expedito, se piacesse alle magnifiche signorie vostre, verrè a stare tutti i giorni sua con vostre signorie et exerciterasi in fare libri con tali forme di lettere, che sarà utile et honore alla vostra magnifica città, con quella paga gli parrà provedere di qualche provigione acciocché possi vivere presso quella, chome è consueta fare a quelli portano qualche virtù in la vostra città la quale Dio conservi in felice stato". Fu anche questa volta stabilito di invitare C. a risiedere stabilmente in Lucca per i successivi quattro anni, con lo stipendio di tre fiorini al mese, ad effetto di esercitarvi "eius artem imprimendi, literas ligandi, et miniandi, et ceteras suas virtutes quibus est instructus". C. non si recò nemmeno questa volta a Lucca, e la città dovette attendere gli inizi del 1477 per il suo primo stabilimento di un'officina tipografica ad iniziativa di Matteo Civitali.
Può rilevarsi, nella supplica di C., un sentimento di cosciente emulazione nei riguardi di chi continuava a detenere di fatto, anche se non più di diritto, il predominio organizzativo e finanziario dell'editoria veneziana (di c. diciassette tipografie attive nella città della laguna tra il 1469 e il 1474, appena cinque erano in mano italiana e in una condizione di limitata capacità produttiva che mutò solo dopo il 1481); tale sentimento risulta peraltro accompagnato dall'esperienza personale e diretta degli aspetti più propriamente tecnici, certamente facilitata dalla precedente pratica di copista, "cartolaro" e miniatore di Clemente.
Le riproduzioni dell'unica edizione che di lui si conosce mostrano uno sforzo di progressivo perfezionamento tecnico in una variante della "g" che dapprima appare - ad imitazione del modello grafico - crenata nell'occhiello di coda e appoggiata quindi sulla spalla del carattere sottostante, e successivamente ricondotta alla forza di corpo dell'intera fusione: si tratta di un "romano" misurante 105÷106 mm sulle venti righe, che ritroviamo messo in opera a Fivizzano tra il 1472 e il 1474 da Iacopo, Battista e Alessandro (Onorati?) "comites in amore benigni", e ancora nel 1482 a Lucca dal maestro di scuola e tipografo Michele Bagnoni. L'entusiasmo che C. aveva manifestato nel documento del 1472 - l'ultimo che di lui si conosce - a riguardo dell'impresa iniziata suggerisce che non una rinuncia, ma piuttosto un improvviso impedimento l'abbia costretto ad interromperla; forse la sua stessa morte.
Fonti e Bibl.: Comunicazione del dr. Marco Paoli, della Bibl. govern. di Lucca, circa i codici miniati da C.; C. Lucchesini, Della storia letter. del ducato lucchese…, in Mem. e docc. per servire all'istoria del ducato di Lucca, IX, Lucca 1825, p. 32; X, ibid. 1831, pp. 423 ss.; C. Castellani, La stampa in Venezia dalla sua orig. alla morte di Aldo Manuzio seniore…, Venezia 1889, pp. 28 s.; H. F. Brown, The Venetian Printing Press, London 1891, p. 29; E. Gordon Duff, Early Printed Books, London 1893, p. 68; D. Marzi, Giovanni Gutenberg e l'Italia, in La Bibliofilia, II (1900-1901), pp. 90 s.; E. Lazzareschi, Prototipografi lucchesi e germanici, in Studi e ricerche sulla storia della stampa nel Quattrocento, Milano 1942, pp. 195 s.; M. Bevilacqua, Tipografi eccles. nel Quattrocento, in La Bibliofilia, XLV (1943), pp. 11 s.; Catal. of Books Printed in the XVth Century now in the British Museum, V, London 1963, pp. XI, 185; VII, ibid. 1963, pp. L s., LXXI s. (e Facsimiles Parts IV-VII, nn. XVI, LXXXI); L. Donati, I fregi xilografici stampati a mano negli incunabuli ital., in La Bibliofilia, LXXV (1973), p. 162; L. Vytantas Gerulaitis, Printing and Publishing in Fifteenth-Century Venice, Chicago-London 1976, pp. 20 ss.; G. Fumagalli, Lexicon typographicum Italiae..., Florence 1905, pp. X n. 4, 191, 273 s., 449, 461 s.