CLAVICEMBALISTI e clavicordisti (fr. clavecinistes; sp. clavicordistas; ted. Klavierkomponisten; ingl. virginalists)
Compositori od esecutori sul clavicembalo e strumenti affini (spinetta, virginale, clavicordo, ecc.): strumenti essenzialmente domestici, usati nelle case, nelle sale, nei conventi, specialmente i più antichi, (monocordo, salterio a tastiera, eschequier, Schachtbrett, più tardi Hackbrett, ecc.). Si eseguirono, da prima, su questi strumenti musiche di ogni genere, ma non scritte appositamente: ballate e canzoni, stampite e mottetti, frammenti di messe, vespri, frottole; le composizioni sacre, di certo, occasionalmente ma non di rado.
Il cembalo (coi suoi affini), strumento polifonico, e però di uso universale, accolse dunque qualunque tipo di musica vocale con poche limitazioni dipendenti dalla condotta delle parti. Oltre che esecutori, gli strumenti domestici a tastiera furono anche accompagnatori. Si accompagnava su di essi: a) il canto singolo con accordi soltanto consonanti (Sancta Maria, v. oltre) o con accordi consonanti e ornamenti (coloristi tedeschi); b) il canto a più voci; c) il suono di uno strumento (es. viola) o di un complesso di strumenti; e ciò per lo meno sin dal secondo quarto del Cinquecento. Per il ballo riusciva più adatto il liuto, probabilmente a cagione delle batterie di accordi (botte) atte a segnare i tempi forti, e spesso tutti i tempi di una battuta, con accenti più o meno forti: cosa essenziale per le danze. Ma il cembalo, a poco a poco, sostituisce anche in questo il liuto, e ne diviene in tutto e per tutto l'erede, derivandone gran parte di quelle forme musicali che diverranno poi caratteristiche della letteratura cembalistica.
Nella prima metà del Cinquecento la musica per cembalo era considerata inferiore a quella per strumenti - e, già s'intende, per voci - e questo, a nostro giudizio, spiega il fatto che la musica espressamente scritta per cembalo appaia relativamente tardi e ci rimanga soltanto in parte, in monumenti o rarissimi o unici. L'Intabolatura nova di varie sorte de balli (Venezia, Gardano, 1511) è la prima stampa di musiche esclusivamente composte per "stromenti da penna". Trascritte (intabulate) sono invece le Ferottole pubblicate da Andrea Antico da Montona nel 1517 "da sonare organi" (nel qual termine è da comprendersi il clavicembalo che occupa, a riprova, la vignetta del frontispizio). Ma già nel 1523 M. A. Cavazzoni aveva pubblicato una raccolta di musiche nella quale non è distinzioue netta tra pezzi per cembalo e pezzi per organo, mentre la maggior estensione della tastiera verso l'acuto (do-fa3) in confronto dell'estensione do-do, assegnata persino più tardi (1529) dall'Aron (do-do3) al monocordo, dimostra una tendenza sempre maggiore verso il cembalo. Soltanto dopo il Cavazzoni - e in questo vanno corretti gli altri lessici - l'editore Attaingnant di Parigi pubblica le sue raccolte di pezzi per organo e di canzoni e danze per espinettes et manichordions (1530-1531) ma anch'egli senza distinguere nettamente tra cembalo ed organo; e le fa seguire dai Livres de danceries destinati ai principianti del liuto e della spinetta e che contengono anche pezzi di origine italiana e fiamminga. Del resto, il Petrucci annunciava intavolature d'organo nel 1498 e nel 1513.
Suonatori di cembalo e di clavicordo ebbe di certo l'Italia almeno del Quattrocento, ma di essi non abbiamo precise notizie. Ma gli organisti sono anche cembalisti e, con questo criterio, si può risalire anche al Trecento e ai suoi famosi organisti (Francesco Landino, Francesco da Pesaro, Giovanni da Cascia, Matteo di Siena). Giulio Segni da Modena, lodato da Cosimo Bartoli nei Discorsi accademici (1567), è il primo grande virtuoso italiano che si ricordi; Isabella d'Este e Leone X sono i primi grandi dilettanti; cembalisti tedeschi vennero in Italia e non inutilmente per l'arte loro, nel Quattrocento: come Corrado Paumann che fu anche a Mantova (1470). Ma soltanto dal secondo quarto del Cinquecento in poi possiamo seguire e distinguere sei scuole di cembalisti: l'italiana, l'iberica, l'inglese, l'austro-germanica, la francese e la belga-olandese, anche se, di esse, tre sole offrano una continuità storica: l'italiana, più di tutte, e poi la tedesca e la francese.
Scuola italiana. - Si può affermare, come risultato di recenti studî, che la scuola italiana ha dominato le altre, precedendole e inspirandole, sino al terzo quarto del Settecento: vale a dire sino al punto in cui Muzio Clementi fonda l'arte del pianoforte - lo strumento che sostituì il cembalo - e crea un tipo di sonata per pianoforte che servì di punto di partenza e talora di modello allo stesso Beethoven, sino a poco oltre il 1800.
Forme. - La scuola italiana si rivela inesauribile nella creazione delle forme, soprattutto delle forme libere. Dal secondo quarto del Cinquecento si affermano il ricercare, la canzone, la fantasia, il capriccio, la toccata, mentre ancora è in vigore la stroficità delle vecchie danze quattrocentesche quali la piva, il saltarello (più tardi detto passo brabante), la quaternaria, la bassadanza, la pavana o padoana, la veneziana, ecc. Della passacaglia, posteriore, è dubbia l'italianità. Questi tipi di composizione - in grado assai minore le danze - si ampliano a mano a mano nell'architettura e si arricchiscono di nessi strofici (liberi, non rigidi), ritmici, tematici, e di nuovi stilemi melodici (ornamenti, diminuzioni, aierosità [ariosità], cantabilità, ecc.) ed armonici (cromatismo, accordi lati, pedali gravi e acuti (trillati], scivoli [i cosiddetti glissando], ecc.). Se anche l'espressione è esteticamente impropria, si può tuttavia affermare che le forme libere polifoniche creano, a poco a poco, la fuga propriamente detta. Già sulla fine del Cinquecento, fuga e canzone francese sono termini identici. Ben presto, sia per l'abbondanza sempre maggiore della letteratura, sia per effetto della pratica del "basso continuo)) - anteriore al Viadana ma da lui codificata - il cembalo diventa, insieme con l'organo, fondamento "che guida e sostiene tutto il corpo delle voci" (Agazzari 1607) e "signor di tutti li strumenti del mondo e in lui si possono sonare ogni cosa con facilità" (G. M. Trabaci, libro II, 1615).
Nel Seicento si aggiungono, alle altre forme, le partite - seguito di variazioni libere su di una melodia che a mano a mano si attenua sino a divenire volatile o su di un basso ostinato (partite su passacagli o sulla romanesca, danza già citata dal Galilei nel 1568). Già nel Cinquecento si erano aggiunte altre danze come il pass'e mezzo e il brando (v. branle), spesso accoppiate e sempre più idealizzate: come la corrente con la sua gagliarda e, poco più tardi, l'allemanda con la sua giga. Il loro accoppiamento sistematico dà luogo alla suite che viene anch'essa dagli strumenti trasportata al cembalo (v. pasquini, bernardo), aperta talora da una intrada, o aria, o sonata (nell'orchestra, anche un'ouverture, specialmente tra i Tedeschi). Verso la fine del secolo (Pasquini) abbiamo poi la sonata, che resterà sino ad oggi la forma elettiva delle musiche strumentali (sinfonia, quartetto, trio, ecc.). Con le sonate di Ludovico Giustini pistoiese (1732) "da cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti" comincia coscientemente l'epoca del pianoforte. Poco dopo il 1764, Mattia Vento pubblica a Londra le prime composizioni per cembalo o pianoforte (for Harpsichord or Pianoforte) con accompagnamento d'archi e può dirsi cessato il predominio del cembalo. Già prima del 1760 le composizioni strumentali (concerto, quartetto, trio) rinunciano sempre più facilmente al "basso cifrato". Significative sono le sonate per cembalo con accompagnamento di violino (iniziatore il Giardini, 1759, non lo Schobert). La parte di cembalo viene scritta per intero dal compositore e non più lasciata all'arbitrio dell'accompagnatore su basso cifrato; e il cembalo accompagnatore rimane quasi soltanto nella pratica dell'opera in musica, nella quale dura sino al Rossini (compreso). La scuola italiana è essenzialmente creatrice di forme propulsive: aperte cioè e capaci di ampliamenti e approfondimenti del ritmo interno, ma retta da uno squisito senso dell'unità, della proporzione, e della luminosità tanto del tessuto polifonico quanto del colore armonico. Se adotta forme statiche (ad es. danze), subito le unisce tra loro con nessi che sono anch'essi propulsivi (suites). Se adotta la chanson, trascrivendola per la tastiera, già con M. A. e con G. Cavazzoni (1542) la rende propulsiva trasforrnandola nella gloriosa "canzone alla francese", pensata strumentalmente. Essa lotta sempre insomma contro la simmetria (o quadratura).
Grammatici e aridi sono invece, al paragone, i fiamminghi contemporanei, quali Buus e Willaert (che esitiamo a riconoscere come creatore della scuola veneziana). Tutto diventa, in Italia, dinamico e gli stessi titoli dei pezzi ne sono assai presto sintomi eloquenti: Fantasia allegra (A. Gabrieli), Canzone spiritata (G. Gabrieli).
Il ricercare, già monotematico, con lo stesso A. Gabrieli diventa o elaborazione polifonica delle successive trasformazioni di un tema o elaborazione successiva di più temi, e la toccata si arricchisce - a contrasto con i passi armonistici o di bravura - di episodi fugati. Con G. Gabrieli, nel ricercare a più temi, uno dei temi riacquista il predominio; e un suo ricercare è considerato dal Riemann vera e propria fuga, risultato che recenti studi stanno modificando. La sonata è poi la forma più suscettiva di ampliamenti strofici e di approfondimenti espressivi, specialmente nel '700.
Impossibile riassumere, in pochi cenni, le vicende storiche della scuola cembalistica italiana. Tra le scuole regionali possiamo distinguere le seguenti: 1. emiliano-romagnola-marchigiana: G. Segni, M. A. Cavazzoni, G. Cavazzoni, A. Banchieri, L. Luzzaschi, G. Frescobaldi, M. Cazzati, G. B. Draghi, G. M. Bononcini, P. G. Sandoni, il padre Martini, A. Prati (1770); 2. venezìana: G. Parabosco (1540), A. e G. Gabrieli, C. Merulo, G. Diruta, A. Padovano, P. Pellegrini, G. Picchi, C. F. Pollaroli, B. Marcello, G. Platti, D. Alberti, B. Galuppi, G. B. Pescetti, G. A. Paganelli, F. Bertoni, F. Turini, detto Bertoni (1790) e altri minori; 3. scuola meridionale: Antonio Valente il cieco (1576), G. M. Trabaci, B. Storace, F. A. M. Pistocchi, A. Scarlatti, G. Greco, N. Porpora, D. Zipoli, F. Durante, F. Mancini, 17. Scarlatti, G. B. Pergolesi, M. Vento, F. Pellegrini, G. Paisiello (1790) e altri minori; 4. scuola toscana: G. Guami (1601), G. M. Casini (allievo del Pasquini), A. B. Della Ciaja, L. Giustini, C. Campioni, G. M. Rutini, L. Boccherini, A. Sacchini, F. Tenducci (1760); 5. scuola romana: F. Soriano (1607), M. A. Rossi, B. Pasquini, l'abate De Rossi, L. Crispi, M. Clementi (sino al 1775 circa); 6. scuola lombarda (riflesso della scuola sinfonica intorno al 1750): G. B. Serini, A. G. Pampani, G. B. Sanmartini, C. Monza, G. Paladini, ecc. Alcuni autori - come il Segni, il Frescobaldi, D. Scarlatti, A. Sacchini, P. G. Sandoni, L. Luzzaschi, i due Cavazzoni ed altri - possono rientrare in più di una scuola. Parecchi, invece, non si possono assegnare con sicurezza ad una data scuola, come il Poglietti, v. Albrici, A. Mortaro, il Brignoli, F. Tresti. Abbiamo dato di ogni scuola la prima e l'ultima data, sin dove è stato possibile accertarla. La storia del cembalo italiano offre ancora lacune notevoli: particolarmente per il periodo anteriore al 1550 e per la seconda metà del Seicento (epoca post-frescobaldiana). La scuola meno definita è la prima, la più vitale e la più feconda la veneziana.
Tecnica e trattatisti (per la diteggiatura e gli abbellimenti vedi le voci relative). - I trattatisti della scuola italiana sono alquanto tardivi, ma importanti. Dell'arte degli strumenti a tastiera, in genere, parlano incidentalmente parecchi autori del Cinquecento, ma ne tratta ex professo il solo ed eccellente Girolamo Diruta (v. il Transilvano, la parte 1593 [?]-1597; IIª parte 1609). La tecnica italiana fu, sin dal principio, la più razionale e s'impose più o meno alle scuole straniere, per tutto il periodo storico dal Diruta in poi. Il Diruta ci dimostra partitamente la tecnica di Claudio Merulo (scale, salti buoni e cattivi, bicordi) che senza dubbio rappresenta la perfezione di una tecnica anteriore italiana; della quale, tuttavia, non abbiamo sinora documentazione diretta. Egli chiarisce l'arte della diminuzione, già dimostrata da altri (ad es. G. Della Casa di Udine, 1584), e che non si esercita se non raramente, secondo il Diruta, sulle parti fugate, mentre il Della Casa l'insegna esplicitamente per tutte le forme passate agli strumenti. La diminuzione - che esige gusto e ritegno squisiti - può essere continua e allora si chiama minuta (e passaggia tutto il melos). o discontinua e in tal caso si hanno i groppi, i tremuli (trilli), gli accenti, le clamazioni; tutti germi degli abbellimenti posteriori. La diteggiatura usata dal Merulo, e dichiarata dal Diruta, rimane fondamentale. Le scuole straniere si distaccano più o meno da queste norme - specialmente nella diteggiatura - per seguire i tipi tradizionali rispettivi. Tuttavia esse restano le sole razionali.
Nel seicento non abbiamo altre indicazioni di trattatisti se non le poche lasciateci da L. Penna con le tre edizioni complete (1672-79-84) de: Li primi albori musicali, per gli studiosi della musica figurata (trattatello elementare di cembalo nel libro terzo). La diteggiatura italiana - soprattutto quella delle scale, base della tecnica della velocità - progredì costantemente. Ce lo prova un documento inglese, pubblicato a Londra nel 1733: The Harpsichord Illustrated and Improved, Wherein is shown the italian Manner of Fingering che il Pasquali ripresenta in: The Art of Fingering the Harpsichord, Londra 1760 circa. Questa diteggiatura riposa su di una innovazione fondamentale: il passaggio del pollice sotto le altre dita e l'alternarsi delle prime quattro con le prime tre nell'esecuzione di passaggi diatonici (scale). Essa deve tuttavia risalire almeno al Frescobaldi, essendo difficile pensare che certi passi rapidi e replicati venissero ancora eseguiti con la diteggiatura dirutiana.
Domenico Scarlatti, nelle sue Sonate in un solo tempo, arricchisce straordinariamente la tecnica: ampliando i salti, introducendo l'incrocio temporaneo o saltuario delle mani, esigendo il battimento di accordi lati e ricchi di note. I cembalisti veneziani (Platti, D. Alberti, Galuppi) riflettono, nel cembalo, caratteristiche proprie del canto drammatico e della musica violoncellistica e violinistica e cosi, mentre introducono, e per due vie diverse, la cantabilità, estendono la tastiera e sentono, a poco a poco, la necessità che alla cantabilità concorra anche la mano sinistra. E cosi appaiono, a sostegno del canto, gli arpeggi per la mano sinistra: da prima ristretti all'accordo spezzato o basso albertino (v. Alberti, Domenico) di poi con figurazioni sempre più larghe (B. Galuppi seguito dal Boccherini) o ritmicamente differenziate, espressive e già romantiche (Platti). L'arpeggio già da tempo era una forma di preludio sonatistico (Galuppi) o di variazione (Händel, Platti, Galuppi, ecc.), ma si estende presto ad un intero pezzo (Paladini) o a lunghi episodî cadenzali imitati dal concerto e introdotti nel tempo di Sonata (Campioni, G. Cristiano Bach).
I nuovi modi di canto esigeranno, a poco a poco, una tecnica speciale (legato, staccato, legato-staccato) che oltrepassa la possibilità del cembalo e verrà realizzata, per intero, soltanto sul pianoforte. Per il cembalo sono pensati anche nuovi tecnicismi che sinora erano stati ritenuti pianistici, ad es. lo scivolo (o glissando) che troviamo nel Della Ciaja (1715 al più tardi) cosi indicato: 2° dito portato per piatto e il tempo rubato, di certo anteriore al Frescobaldi al quale viene ancora attribuito. Già ne parla il Cerone (1613) come di cosa praticata dai cantanti, ed esso risponde all'amore degl'Italiani per l'elegante irregolarità e l'asimmetria e, soprattutto, per la flessibilità del canto; e riconferma la loro ripugnanza verso tutto ciò che può irrigidire la battuta (quadratura di danza, infoltirsi del contrappunto, appesantirsi dell'armonia), mentre l'opposto si nota in Germania.
Accompagnamento. - Debbono essere menzionati a parte i teorici che trattano dell'accompagnamento al cembalo: il carmelitano italiano Bertoldo Spiridione e il lucchese Francesco Gasparini. La Insiructio nova (p. 1ª, Bamberga 1669-70; p. 2ª, ibid. 1672; p. 3ª e 4ª, s.l.n.a. [ma 1679]) del primo fu una rivelazione per i musicisti tedeschi perché offri loro un modello di quell'arte versatile e brillante della decifrazione dei bassi e dell'accompagnamento improvvisato che rimase arte esclusivamente italiana, anche se alle origini concorsero altre nazioni (Spagna). Il secondo è autore del trattato più famoso: l'Armonico pratico al cimbalo (1708), ristampato otto volte sino al 1802. Anche il Geminiani, altro lucchese, pubblicò a Londra The art of accompaniment (circa 1745).
Metodi. - Il solo metodo per principianti pubblicato in Italia è quello del Pfeiffer, edito due volte a Venezia dallo Zatta sulla fine del Settecento: La bambina al cembalo. Ma l'insegnamento italiano si fondava sulla tradizione verbale e su antologie manoscritte di esercizî; delle quali assai poche rimangono.
Scuola iberica. - Le forme più frequenti sono: canzonette, composizioni glosate (diminuite), diferencias (variazioni), villancicos (v.), ensaladas (nelle quali si mettono insieme canti di dominio comune), oltre alle fantasie, fughe (in questo caso: canoni) e tientos (ricercari fondati spesso su melodie sacre e per ciò destinati elettivamente alla chiesa e dunque, in generale, all'organo). Le composizioni più appropriate al cembalo sono le diferencias e i canti glosados (diminuiti). Le diferencias sono non soltanto variazioni virtuosistiche, ma anche elaborazioni sentimentali.
Felice Antonio de Cabezón, con le sue Obras de música para tecla (strumenti da tasto), arpa (arpa, liuto), y vihuela (archi in genere) pubblicate postume nel 1578, è l'autore principe della scuola; da lui si può dire si salti al padre Soler, che s'inspira a Domenico Scarlatti, mentre sono in Spagna il Paganelli e Luigi Boccherini: ambedue cembalisti e compositori per cembalo. Il C. è, specialmente nelle variazioni, un romantico dei suoi tempi. Fece scuola ma dei suoi seguaci assai poco ci è noto. Fu in Italia e, per la diteggiatura, ad es., va d'accordo in fondo col Diruta, a lui posteriore. Ci offre, poi, variazioni di danze italiane. Notevole è anche F. Talinas, organista e teorico.
Un seguace del Cabezón è il portoghese padre Emanuele Rodriguez Coelho (Flores de musica, 1620) che s'inspira anche alla scuola inglese, importata indirettamente a Lisbona da musicisti olandesi.
Trattatisti. - Forse i più importanti o almeno i più ricchi d'informazioni del Cinquecento. Nel 1549 Juan Bermudo pubblica ad Ossuna la Declaración de instrumentos musicales e la fa ristampare nel 1555; nel 1550 esce dai torchi l'Arte tripharia. Sono i primi trattati destinati esplicitamente, oltre che all'organo, al clavicembalo. Luys Venegas de Henestrosa pubblica, nel 1557, il Libro de cifra. Thomas de Sancta Maria, nello stesso anno, termina la sua Arte de tañer fantasía assí para tecla como para vihuela, manuale completo dell'arte della tastiera, il più ricco del suo tempo, che viene pubblicato nel 1565. Il Tratado de glosas di Diego Ortiz, benché scritto per gli strumenti ad arco, completa il quadro delle diminuzioni e degli abbellimenti (redobles, quiebros) schizzato dal Sancta Maria e chiarisce la pratica di composizione e di esecuzione di pezzi per solista (viola) e cembalo accompagnatore (ad es.: recercadas). L'Ortiz stampò il suo libro a Roma. Le relazioni tra la scuola italiana e la spagnola non sono ancora ben chiare, ma l'Ortiz insegna a glosare i tenori italiani: riprova che un'arte della variazione già esisteva in Italia.
Scuola inglese. - Nella scuola inglese, detta dei virginalisti, dominano le danze italiane, le fantasie - imitate (con maggiore libertà coloristica e digressiva) dai ricercari italiani - le variazioni, derivate assai probabilmente dalle diferencias e dalle glosas spagnole, ma più spinte e più complesse e, quali forme caratteristiche, la hornpipe (elaborata trascrizione di melodie da cornamusa e forse libera interpretazione, per eterogenesi dei fini, della piva, danza italiana) e il ground, composizione su di un basso ostinato, anche essa importata dall'Italia. Più tardi, nel Seicento, la country-dance deformatasi più tardi nella contraddanza internazionale e domestica. Manca la toccata, eccetto in Philips (v. oltre).
Il pezzo più antico è una hornpipe di H. Aston, della prima metà del Trecento. La prima stampa di musica cembalistica è la raccolta Parthenia contenente i pezzi dei three famous Masters: Byrd, Bull e Gibbons. Manoscritti famosi sono: The Fitzwilliam Virginal Book; il My ladye Nevells booke ecc. I virginalisti sono legati al periodo elisabettiano (1558-1603). I Ferrabosco rientrano in questo movimento.
Accanto alla triade nominata si notano G. Farnaby, P. Philips, J. Munday, Th. Morley, E. Bevin, F. Richardson. Con Th. Tomkins (morto nel 1656) la scuola inglese risplende di qualche nuovo bagliore, ma si può dire che essa si ecclissi durante il dominio degli Stuart (1603-1649) e dei Puritani (1649-1660). D'altra parte, il Philips ed il Bull, che avevano dovuto emigrare nel Belgio perché cattolici, furono influenzati dall'arte italiana, attraverso Vincenzo Guami organista della corte e Giovanni Sweelinck, allievo dei Veneziani. Anche il Byrd ebbe a soffrire traversie per la stessa ragione, ma restò in Inghilterra.
La scuola inglese risorge brevemente con le suites di Henry Purcell (1658 o 1659-1695), nel periodo in cui l'influsso francese si fa sentire accanto all'italiano. Accanto al Purcell, che s'inspira tuttavia all'arte italiana, troviamo l'italiano G. B. Draghi, amico della famiglia Purcell. Tra i virginalisti e il Purcell vivono autori di scarsissimo valore. G. F. Händel pubblicò, dal 1720 al 1735, i suoi pezzi, che risentono più degl'Italiani (Zipoli, Scarlatti) che dell'ambiente inglese, e Bononcini un fascicolo di brevi pezzi, privi di accenti personali. I cembalisti del Settecento sono numerosi, ma ancora poco studiati, forse per la loro scarsa originalità. Sin verso il 1740 i pezzi di più sicuro successo sono trascrizioni d'opera. Frattanto l'Inghilterra è diventata il più ricco mercato d'importazione della musica straniera, soprattutto dell'italiana, e l'officina nella quale si stampa quasi tutta la musica cembalistica italiana, da Domenico Scarlatti a Muzio Clementi. La tendenza saliente dei grandi virginalisti inglesi volge al virtuosismo (John Bull è il Liszt del suo tempo) e ad una fresca chiarità melodica, un'originale delicatezza di accenti ritmici e una diafana iridiscenza di colori armonici che richiamano i caratteri dei madrigalisti (la maggior parte dei virginalisti sono anche madrigalistil e talora lo sfondo estatico e paesaggistico, per così dire, della poesia inglese posteriore.
Trattatisti. - Non vi sono trattati inglesi di notevole valore. Citiamo, ad ogni modo, la Melothesia di Matthias Lock, 1673. Anche della tecnica inglese non molto sappiamo di preciso, ma possiamo ritenerla derivata dall'italiana, e, in parte, dalla spagnuola, con una diteggiatura che fa uso del pollice e del quinto dito, ma è meno razionale nei salti. Essa sembra resti in vigore anche all'epoca del Purcell (nonostante la presenza di G. B. Draghi e di altri) ma nel 1733 (praticamente di certo prima) è vinta dalla nuova diteggiatura (e numerica) italiana.
Scuola belga-olandese. - Comincia ad essere documentata con Willaert e Buus (v. Scuola italiana). L'aridità che è stata vinta - nelle composizioni vocali - dalla maestria o dall'animazione poetica di un Okeghem o di un Josquin, è ancora visibile nel rigido canovaccio sul quale ricamano i due ospiti di Venezia e il Purcell olandese: Jan Pieterszen Sweelinck (1562-1621), allievo dello Zarlino (1578-1580) e seguace dei Gabrieli e del Merulo. Virtuoso quanto gl'Inglesi, ostinato e talora crudamente ditirambico, seguace delle forme italiane, ma spesso professorale, angoloso e astratto, fu grande soprattutto quale maestro. La sua scuola diede i migliori frutti nella Germania del Nord, con Scheidt, Scheidemann, J. Prätorius e i minori Schildt e Siefert. In lui non riscontriamo né grazia, né umorismo, né la calda e volontaria potenza di altri maestri nordici.
Tra Willaert, Buus e Sweelinck cadono le raccolte di pezzi, per così dire, adespoti, da sonare su ogni sorta di strumenti (all'italiana), dell'editore Tielman Susato (1551-1571); le quali non solo attingono ai libri dell'Attaingnant (v. Scuola italiana e Scuola francese) ma presentano in gran numero danze italiane, probabilmente composte da Italiani.
Samuele Mareschall di Tournai (nato nel 1554, morto dopo il 1640), colorista vissuto più di sessant'anni a Basilea, e Carlo Luython (Anversa 1550-Praga 1620), vissuto a Praga, precedono di poco lo Sweelinck mentre contemporaneo gli è il belga Pietro Cornet (1565-1626) per trentatré anni organista a Bruxelles. Il primo è essenzialmente un ovvio trascrittore di pezzi vocali; gli altri due offrono uno stile prettamente italiano. In Olanda emigrano intanto P. Philips (dal 1596 ad Anversa) e J. Bull (dal 1613 a Bruxelles; dal 1617 alla sua morte - 1628 - ad Anversa). Anthoni von Noordt (morto nel 1675) è il solo autore degno di nota che segua lo Sweelinck e lo continui come si vede nelle sue elaborazioni di salmi e nelle Fantasie. Con Pietro Bustyn, autore di suites, la tradizione si spegne.
Risorge, verso la metà del Settecento, una breve scuola, non troppo interessante: in parte riflesso della conservatrice scuola nordica germanica e della francese, in parte dell'italiana. Mathias van den Gheyn e G. E. Fiocco ne sono gli autori più degni di menzione.
Scuola francese. - La produzione francese è essenzialmente una produzione di corte. È destinata ad essa o ne è inspirata. L'ideale del balletto la domina. Destinata all'aristocrazia, ha i pregi della finezza e della grazia, ma anche i difetti della leggerezza, del buon gusto ad ogni costo e d'un formalismo che sa di etichetta ed è larvatamente retrivo, almeno sino a che gli avvenimenti non lo soverchiano (per es. con Louis e poi con François Couperin).
Ama le danze, ossia l'andatura studiata più che il movimento libero e tende più al quadretto di genere che all'esplicazione di un impulso puramente musicale; tenta il ritratto e talora la caricatura. Aulica, dunque, ma anche letteraria. In essa non è la feconda entelechia della fantasia italiana ma, si direbbe, il rispetto al nomos, con la sola libertà di variarlo e anzi di vestirlo e di ornarlo, secondo la moda corrente. I titoli coi quali queste musiche vengono diffuse nel mondo dei dilettanti souo assai spesso una dedica, talora una sernplice designazione, talaltra una suggestione cortigiana o galante, più spesso ancora un pretesto o un'etichetta: il biglietto da visita che annuncia il pezzo che pur si sarebbe potuto chiamare, genericamente: allemanda, corrente, sarabanda, ecc.; amplificazione galante di un uso italiano: quello d'intitolare i pezzi, e sopra tutti le danze, a dame di gran nome (Fabrizio Caroso per il liuto, 1581; Claudio Merulo, 1592, ecc.).
Come fu sempre di tutte le mode francesi, i tedeschi ne divennero fanatici e seguitarono ad adottarla anche quando il cembalo già si volgeva ad altre esigenze espressive (ad. es. con F. E. Bach e Th. Muffat). Per tutti questi caratteri, avviene che in Francia la musica per cembalo sia facilmente distinguibile da quella per organo. Proprie della scuola francese sono particolarmente le danze, unite in suites, di tonalità per lo più costante e spesso precedute da un preludio. La prima coppia della suite italiana (allemanda corrente) è d'uso quasi normale, mentre alla sarabanda raramente segue la giga; ciaccona, passacaglia e minuetto (quest'ultimo caratteristicamente francese) ne prendono il posto. Più tardi, tra sarabanda e giga vengono introdotte altre danze di origine e di gusto francese: canarie, volte, pastourelle, e dieci altre formano, con le prime, lunghe collane di danze (sino a ventitré in Louis Couperin). Più tardi, assumeranno spesso la forma strofica del rondò. Spesso alcune danze (ad es. la corrente) vengono variate, per lo più una sola volta, e la variazione si chiama double. La suite, con François Couperin, finisce col chiamarsi ordre. Egli v'inserisce i minori (strofe nuove o trasposizioni della strofe principale, ma in modo minore). Oltre alle dauze, sin da principio i Francesi prediligono, a cominciare dallo Chambonnières, i pezzi caratteristici che tuttavia non si allontanano dalla danza. Essi raggiungono la maggior finezza illustrativa col Couperin (La Voluptueuse, Les Moissonneurs, Les Regrets, Les Bavolets flottants) e col Rameau (Les Soupirs, Les Cyclopes, Les Tourbillons, l'Entretien des Muses). Nello Chambonnières molti titoli tradiscono l'influenza letteraria e scenografica, più che musicale, dell'opera in musica italiana (Phaéton foudroyé, Junon ou la Jalouse, Orphée, ecc.). I Francesi fanno un uso minuzioso di abbellimenti (les gentillesses del Mersenne, più tardi les agrémens) creando infinite sfumature ritmiche, spesso preziose, talora stucchevoli. Il loro numero si accresce di molto con François Couperin.
Dalle raccolte adespote dell'Attaingnant (1530) in poi, non si conoscono altre opere cembalistiche del Cinquecento, né vengono nominati autori di merito.
Per ciò è detto fondatore della scuola Champion de Chambonnières (circa 1602-1672), semplice e discreto, talora sommario; seguono L. Couperin (1626-1661), N. A. Le Bègue (1630-1702), J. H. d'Anglebert (Pièces [Suites] del 1689, in cui trascrive ouvertures e danze del Lulli), F. Couperin detto il Grande (1668-1753) e J. Ph. Rameau (1683-1764). Col Rameau la scuola francese tenta una sintesi del suo passato, insaporandola di qualche nuovo accento italiano e vi riesce. Ma dopo il Rameau la scuola francese decade.
Da un pezzo è cominciata l'importazione di musiche cembalistiche e di cembalisti italiani. Veras, Balbastre, Mondonville e altri compongono nel nuovo stile italiano e già il Couperin si diceva servitore appassionato dell'Italia. Segue l'importazione tedesca che è più di uomini che di opere (Edelmann, Eckard, Honauer), eccetto che per lo Schobert; quest'ultimo notevole ma tutt'altro che indipendente dagl'Italiani e per nulla innovatore nella sonata per cembalo con accompagnamento di strumenti (v. giardini).
L'importanza del Du Phly (1749) è stata grandemente esagerata: egli rientra nel quadro della musica dell'epoca, già internazionalizzata, e si serve del basso albertino (v. alberti, domenico). Autori minori ma notevoli sono l'italianizzato Gian Fr. Dandrieu (1684-1740), Luigi Nicola Clérambault (1676-1740), F. d'Agincour (1714-1758), L. C. Daquin (1694-1772) e L. Marchand (1609-1732) imitatore degl'Italiani e ammirato dal Rameau, in un primo tempo.
Trattatisti. - I primi buoni trattati francesi sono quelli di Louis Couperin (L'art de toucher le clavecin, Parigi 1716, 2ª ed., accresciuta, 1717) e la Méthode de la mécanique des doigts sur le clavessin annessa al secondo libro di pezzi pubblicato dal Rameau nel 1724. In essa il Rameau adotta la tecnica italiana e fa progredire alquanto la diteggiatura; la Dissertation sur les accompagnements pour le Clavecin ou pour l'orgue del 1742 ne è l'ampliamento.
Citiamo anche il Saint-Lambert (1702) e il Traité de l'accord de l'espinette di Giovanni Denis (1650). L'Harmonie universelle del Mersenne (1636-37) è una miniera anche per notizie sul cembalo e sui cembalisti. Per noi il Bemetzrieder ha scarsa importanza.
Segue al Rameau il trattato di Michel Corrette, Le maître de clavecin, destinato soprattutto all'arte dell'accompagnare (1753). La tecnica francese è la liutistica trasportata al cembalo e la derivazione delle musiche cembalistiche dall'arte del liuto vi si fa sentire più a lungo. Soltanto nel Rameau ci sembra si possa parlare di una tecnica cembalistica: egli conobbe di certo le sonate di D. Scarlatti.
Scuola austro-tedesca. - Si può dire che, eccettuato il periodo quattrocentesco delle origini (Paumann-Hofheimer) nel quale pur s'intravedono influenze italiane e si osservano chiare derivazioni spagnole, la Germania e l'Austria siano l'officina di adattamento al temperamento germanico di questo e di quello stile nazionale europeo o di più stili insieme. Ma di una vera e propria scuola originale germanica no11 si può parlare, per due secoli circa (XVI e XVII). Lo svolgimento della musica cembalistica tedesca si direbbe un'ansiosa aspirazione nostalgica, talora alquanto sfiduciata, verso il grande eroe della razza: G. S. Bach. Eppure G. S. Bach, soprattutto quale cembalista, è un isolato; e la storia potrebbe oltrepassarlo senza perdere di continuità e di coerenza.
Le forme caratteristiche della musica tedesca cembalistica (e organistica) sono dunque il corale figurato e, sin dall'inizio, il Lied variato. Ma quest'ultimo, più per il fondamento (il Lied) che per l'elaborazione: probabilmente già patrimonio di altre nazioni e già ridotta a dottrina in Spagna (diferencias, glosas e recercadas).
Le altre forme - intese come particolari tendenze propulsive incarnate in lineamenti tecnici alquanto instabili e intercambiabili tra forma e forma - sono importate dall'Italia; ma la partita, in Germania, prende anche significato di suite. Alcune danze sono importate dalla Francia, soprattutto nel raggruppamento tipico della suite francese. Le danze predominano anche come numero sulle altre forme: affermazione della tendenza tedesca alla quadratura. I Tedeschi non hanno creato nuove tendenze costruttivo-espressive né per gli strumenti da tasto né per l'orchestra.
Tuttavia, è da notare che le danze vengono a poco a poco idealizzate per la tendenza germanica a trovare, nel reale e nel pratico, l'ideale e ad approfondirne e a moltiplicarne i significati, facendoli assurgere alla dignità di emblemi o di simboli. L'arte tedesca predilige il colorismo e la variazione (intesa in senso lato, anche come elaborazione polifonica) e manifesta una tendenza verso l'addensamento dell'armonia. Di essa, è facile trovare indizî anche nel confronto tra i teorici tedeschi e gl'italiani; dai quali, tuttavia, i primi derivano. Tenendo conto delle varie influenze subite dalla cembalistica tedesca, troviamo opportuno raggrupparne gli autori in tre periodi: 1450-1625; 1625-1735; 1735-1775, divisione che, necessariamente, non deve essere intesa in senso rigido, rispetto agli autori, né presa troppo alla lettera per quanto riguarda le date.
Nel primo periodo, che si può chiamare dei coloristi o elaboratori di Lieder, troviamo il Paumann, e P. Hofheimer coi suoi numerosi scolari, dei quali citiamo Kotter e Buchner. Una lacuna esiste tra il 1540 e il 1571, data dell'Intavolatura di E. N. Ammerbach. Costui viaggiò molto e fu di certo in Italia, come provano i suoi Deutsche Tenores (1575): imitati dai tenori italiani che già trovammo nello spagnolo Ortiz.
Seguono Bernardo Schmid senior (1577), Giacobbe Paix (di origine vallone, 1583), che è il più eclettico, B. Schmid iunior (1607) e G. Woltz (1617). Mentre nei primi tre abbiamo i soliti mottetti e Lieder e le solite danze italiane e francesi, in B. Schmid iunior, vissuto a Strasburgo, appaiono preludî, toccate, canzonette, madrigali e fughe (ossia canzoni alla francese, v. canzone) e in Woltz fughe distinte dalle canzoni alla francese. L'uno e l'altro ci tramandano lavori di famosi italiani. L'influenza italiana è preponderante e si rivela anche nei minori: S. Lohet, A. Steigleder e Bodenstein.
Il colorismo decade (e l'Ambros giustamente lo condannerà) e le composizioni cembalistiche prevalgono sulle organistiche tanto più quanto più si va verso il 1600. La prima forte personalità nella quale l'influsso italiano si unisca a qualità tedesche di prim'ordine è Gianleone (H. Leo Hasler, 1564-1612) che studiò a venezia con A. Gabrieli. In Italia furono anche suo fratello Iacopo e forse anche Christian Erbach.
Secondo periodo (1625-1735). L'influenza italiana diretta permane nel sud della Germania e in Austria dove presto A. Poglietti (dal 1661, se non prima, al 1683) opererà un nuovo trapianto del nostro stile e si rivelerà per un maestro della variazione - rinnovata inesauribilmente e approfondita quasi in senso romantico - e della tendenza descrittiva (La ribellione d'Ungheria). Indirettamente, l'influenza della scuola veneziana si fa sentire nel nord (Sweelinck). Ma nuove forze attingono direttamente dall'Italia due maestri di prim'ordine: G. G. Froberger (morto nel 1667) allievo del Frescobaldi (1637-1641) e J. K. Kerl allievo prima di G. Valentini (morto nel 1649) a Vienna, poi di G. Carissimi a Roma e discepolo ideale del Frescobaldi. Il quale è già, intorno al 1625, il grande maestro dell'Europa, ma la sola scuola straniera allora veramente viva è la tedesca.
Il Froberger, considerato dall'Ambros come "l'antenato dei compositori da salotto", è anche il primo insigne artista germanico nel quale ferva l'impulso verso l'assimilazione indifferente di tendenze italiane (toccate, fantasie, ecc.) e di mode francesi (suites). Questa tendenza caratteristica condurrà i critici e teorici del Settecento a preconizzare uno stile tedesco che risulti dal miscuglio dei due stili italiano e francese (Mattheson, Marpurg, Scheibe).
Il Kerl, con la sua abilità di contrappuntista e d'improvvisatore, crea qualche libertà nuova, anche in grazia della sua vena umoristica. G. Cristoforo Bach, G. Pachelbel, il Buttstett e il suo avversario Mattheson, G. Krieger, il Böhm, G. G. F. Fischer costituiscono un gruppo a parte. I più giovani diventano contemporanei dei più vecchi per il loro spirito conservativo, gli uni (Fischer, Krieger) sono più cembalisti che organisti, mentre per gli altri è il contrario; tutti si rivolgono, chi più chi meno, intorno al pianeta francese - la suite - senza sottrarsi però all'influsso del dinamismo italiano. Alcuni, come il Böhm che introduce nella suite per cembalo l'ouverture francese, risentono già, in qualche breve pezzo, del nuovo stile libero italiano: il galante. A parte se ne sta J. Kuhnau (1660-1722) dilettante pari ai professionisti - come tanti dei nostri veneziani - amico del Krieger e allievo dell'Albrici. Per molto tempo se ne è esagerata l'importanza. Non fu il primo a trasportare - mediocre merito, del resto - la sonata sul cembalo (1696): il Pasquini (nato nel 1637) lo precedette di certo; inoltre le sue sette sonate bibliche (1700) hanno un precedente nella musica descrittiva del Poglietti e di altri. Attirò su di sé il rispetto e l'attenzione di G. S. Bach, autore grandioso di preludî, fughe e toccate (1708-1717), che dimostra di sentire i nuovi tempi quella fantasia cromatica, nella burlesca e nello scherzo - galanteria del 1731 - e nel concerto italiano e in qualche breve tempo di sonata; che forse non è suo.
Terzo periodo (1735-1775). - Un altro posto a parte spetta a Teofilo Muffat (1690-1770) figlio di Giorgio. Contemporaneo di Giovanni Platti, ma vissuto più a lungo del veneziano, nei suoi Componimenti musicali (1739) segue la sorte di tutti gl'insigni tedeschi di fronte ai grandi italiani: di essere l'espressione di una tendenza conservatrice. Egli è l'erede del cosmopolitismo raffinato del Froberger, ad un secolo di distanza, nei suoi Galanterie-Stücke.
Un conservatore al quale non fanno difetto lineamenti solidi e accenti nuovi e talora potenti, è l'Eberlin, specialmente nelle sue fughe, anche se esse, in confronto con quelle di G. S. Bach, occultino un poco il proprio valore; e degno di nota, per il colore delle sue variazioni, è il Murschhauser, allievo del Kerl. Dal 1730 in poi i cembalisti e, cosa strana, anche i clavicordisti spuntano, in Germania, come funghi. Ma sono sempre conservatori, meno tre: C. Graupner che sente i nuovi tempi, ammira G. Platti e, prima di diventare cieco, ne copia le sonate, ma si rivela cembalista timido e infecondo, F. A. Maichelbek, del quale parleremo più innanzi, che introduce il nuovo stile veneziano, ma è un debole compositore, e finalmente F. Emanuele Bach.
Il dissidio della loro generazione, che si agita tra l'italianismo e l'eclettismo, il drammatismo e la tendenza polifonica, si rivela intero nella coppia di amici costituita dal fratello dell'ultimo G. Cristiano Bach e dall'Abel: elegante e mondano il primo, conservatore indeciso il secondo. Lo Schobert opera in Francia (v. Scuola francese). Scarsi lineamenti nuovi offrono l'italianissimo Naumann e il maestro del Beethoven, Neefe.
La cantabilità drammatica e la versatilità impressionistica si fondono presto, anche in altri campi, con l'arte della derivazione tematica, resa snella e varia da due secoli di pratica nel contrappunto e nell'arte della variazione e della modulazione armonica e ritmica. E la sonata, presa d'assalto nel suo centro propulsivo - la seconda strofe - incomincia una nuova storia nel quartetto e nella sinfonia e nella musica da cembalo del Clementi, del Mozart, del Haydn e dello stesso F. E. Each, maturato intorno al 1770. È l'epoca della cosiddetta sensibilità, della Empfindsamkeit; e la tastiera della cantabilità è quella del pianoforte. Rust è l'ultimo cembalista tedesco che faccia il viaggio d'Italia e ne torni, come Mozart, trasformato. Ma il regno del cembalo è finito.
Trattatisti. - In difetto di ricerche italiane e di studî su qualche fonte superstite, il Fundamentum organisandi di Corrado Paumann è il primo trattato per strumenti a tastiera. La prima parte tratta dei segni musicali, e la seconda del contrappunto strumentale, mentre la terza è una specie d'antologia delle forme e degli stili del tempo. Naturalmente, non è fatta distinzione alcuna tra musica per organo e musica per cembalo. Le opere dello Schlick invece (1511 e 1512) non riguardano il cembalo, ma l'organo; Hans Buchner (G. di Costanza) è autore di un altro Fundamentum rimasto manoscritto. Seguono E. N. Ammerbach (Orgeltabulatur del 1571, in parte rifatta nel 1583) e Giovanni Klemme autore di una Partitura seu Tabulatura Italica (1631). Alcune nuove indicazioni tecniche (imitatio violistica e imitatio tremula organi) sono contenute nella Tabulatura nova di Scheidt (1624); e alcune complicate e innaturali diteggiature derivate dalla pratica olandese si trovano in E. Scheidemann, altro scolaro dello Sweelinck. Segue l'Instructio nova dell'italiano B. Spiridione (1669-1679; v. Scuola italiana). Sugli strumenti abbiamo due fonti importanti: il Virdung (1511) e il Prätorius (1619-20).
Il primo vero manualetto per cembalo è quello di F. A. Maichelbek: Die auf dem Clavier lehrende Caecilia..., op. II, Augusta 1738. Egli introduce in Germania il basso albertino. Ma il trattato più importante è quello di F. E. Bach (1753, parte 1ª) che raccoglie la pratica del tempo. Citiamo anche quelli del Marpurg (pseudonimico), Löhlein, Türk, ecc. La notazione italiana (intavolatura) fu adottata dai Tedeschi prima del 1631 (testimonianza di G. Klemme).
Bibl.: A. G. Ritter, Zur Geschichte des Orgelspiels ecc., Lipsia 1884; C. Krebs, G. Diruta's Transilvano, in Vierteljahrsschrift für Musikwissenschaft, 1892; M. Seiffert-K. F. Weitzmann, Geschichte der Klaviermusik, I (Die ältere Geschichte bis um 1750, solo uscito), Lipsia 1899 (da consultare con grande prudenza, anche perché oramai sorpassato dai recenti studî, tanto per il periodo delle origini quanto per il Seicento e il Settecento); J. Shedlock, The pianoforte sonata, Londra 1895; M. Seiffert, Sweenlinck und seine direkten Schüler, in Vierteljahrsshcrift f. Mus., I, 1892-92; L. Torchi, La musica istrumentale in Italia nei secoli XVI, XVII e XVIII, Torino s. a. [ma 1901]; O. Kinkeldey, Orgel und Klavier in der Musik des 16. Jahrh., Lipsia 1910; Ch. van den Borren, Les origines de la musique de clavier en Angleterre, Bruxelles 1912; id., Les origines de la musique de clavier dans les Pays-bas, Bruxelles-Lipsia 1914: Archiv für Musikwissenschaft, 1918 segg.; Max Schneider, Die Anfänge der Basso Continuo und seiner Bezifferung, Lipsia 1918; J. Wolf, Handbuch der Notationskunde, II, Lipsia 1919; G. Pannain, Le origini e lo sviluppo dell'arte pianistica in Italia dal 1500 al 1730 circa, Napoli 1919; W. Merian, Drei Handschriften aus der Frühzeit des Klavierspiels, in Arch. für Musikw., 1920; F. Torrefranca, Influenza di alcuni musicisti italiani vissuti a Londra su W. A. Mozart, in Bericht des musikwissenschaftlichen Congress Basel, Lipsia 1924; L. Ronga, Gerolamo Frescobaldi, Torino 1929; F. Torrefranca, Le origini italiane del romanticismo musicale, I primitivi della sonata, Torino 1930; A. Gastoué, Les primitifs de la musique française, Parigi s. a.; A. Pirro, Les Clavecinistes, Parigi s. a.