FARNESE, Clelia
Unica figlia del cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa Paolo III, della quale non si conoscono né il luogo né la data di nascita, che pure dovette cadere nel 1556.
Erano gli anni dei maggiori successi galanti del padre, che lasciò allora in Francia una scia iridescente di amanti abbandonate e niente affatto rassegnate alla sorte ineluttabile di perderlo. Il nome della madre resta avvolto nella più fitta oscurità e si capisce bene perché. Il concilio di Trento era stato inaugurato già da dieci anni e, per quanto non si fosse ancora pronunciato definitivamente, non si poteva certo sperare che su un punto come il celibato degli ecclesiastici avrebbe potuto transigere. Tanto meno poi nel caso dei componenti del Sacro Collegio, posto al vertice della gerarchia ecclesiastica. Il cardinale abbandonò al passato oscuro dei "péchés oubliés" (così si espresse una dama francese da lui abbandonata nel 1555) il nome della madre, ma dette il suo alla figlia, senza temere il biasimo della Chiesa e della società controriformate.Affidata dal padre alle cure della zia Vittoria Farnese, duchessa di Urbino, fu educata in quella corte, insieme con la cugina Lavinia Della Rovere. Nel 1570, ormai in età da marito, fu richiamata dal padre a Roma e data in sposa a Giovan Giorgio Cesarini, di famiglia nobile ma coperta di debiti. Dal padre, che passava come l'ecclesiastico più ricco, cioè meglio prebendato, di tutta la Cristianità, ebbe una dote sontuosa, tale da rimpinguare le dissestate finanze del Cesarini. L'alta società romana non ebbe difficoltà ad accoglierla e la F. non tardò a guadagnare i primi allori: celebratissima per la grazia e l'eccezionale bellezza, ne divenne presto la principale attrazione mondana. Fiorirono gli aneddoti e Montaigne, che ne poté ammirare solo il ritratto nel giardino dei Cesarini, tra le meraviglie di quella collezione di antichità greche e romane, attestò che la sua era "sans compareson la plus aimable fame qui fut pour lors à Rome, ny que je sache ailleurs". Torquato Tasso l'aveva conosciuta già ad Urbino. La rivide a Roma e le dedicò un sonetto che le attribuisce una consapevolezza sdegnosa della sua superiore bellezza. Ma la F. non sembrava sdegnare affatto l'ammirazione dei suoi numerosi corteggiatori. Gradiva anzi con particolare compiacimento gli attestati di quello che tutti li sopravanzava per la foga incontenibile della passione, l'importanza del casato, la straripante dovizia dei mezzi. Ferdinando de' Medici sarebbe stato di lì a non molto granduca di Toscana, ma allora a Roma aveva il torto di portare solo il cappello di cardinale e di presentarsi per di più come il principale concorrente alla tiara del cardinal Farnese. La regola del celibato cui gli ecclesiastici erano tenuti complicava dunque sempre di nuovo lo scambio delle donne tra le grandi famiglie italiane che puntavano alla sedia di Pietro. La figlia del cardinale non poteva diventare l'amante dell'altro cardinale: sarebbe stato veramente troppo negli anni del 1585 e giù di lì. Proprio in quell'anno il Cesarini, che sempre discreto era stato, pensò bene di levare l'incomodo, con una tempestiva dipartita, mentre la tiara veniva agguantata dal terzo assai più furbo che fra i due litiganti immancabilmente gode. Per niente scoraggiato dalle disavventure del conclave, il cardinale de' Medici ritornò alla carica con un dispendio di mezzi talmente vistoso da risultare ormai intollerabile ai Farnese. Il nuovo capo riconosciuto della famiglia, Alessandro duca di Parma, intervenne dalle lontane Fiandre, dove reggeva le sorti dell'esercito cattolico, e pose fine allo scandalo. La bellissima e ancor giovane vedova doveva risposarsi e rassegnarsi ad uscire dalla scena mondana di Roma. Lo sposo designato era uno scapestrato rampollo di grande famiglia, Marco Pio di Savoia, signore di Sassuolo. Non è che a Roma mancassero alla F. i pretendenti alla sua mano non impediti dal voto di castità. Ve ne erano anzi parecchi e almeno due, un Vitelli e un Caetani, avevano il vantaggio di risiedervi stabilmente. Ma proprio Roma la F. doveva lasciare, e su tutti prevalse il Pio. Le resistenze della F. furono vinte dal padre, concorde esecutore del progetto matrimoniale del nipote, con uno stratagemma. Dopo essersi assicurato il consenso di Sisto V, la fece rinchiudere a forza in una carrozza e trasferire nella rocca di Ronciglione, dove ebbe tutto il tempo per capitolare. Le nozze furono celebrate a Caprarola nel novembre del 1587. La dote fu come al solito ricchissima. Il nuovo sposo era tanto geloso quanto manesco: la virtù della F. poteva considerarsi decisamente al sicuro.
A Sassuolo la F. presto si annoiò e non valsero a distrarla i litigi, i duelli, le ripicche di quell'irrefrenabile attaccabrighe che era il marito. Ci vollero ben sette anni prima di riuscire a rimettere piede a Roma, dove la F. aveva lasciato il figlio Giuliano Cesarini. Vi ritornò insieme con il marito nel 1594, ma non ci restò per molto: il lusso di quella vita mondana rischiò di mandare completamente in rovina la coppia. Nel 1595 il Pio si arruolò con G. F. Aldobrandini in Ungheria, e la F. ritornò a Sassuolo. I loro rapporti erano pessimi e non migliorarono di certo dopo il ritorno del Pio dall'Ungheria. Il cronista modenese G. B. Spaccini (Cronaca modenese, 1588-1636, a cura di Q. Bertoni-T. Sandonnini-P. Vicini, Modena 1911-1919) annotò alla data del 24 ott. 1598 che il Pio si tratteneva a Modena malato "perché ha paura che la signora Clelia gli dia il veleno". L'anno dopo, sempre a Modena, fu ferito a tradimento con un'archibugiata dei sicari di un suo nemico: morì il 27 nov. 1599. Dopo la sua morte la F. abbandonò l'odiata Sassuolo. Si trasferì a Parma e di lì a Roma in casa del figlio. Ma non riprese il suo ruolo di una volta, gli anni non erano passati invano e sotto l'austero pontificato di Clemente VIII c'era poco spazio per le follie mondane di una volta. A Roma morì silenziosamente l'11 sett. 1613.
Della F. esisteva il ritratto che nel 1581 fu, come già detto, ammirato a Roma da Montaigne nella collezione Cesarini. Il figlio della F., Giuliano Cesarini, vendette nel luglio del 1593, quando la madre risposata a Marco Pio viveva a Sassuolo, le antichità del padre al cardinale Odoardo Farnese, ma non si sa se insieme alle statue vendette anche i quadri che facevano parte della collezione. Nell'inventario delle collezioni farnesiane redatto nel 1680 è registrato tuttavia un "ritratto di donna detta Clelia Farnese con velo sopra il capo di Tiziano". Il nome della F. riappare in un altro inventario non datato con l'annotazione "mano di Tiziano, un ritratto d'una bellissima donna vestita di vedova, con una bellissima mano, dicono essere Clelia Farnese". Difficile stabilire se si trattasse dello stesso ritratto. Certo è che nessun ritratto della F. è stato identificato a tutt'oggi e tanto meno fra quelli di Tiziano.
Fonti e Bibl.: Raccolta d'inventari e cataloghi inediti, a cura di G. Campori, Modena 1870, pp. 280, 443; [M. Eyquem] de Montaigne, Journal de voyage en Italie…, a cura di Ch. Dédéyan, Paris 1940, p. 249; G. Campori, Memorie storiche di Marco Pio di Savoia signore di Sassuolo, Modena 1871, pp. 20 ss.; A. Valente, T. Tasso e i Farnese, in Giorn. stor. della lett. ital., LXVII (1921), pp. 228-230; F. de Navenne, Rome, le palais Farnèse et les Farnèse, Paris 1913, ad Indicem; M. Schenetti, Storia di Sassuolo, Modena 1966, pp. 129 s., 145-148.